da Francesco Mandarini | Giu 29, 2009
Il referendum meno votato in tutta la storia repubblicana, soltanto il 23% degli aventi diritto hanno partecipato alla competizione. Berlusconi, Franceschini e Fini uniti nella botta si potrebbe dire. La bastonata del fallito quorum del referendum elettorale voluto da tanti addetti ai lavori, ad iniziare da Berlusconi, e stato votato da pochi. Bisogna intenderci: l’astensionismo non è dovuto soltanto alla crisi dello strumento “referendum”. La crisi c’è, ma l’astensionismo è stato causato principalmente dall’irresponsabilità della scelta dei promotori di indire un referendum assurdo. Il risultato sarebbe stato che, vincendo il Sì, si sarebbe peggiorata una già orrenda legge elettorale. Il popolo questa volta è stato più saggio dei leader politici e non ha votato.
Per Berlusconi e Fini il Sì era coerente con la loro posizione presidenzialista, per Franceschini la scelta è stata fatta perchè il PD è, dalle sue origini, vittima di una sorta di “sindrome di Stoccolma”. Anche in questa circostanza il partito democratico ha fatto la scelta sbagliata per mancanza di una qualsiasi idea su come riformare le istituzioni e per quale tipo di democrazia impegnare le proprie forze. L’illusione del partito a vocazione maggioritaria è ancora ben presente in una parte consistente del gruppo dirigente del PD, con tutto ciò che ne consegue.
Si potrebbe gioire per l’insuccesso di chi voleva dare un altro colpo micidiale alla democrazia rappresentativa prevista dalla Costituzione repubblicana imponendo per legge un bipartitismo da repubblica delle banane. La pervicacia dei promotori e dei sostenitori del Sì lascia di stucco. Sono gli stessi che assieme ad Occhetto, in nome dell’antipartitocrazia, imposero altri referendum elettorali all’inizio degli anni “˜90. Referendum tutti vinti che hanno si distrutto i partiti di massa, ma hanno anche aperto la strada per costruire il berlusconismo e infiacchito la democrazia italiana. Potremmo esultare per il risultato del referendum, non lo facciamo perchè continuiamo a esser immersi, tutti immersi, in un pantano politico che rischia di travolgere ogni speranza di rinnovamento del Paese.
Referendum a parte, la tornata elettorale è stata disastrosa. In Italia come in Umbria la destra ha vinto sia alle elezioni europee sia alle amministrative. Ci si può consolare per l’arretramento di Berlusconi rispetto alle elezioni politiche dello scorso anno, ma anche al parlamento europeo non ci sarà parlamentare della sinistra italiana. Non c’è stato lo sfondamento voluto dalla destra e la tenuta di amministrazioni del nord, del centro e del sud è molto importante. Berlusconi avrà certo esaurito la sua spinta propulsiva, ma i quattro milioni di voti persi dal partito democratico non sono bazzecole. Lo spostamento a destra dell’Italia è coerente con quanto successo in Europa ma ciò non ciò consola per nulla.
Il centrosinistra non è confinato soltanto in qualche area del centro del Paese e dove si era unito, in genere, ha continuato a vincere.
In una crisi delle dimensioni di quella che anche l’Italia attraversa, rimaniamo senza parole di fronte al disastro della sinistra politica ma va registrata, in Italia e in Europa, l’afonia di un sindacato incapace di una reazione di fronte al fallimento dell’ideologia liberista delle classi dirigenti.
Anche il voto di giugno ci conferma che un ciclo politico- amministrativo si è concluso. Anche in Umbria.
L’Umbria non è più rossa da molto tempo. Colpisce il dato delle elezioni Europee, dove per la prima volta nel dopoguerra il partito più votato, non è un partito di sinistra ma il PDL, il partito di plastica creato da Berlusconi. Induce a riflessione il fatto che un asse che va da Perugia a Foligno vede tutte amministrazioni di centrodestra. Con l’aggiunta di Orvieto, le strade del vino, orgoglio regionale, saranno governate da uomini e donne del centrodestra. A noi di sinistra non ci resta che bere il vino del Trasimeno e di Amelia? E bere l’acqua di Sangemini, visto la fine di Gualdo Tadino?
L’eredità costruita in tanti decenni di lotte e lavoro del movimento operaio umbro, è stata allegramente scialacquata da un ceto politico inossidabile e inamovibile che ha fatto della propria carriera personale la priorità per cui lavorare. Una sua parte è stata rimossa per volontà degli elettori e chissà che questa non sia la volta buona per un discorso di verità sulle cause del disastro.
Arrivano a bilancio conclusivo le sciocchezze del nuovo che avanza. Quello che ci si presenta è un deserto politico in cui non si può parlare di gruppi dirigenti ma di accrocchi d’interessi personali e territoriali. Gruppi che nel prossimo futuro dovranno affrontare una crisi generale e i vincoli di una spesa pubblica in contrazione. Una crisi che impedirà il mantenimento di quel limitato welfare costruito nei decenni precedenti rischia di non reggere proprio nel momento in cui aumenterà il disagio sociale che scaturisce dalla crisi economica. La stessa tenuta sociale è a rischio. Ed è da questo dato che dovrebbero partire PD e sinistra-sinistra per adeguare programmi, comportamenti e priorità se si vuole invertire la tendenza al degrado politico che dura da anni, ma che ha avuto una bella accelerazione dal voto di giugno.
Non sarà facile. Il PD, anche in Umbria, rimane un non partito e anche nella vicenda elettorale ha pesato la mancata fusione dei resti della Margherita con i resti dei DS. Il preannunciato congresso di ottobre sarà l’occasione per capire di cosa si tratta e cosa vuole questa sorta di agglomerato politico senza anima? Speriamo per il meglio. La così detta sinistra alternativa sembra per adesso soddisfatta della riconquista di qualche strapuntino nelle giunte in formazione. Proposte intelligenti volte alla ricostruzione di un tessuto unitario non se ne sentono. Pazientiamo.
La società civile non ha strumenti ne voci autorevoli capaci di influire nelle discussioni del ceto politico.
Si muovono, quasi sottotraccia, gruppi d’interesse politico che riescono a parlare un linguaggio che può diventare interessante per giovani e meno giovani non impegnati direttamente nel mercato della carriera politica. Spesso sono diretti da giovani ed è specialmente a loro che va richiesto in questa fase difficile un contributo d’idee e di proposte.
Come Micropolis, vorremmo rappresentare uno degli strumenti di riflessione sull’Umbria e sulle possibilità di ridare una prospettiva di sinistra alle genti della nostra terra. Abbiamo sempre sollecitato contributi esterni alla redazione.
Sentiamo ora l’urgenza di aprire una discussione senza rete che coinvolga certo il ceto politico dei partiti, ma principalmente le intelligenze e le culture presenti nelle articolazioni della società regionale. Quelle forze che le formazioni politiche in campo non riescono a organizzare o meglio, non sono state in questi anni interessate a organizzare o ascoltare. Ci proviamo?
da Francesco Mandarini | Giu 28, 2009
Pessima la partecipazione popolare al referendum elettorale voluto dai soliti noti e appoggiato da Berlusconi, Fini e Franceschini. Con il 23% dei partecipanti entrerà nella storia come l’ultimo referendum? Gli esperti si sbizzarriscono con le loro dotte analisi per convincere gli italiani che, visto il fallimento di molti referendum, o si elimina il quorum o e meglio fare a meno dello strumento. Come al solito sotto c’è l’inganno. Sarebbe meglio per tutti se non si mistificasse la realtà e si facesse un discorso di verità . E la verità è che il mancato raggiungimento del quorum è frutto dell’assurdità dei quesiti proposti all’elettorato. Se vinceva il sì la legge risultante, sarebbe stata peggiore della porcata calderoniana. Esattamente due anni or sono, il 25 e 26 giugno, si svolse in Italia un referendum costituzionale, concernente l’approvazione della controriforma della Carta Costituzionale voluta dal centrodestra. Non ci fu in pratica campagna elettorale. Il centrosinistra non mobilitò grandi masse di popolo per contrastare un provvedimento che avrebbe stravolto la democrazia italiana. Non avendo avuto i due terzi dei voti in Parlamento, la legge doveva essere approvata attraverso un referendum confermativo. Non era previsto quorum. Presi a litigare tra loro, i leader del centrosinistra non si affaticarono più di tanto. Ricordo ad esempio che a Perugia, le poche iniziative furono gestite dalla sinistra “radicale” e la più riuscita fu indetta dal mensile Micropolis. Il PD era impegnato anche allora in organigrammi. Per fortuna che Silvio c’era, si potrebbe dire. Infatti, il 22 giugno Berlusconi con il solito stile dichiarò al Corriere della Sera: “Non credo che possa sentirsi degno di essere italiano chi domenica e lunedì non sarà andato a dare il suo sì all’ammodernamento della nostra Costituzione, a una riforma che darà a questo Paese più democrazia e libertà “. Parole sante che portarono al voto il 53,6% degli elettori. Vinse il no con il 61.7% dei voti. Come spesso succede il centrosinistra non fece tesoro di quella vittoria e riprese a sfiancarsi per rendere l’attività del governo Prodi una fatica di Sisifo. Tutto quanto sopra per dire che lo strumento referendum è in crisi quando i promotori sbagliano le domande da sottoporre al voto. Il popolo è a volte più saggio dei propri leader e, un’altra volta, il PD ha fatto la scelta sbagliata nel momento sbagliato invitando a votare sì. Le amministrative sono terminate con la netta vittoria del centrodestra. Negarlo è una stupidaggine. Sostenere, come ha fatto Franceschini, che i risultati elettorali sono stati l’inizio del declino della destra non sta nè in cielo nè in terra. Non è nemmeno consolatorio. Berlusconi non ha sfondato alle europee ed ha dimostrato di dare i numeri con il suo 45% di consensi preannunciato. (altro…)
da Francesco Mandarini | Giu 28, 2009
Pessima la partecipazione popolare al referendum elettorale voluto dai soliti noti e appoggiato da Berlusconi, Fini e Franceschini. Con il 23% dei partecipanti entrerà nella storia come l’ultimo referendum? Gli esperti si sbizzarriscono con le loro dotte analisi per convincere gli italiani che, visto il fallimento di molti referendum, o si elimina il quorum o e meglio fare a meno dello strumento. Come al solito sotto c’è l’inganno. Sarebbe meglio per tutti se non si mistificasse la realtà e si facesse un discorso di verità . E la verità è che il mancato raggiungimento del quorum è frutto dell’assurdità dei quesiti proposti all’elettorato. Se vinceva il sì la legge risultante, sarebbe stata peggiore della porcata calderoniana. Esattamente due anni or sono, il 25 e 26 giugno, si svolse in Italia un referendum costituzionale, concernente l’approvazione della controriforma della Carta Costituzionale voluta dal centrodestra. Non ci fu in pratica campagna elettorale. Il centrosinistra non mobilitò grandi masse di popolo per contrastare un provvedimento che avrebbe stravolto la democrazia italiana. Non avendo avuto i due terzi dei voti in Parlamento, la legge doveva essere approvata attraverso un referendum confermativo. Non era previsto quorum. Presi a litigare tra loro, i leader del centrosinistra non si affaticarono più di tanto. Ricordo ad esempio che a Perugia, le poche iniziative furono gestite dalla sinistra “radicale” e la più riuscita fu indetta dal mensile Micropolis. Il PD era impegnato anche allora in organigrammi. Per fortuna che Silvio c’era, si potrebbe dire. Infatti, il 22 giugno Berlusconi con il solito stile dichiarò al Corriere della Sera: “Non credo che possa sentirsi degno di essere italiano chi domenica e lunedì non sarà andato a dare il suo sì all’ammodernamento della nostra Costituzione, a una riforma che darà a questo Paese più democrazia e libertà “. Parole sante che portarono al voto il 53,6% degli elettori. Vinse il no con il 61.7% dei voti. Come spesso succede il centrosinistra non fece tesoro di quella vittoria e riprese a sfiancarsi per rendere l’attività del governo Prodi una fatica di Sisifo. Tutto quanto sopra per dire che lo strumento referendum è in crisi quando i promotori sbagliano le domande da sottoporre al voto. Il popolo è a volte più saggio dei propri leader e, un’altra volta, il PD ha fatto la scelta sbagliata nel momento sbagliato invitando a votare sì. Le amministrative sono terminate con la netta vittoria del centrodestra. Negarlo è una stupidaggine. Sostenere, come ha fatto Franceschini, che i risultati elettorali sono stati l’inizio del declino della destra non sta nè in cielo nè in terra. Non è nemmeno consolatorio. Berlusconi non ha sfondato alle europee ed ha dimostrato di dare i numeri con il suo 45% di consensi preannunciato. (altro…)
da Francesco Mandarini | Giu 24, 2009
Il sistema politico-istituzionale del nostro Paese è semplicemente disastroso. Per ogni ente vige un sistema elettorale diverso. Senza alcuna coerenza, senza un criterio comprensibile ai comuni mortali. Ogni regione può scegliere il suo sistema elettorale, per il comune vige un sistema diverso da quello per le province. I parlamentari europei sono stati eletti in modo differente da quelli della Camera e del Senato italiani. Sbarramenti, premi di maggioranza, proporzionale puro o corretto, simil maggioritario. Di tutto e di più. Elezione diretta di sindaci e presidenti, liste bloccate, preferenze singole o multiple secondo la struttura da rieleggere. Non esiste Paese al mondo con tante varietà di norme elettorali come da noi. Una confusione frutto di almeno quindici anni d’improvvisazioni delle diverse classi politiche al potere unite nell’aggiungere alla vecchia struttura pubblica nuovi meccanismi di funzionamento. In realtà si tratta sostanzialmente dello stesso ceto politico con l’innesto decisivo, nel 1994 di Berlusconi e dei suoi dipendenti Fininvest. La novità più rilevante negli anni è stata la formazione di partiti personali completamente dipendenti dal nome del Leader. Chiamare partiti quello che abbiamo sotto gli occhi sembrerebbe un’esagerazione. Un partito dovrebbe rappresentare pezzi di società civile e funzionare secondo statuti che ne organizzano il funzionamento e selezionandone la classe dirigente attraverso meccanismi trasparenti e democratici, contribuire al funzionamento dello Stato. (altro…)
da Francesco Mandarini | Giu 24, 2009
Il sistema politico-istituzionale del nostro Paese è semplicemente disastroso. Per ogni ente vige un sistema elettorale diverso. Senza alcuna coerenza, senza un criterio comprensibile ai comuni mortali. Ogni regione può scegliere il suo sistema elettorale, per il comune vige un sistema diverso da quello per le province. I parlamentari europei sono stati eletti in modo differente da quelli della Camera e del Senato italiani. Sbarramenti, premi di maggioranza, proporzionale puro o corretto, simil maggioritario. Di tutto e di più. Elezione diretta di sindaci e presidenti, liste bloccate, preferenze singole o multiple secondo la struttura da rieleggere. Non esiste Paese al mondo con tante varietà di norme elettorali come da noi. Una confusione frutto di almeno quindici anni d’improvvisazioni delle diverse classi politiche al potere unite nell’aggiungere alla vecchia struttura pubblica nuovi meccanismi di funzionamento. In realtà si tratta sostanzialmente dello stesso ceto politico con l’innesto decisivo, nel 1994 di Berlusconi e dei suoi dipendenti Fininvest. La novità più rilevante negli anni è stata la formazione di partiti personali completamente dipendenti dal nome del Leader. Chiamare partiti quello che abbiamo sotto gli occhi sembrerebbe un’esagerazione. Un partito dovrebbe rappresentare pezzi di società civile e funzionare secondo statuti che ne organizzano il funzionamento e selezionandone la classe dirigente attraverso meccanismi trasparenti e democratici, contribuire al funzionamento dello Stato. In realtà quello che oggi si può dire è che i partiti in campo sono tutti pezzi dello Stato e, i suoi eletti, sono funzionari, in genere ben pagati, della struttura pubblica. La politica è anche qualcosa di diverso da una delibera di giunta. I partiti produttori di dipendenti pubblici non sono esattamente quelli che prevede la nostra Costituzione. La leggendaria stagione delle “Leggi Bassanini” dei primi anni “˜90 sarà ricordata per il grado di leggiadra creatività nella riforma della pubblica amministrazione e particolarmente per quella degli Enti Locali. Una grande riforma che introdusse il concetto di managerialità assegnando ai vertici burocratici degli enti tutto il potere amministrativo. (altro…)