La storia economica (dopo la crisi del ’29), e la teoria economica moderna (cioè la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta di J.M. Keynes, del ’36), mostrano e dimostrano che la vecchia teoria economica (la teoria neoclassica dei primi anni del Novecento, ma ancora oggi egemone) non fornisce ricette efficaci per i nostri problemi. Il livello dell’occupazione non si determina sul mercato del lavoro: il mercato del lavoro non è come il mercato del pesce.
Il prezzo e la quantità del pesce venduto e comperato è determinato dall’incontro tra domanda e offerta, dove è bene che non vi siano impedimenti artificiali; mentre una maggiore “flessibilità” del mercato del lavoro, che non è una merce come le altre, si traduce in più bassi salari e dunque in un aumento dei profitti e delle rendite, ma non anche in maggiore occupazione.
Tuttavia nella premessa al decreto sul Jobs Act (chi sa perché in americano) si dice: «Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di semplificare le modalità attraverso cui viene favorito l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro ecc.».
Perché non si studia un po’ di più?
Condizione necessaria affinché cresca l’occupazione (condizione sì necessaria ma oggi non anche sufficiente) è invece che cresca la produzione. Su questo punto c’è ormai ampio consenso, anche se da più di dieci anni si era già avvertito che il problema dell’economia italiana è un problema di crescita; però si indica soltanto nei vincoli europei l’impedimento a una maggiore spesa pubblica; e si invocano provvedimenti quali la beneficenza e i tagli delle prebende come possibile soluzione. Beneficenza e tagli sacrosanti, ma conditi con la demagogia della solidarietà e dell’equità.
Iniqua è invece la distribuzione del reddito oggi in Italia, e questa è una delle cause della crisi. Tuttavia l’aliquota marginale massima dell’Irpef è oggi pari al 43% per i redditi oltre i 75 mila euro, mentre è noto a tutti che molti e di molto sono i redditi più elevati: il 5% dei contribuenti più ricchi concentra il 22,7% del reddito complessivo; e tuttavia l’elusione e l’evasione fiscale non vengono combattute con gli strumenti che in realtà sono disponibili.
Secondo il sobrio articolo 53 della Costituzione: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
Perché non si rispetta la Costituzione?
dal Manifesto Giorgio LUNGHINI