da Francesco Mandarini | Giu 24, 2007
La mossa del cavallo. La certa disponibilità di Walter Veltroni a candidarsi per la segreteria del partito democratico spariglia le carte. Testimonia la crisi del gruppo dirigente diessino costruito attorno a Fassino, mette in un angolo i dalemiani “certificati” (D’Alema è uomo di grande vitalità e di grande capacità di risalita), colpisce le aspettative dell’ambizioso Rutelli, scopre l’ala sinistra della coalizione dell’Unione. Prodi non può farci niente. Dopo aspre resistenze ha dovuto accettare che il primo segretario del “suo” partito non sia una sua controfigura, ma un leader di spessore. Molte aspettative di carriera personale saranno deluse dai processi che oggettivamente si produrranno in un PD ad impronta Veltroni, ma sono fatti personali che interessano poco. Interessa molto ciò che farà la galassia di partiti e movimenti alla sinistra del PD. Walter Veltroni può essere giudicato in molti modi, ma non è Sergio Cofferati. La giunta capitolina da lui guidata ha saputo costruire una unità seria tra “riformisti” e “antagonisti”. Anche a Roma le contraddizioni non mancano, ma la gestione del sindaco è stata sempre quella di ascolto anche delle sensibilità espresse dalla sinistra. Traducendo: anche a sinistra può esserci un affascinamento per un PD diretto dal sindaco di Roma. I leader delle forze politiche fuori dal PD, hanno l’urgenza di costruire un contenitore, plurale quanto si vuole, ma capace di superare gli orticelli personali, ammainare i vessilli di partito che non sventolano più, sapendo che la questione dell’unità e della semplificazione delle sigle sarà decisiva per tutti.
Perchè questa accelerazione dei diessini e margheritini dopo i tentennamenti dei mesi trascorsi? I bene informati parlano di sondaggi tremendi per i partiti della coalizione al governo. Il grado di apprezzamento per Prodi e il suo governo sono nettamente minoritari. E non si tratta di incapacità nella comunicazione. E’ proprio la qualità del governo che indispettisce il popolo.
Per dimostrare la improvvisazione dei nostri governanti basta un solo esempio. Sono passate soltanto due settimane da quando il ministro Tommaso Padoa Schioppa annunciava al Paese che l’emergenza dei conti pubblici era superata. Le tensioni interne e tra le forze sociali sono state su come ripartire le impreviste maggiori entrate che appunto, il ministro, non aveva previsto imponendo una finanziaria di lacrime e sangue per risanare il deficit pubblico. All’incontro del governo con i sindacati, tema le pensioni, lo stesso ministro di cui sopra annuncia che i soldi per abolire lo “scalone” non ci sono e, quindi, anche questo punto del programma dell’Unione non potrà essere soddisfatto. Oggi, sabato, viene comunicato che le entrate fiscali del primo quadrimestre sono aumentate di 6,6 miliardi di Euro. Da rimanere basiti per il grado di confusione.
Ha buon gioco, in questa situazione, il già pubblic relations man, Luchino Cordero di Montezemolo a continuare nelle sue esternazioni da grande leader del Paese. Questa volta il presidente di: Confindustria, Fiera Di Bologna, di Ferrari, di Frau, ecc.ecc.. se la prende con i sindacati, con il governo e con l’opposizione. Solo i Suoi organizzati stanno lavorando per il bene dell’Italia, gli altri fanno disastri. I sindacati ad esempio organizzano i “fannulloni”. Poi, il nostro iper presidente si è corretto, ma rimane l’impressione che di fronte alla debolezza della politica, vi sono forze intenzionate a condizionare pesantemente la democrazia italiana. Una democrazia già fragile che di tutto ha bisogno meno che di ricchi tromboni che aprono la bocca e gli danno fiato.
E’ la buona politica che deve riprendere forza. E’ questa una vera emergenza che non può essere risolta soltanto dalle leadership romane. Le leadership frutto di un plebiscito possono montarsi la testa e divenire autoritari senza autorevolezza. Le “leggendarie” primarie che hanno incoronato Prodi sono un esempio palmare del rischio che si corre.
da Francesco Mandarini | Giu 17, 2007
Il segretario Fassino, riferendosi al comitato politico diessino convocato per le analisi della situazione politica dichiara: «Una riunione ottima. I Ds non sono affatto un partito allo sbando o nella bufera. Al contrario, siamo un gruppo dirigente solidale e consapevole dei passaggi delicati che abbiamo di fronte».
Par di sognare: le elezioni amministrative hanno visto la sconfitta netta del centrosinistra e come un sol uomo, gli ulivisti hanno gridato “Non c’è stata la spallata, abbiamo tenuto la provincia di Genova”. I giornali sono pieni di analisi e indagini sullo stato comatoso del governo Prodi e sul marasma attorno alla costruzione del Partito Democratico. Ma il Fassino è ottimista e consapevole dei passaggi delicati. Siamo a posto. Leader prestigiosi diessini sono sotto botta da settimane per le intercettazioni telefoniche concernenti l’affair Unipol, ma soltanto Prodi dichiara la sua stima e fiducia nei confronti di D’Alema e gli altri dirigenti interessati alla campagna stampa.
Il ciarliero Rutelli parla d’altro. I soci di governo e del futuro partito dei riformisti, non sembrano affatto disposti a concedere solidarietà ai diessini massacrati dai rapporti con il Signor Rigucci. Che appeal avrà un partito dove non esiste la minima solidarietà , ma solo la guerra all’interno del quartier generale? Come sarà possibile convivere in un partito dove le disgrazie dell’uno sono le fortune dell’altro? Sarebbe una tragedia per la democrazia, ma se si continua così il PD rischia di essere un partito composto da tanti partiti personali senza alcuna intelligenza collettiva.
Non ne azzeccano una. A mio sommesso parere il grave errore commesso dai DS sulla questione “mondo della cooperazione” è stato quello di non rivendicare una storia centenaria di appartenenza alla vita del movimento operaio. E’ noto a tutti che per decenni c’è stata una circolazione di dirigenti dal partito al movimento e viceversa. Ultimo banale esempio proprio qui in Umbria: un sindaco scaduto che passa a lavorare alla Coop Umbria. Che la politica non debba interessarsi dell’economia è una fesseria ideologica e come tale deve essere combattuta. Ciò che un partito non può fare è compiere atti che aiutano un soggetto sociale rispetto ad un altro magari forzando le leggi. E’ la trasparenza che è mancata. L’aver rimosso una storia di sacrifici e lotte come quella della sinistra italiana e dello stesso movimento cooperativo, rosso o bianco che fosse, è stato un grave errore politico. Questo errore, unito ad una forma di arroganza stile new rich, non aiuta ad avere una buona immagine alla sinistra riformista.
Nelle limitate e personali indagini tra gli elettori che conosco, la prima critica che sento fare è proprio quella rispetto all’atteggiamento altezzoso di tanti amministratori e dirigenti politici. La cosa è ancora più irritante, quando si tratta di persone che sono destinate(parafrasando Brancati) a lasciare nella storia soltanto l’impronta del proprio di dietro sulla poltrona occupata per decenni. Non so se il vecchio motto andreottiano che sosteneva che il potere logora chi non c’è l’ha è ancora valido.
Certo è che il prepotere è qualcosa che alla lunga distrugge chi lo esercita. Forse un’attenta analisi del perchè il centrosinistra sia stato sconfitto a Todi confermerebbe questa mia impressione. Un’impressione che ovviamente non riguarda solo Todi.
E’ forse mutata l’idea che la caratteristica del buon governo sia la garanzia delle amministrazioni della sinistra e del centrosinistra in genere? Nel voto ha certamente giocato il pessimo giudizio sul lavoro del governo centrale, ma forse incide anche un’insoddisfazione sul come sono state amministrate dall’Unione le città . Si è allargata l’area della protesta contro un ceto politico intollerabilmente immutabile. Non so come e chi lo potrà gridare, ma “il tutti a casa” è nell’aria che si respira tra la gente. Gravissimo sarebbe se la sinistra non avvertisse questo stato d’animo.
La destra ha ragione di gioire per la vittoria elettorale, ne ha meno quando vuol imporre elezioni politiche subito. Berlusconi dal 2001 al 2006 ha perso tutte le elezioni e non si è mosso da Palazzo Chigi, nonostante sondaggi sfavorevoli e voti disastrosi.
La democrazia ha regole che valgono anche per i miliardari e per i proprietari di partiti politici. Spetta al presidente Napolitano e a Lui solo, decidere se esiste in Parlamento una maggioranza capace di governare. L’Unione ha avuto un mandato per amministrare il Paese per cinque anni. Nè i family day nè le sparate leghiste possono mutare questo mandato. Certo Prodi si deve dare una mossa. E si devono dare una mossa tutti i partiti dell’Unione nel cercare di recuperare credibilità e fiducia nel popolo. Un popolo che continua ad essere colpito duramente dalla crisi economica e che osserva indignato lo spettacolo di una classe dirigente (non solo politica) che sembra incapace di invertire la tendenza all’impoverimento dei singoli e del Paese. Una classe dirigente che non mette in discussione alcuno dei propri privilegi. Vi è chiaro o no che bisogna operare una svolta radicale rispetto ad una politica che produce posti di lavoro soltanto per sodali e amici di partito, di letto o di salotto? Quando un consigliere di circoscrizione di Roma guadagna più di un ricercatore all’università , è un disastro per la democrazia.
Continuare con un turismo amministrativo costosissimo mascherandolo con esigenze di conquista dei mercati nel mondo globalizzato, è buttar via soldi pubblici sia che siano di competenza del bilancio regionale, della Camera di Commercio, della Sviluppumbria o dell’Università .
Spesso è come andare a vendere frigoriferi in Alaska. Sobrietà vo cercando.
da Francesco Mandarini | Giu 3, 2007
Dall’immaginazione all’improvvisazione. I giovani studenti nel mitico sessantotto avevano uno slogan bellissimo: “l’immaginazione al potere”. Nei malinconici anni novanta e ancora più negli anni duemila, ci hanno abituato a vedere al potere dei leader che hanno come orizzonte quello dell’improvvisazione che spesso si trasforma in incompetenza.
Si potrebbero scrivere libri, e alcuni ne sono stati scritti, attorno al disastro provocato negli ultimi quindici anni, dalla politica istituzionale voluta dai riformisti di ogni colore.
E’ accertato: la democrazia italiana è malata, la politica sembra un ectoplasma incomprensibile ai comuni mortali. Due esempi. Il primo riguarda una riunione svolta dal Ministro per gli Affari Regionali, Linda Lanzillotta con i rappresentanti di regioni, comuni e province. Il Ministro ha proposto: riduzione di 283 consiglieri regionali, riduzione del 25% dei consiglieri comunali e provinciali, abolizione delle Comunità Montane sotto i 900 metri di altitudine. Per le circoscrizioni dei comuni sotto i 500 mila abitanti, gratuità dell’incarico. I rappresentanti delle regioni hanno duramente contestato l’impostazione: “Niente imposizioni dall’alto”, hanno gridato all’unisono. Il Ministro Lanzillotta, felicemente coniugata con l’ex ministro Bassanini estensore di tante leggi istituzionali, si è dimenticata che le modifiche apportate, scelleratamente, dal centrosinistra nel 2001 al Titolo quinto della Costituzione, rendono autonome e con potere statutario, le regioni e tutte le autonomie locali.
Soltanto due anni fa, in Umbria, in occasione della discussione sullo statuto regionale, una maggioranza trasversale voleva portare a 45, tra consiglio e giunta, i membri del consiglio regionale. Non se ne fece niente per vari motivi. Ci si accontentò del presidenzialismo. Al di là delle competenze, hanno un senso le proposte del governo in tema di tagli alla spesa per il funzionamento della macchina pubblica? Che sia ormai intollerabile la quantità di addetti ai lavori nelle istituzioni è cosa certa. Ed è appurato che è esplosa l’ambizione di entrare nel ceto politico per ragioni di carriera e per i livelli retributivi ottenibili. La lotta fratricida in occasione di qualsiasi tipo di elezione, anche per divenire consigliere di circoscrizione, è sotto gli occhi di tutti. In un articolo, Valentino Parlato,scrive:”Ad Angri, un comune campano, di poco più di 30mila abitanti, sono state presentate 20 (venti) liste e 400 (quattrocento) candidati. La politica come “casta”, attrae moltissimo”. Prevedere per legge nazionale la gratuità di alcune fattispecie di incarico pubblico aiuterebbe ad evitare la ressa e ridarebbe alla politica la caratteristica di servizio che dovrebbe avere. Ma il problema è ancora più complesso. L’elezione diretta di sindaci e presidenti ha reso le assemblee, di ogni livello, organismi privi di reale potere. Un consigliere comunale o regionale non è chiamato a grandi impegni. Il potere è concentrato nel vertice politico e l’amministrazione è assicurata dagli apparati burocratici. Non è così? Chi dice il contrario dice una balla. Per riformare la politica si deve certo tagliare ogni spesa volta al privilegio di casta, ma ancor più importante è ridare forza e potere ai luoghi della rappresentanza. Il taglio del numero dei parlamentari può avere un significato positivo se si diversificano le competenze tra Senato e Camera e si va oltre la teoria della governabilità intesa come decisionismo di pochi contro il potere legislativo. Il parlamento non è necessariamente un aula “sorda e grigia”.
Il secondo esempio, che ricorda la capacità di improvvisazione di Prodi e riformisti in genere, è quella del concreto svolgersi della costruzione del partito democratico. Dire, come ha detto Prodi, che il nuovo partito dovrà essere quello che Lui vuole o non sarà , non può che preoccupare. Forza Italia è di proprietà del Cavaliere, ma ciò è comprensibile. I soldi sono suoi. Se ho capito bene il Partito Democratico dovrebbe essere qualcosa di diverso, più democraticamente gestito e frutto di una profonda immersione nella società . Forse ho capito male, ma mi sembra che più che una fusione tra gruppi dirigenti, il PD sarà una pentola in perpetua ebollizione come risultato del mettere insieme le divisioni all’interno di DS e Margherita senza attrarre alcun altra energia.
Al di là del pessimo risultato elettorale nelle ultime amministrative che richiederebbe qualche attimo di attenzione a tutta l’Unione, i diesse e i margheritini non sembrano in grado di andare oltre le beghe interne attinenti gli organigrammi futuri.
Dopo la scelta dei 45 gestori della fase costituente il Partito Democratico, è esplosa la questione della leadership. Non c’è accordo su niente. Soltanto Fassino continua a giurare sulla chiarezza dei processi in atto. Si è capito poco perchè, con un governo così fragile, si sia voluto accelerare un percorso che oggettivamente provoca tensioni tra i diversi aspiranti al “trono”. Amici riformisti, avete avuto cinque anni di opposizione alla destra berlusconiana, perchè non ci avete pensato prima a costruire questo nuovo partito? Non avete capito che con una coalizione rissosa e articolata come quella dell’Unione, con un risultato elettorale scadente alle elezioni politiche, l’impegno doveva essere principalmente volto a ben governare in un rapporto vero con i cittadini.
Non mi sembra che questo sia avvenuto, avete invece continuato nelle vostre recite televisive.