Democrazie popolari

Dichiarazione del consigliere regionale Dottorini del 18 novembre:”Un patto trasversale all’interno della Commissione sta portando alla costruzione di una legge elettorale che prevede l’introduzione di un listino di nominati dai partiti, togliendo agli elettori la possibilità  di scegliere i propri rappresentanti nelle istituzioni. E’ un fatto della massima gravità  che non ci vedrà  corresponsabili, dal momento che siamo contrari a qualsiasi ipotesi di liste bloccate o listini.
Si fa sempre più concreto il rischio che in Umbria si vari una legge elettorale che assomiglia nella sua filosofia al tanto criticato Porcellum, con consiglieri nominati dai partiti in un listino bloccato, senza dare la possibilità  agli elettori di esprimersi su quei nomi. Il fatto che oggi il Pd nonostante le enunciazioni ufficiali sia a livello nazionale che regionale, abbia posto questo come punto irrinunciabile, ci fa temere il peggio. Con il placet dell’opposizione e tra silenzi imbarazzati, si sta confezionando un pacco ai cittadini che assomiglia molto a quello del famigerato Porcellum.”
Ci eravamo illusi. Si fanno congressi, si indicono primarie per leggere il segretario del partito ma il ceto politico vuol salvaguardare se stesso al di là  di un minimo di coerenza rispetto a quanto urlato in questi anni contro la legge elettorale imposta da Berlusconi nel 2006 per ingannare gli elettori. Così nelle regioni dove governa il centrosinistra si confermano leggi elettorali che consentono alle oligarchie di nominare i consiglieri regionali senza alcun mandato del popolo? Sembra proprio di sì. Con buona pace di Bersani il cui primo impegno da segretario, sarebbe stato quello di modificare anche con legge di iniziativa popolare, l’obbrobrio dei nominati in parlamento.
E dei nominati in consiglio regionale niente da dire? Silenzio agghiacciante di Bersani e dei leader locali e nazionali della sinistra riformista, radicale, alternativa e via elencando.
Si sono svolte grandi feste per il ventennale della caduta del muro di Berlino. Segnò la fine del socialismo reale e dei suoi regimi. Bene. Sapete come funzionavano le elezioni nelle così dette democrazie popolari della Polonia, dell’Urss o dell’Ungheria? Per tutelare gli uomini e le donne degli apparati, il partito, con la p maiuscola, metteva in lista i candidati alle cariche pubbliche e l’elettore metteva una croce sul simbolo di partito senza mai poter scegliere chi eleggere nell’assemblea. Liste bloccate. Ricordi di gioventù rinverditi dai listini dei nostri sistemi elettorali bipartisan. Cadono i muri ma gli apparati resistono. Inossidabili.
La filosofia della governabilità  e il presidenzialismo hanno prodotto danni enormi alla democrazia rappresentativa senza aver prodotto alcuna sostanziale modifica alla qualità  del governo locale o nazionale che sia. Ancora non se ne sono resi conto? No. Continua a prevalere l’autoconservazione di un ceto politico che non ha nemmeno il coraggio di farsi eleggere dal popolo, preferisce la nomina.
Pessima stagione quella che viviamo. Molti sostengono che siamo entrati nel crepuscolo di Berlusconi. E’ possibile, ma rimango convinto che il berlusconismo sia ben presente nella società  italiana al di là  del destino del Cavaliere di Arcore.
Una società  la nostra, in cui i fattori negativi derivanti dalla crisi economica sono aggravati da una politica incapace di trovare la strada per impedire un arretramento non solo della ricchezza materiale che si produce. Non è solo questione di PIL.
Significativa la settimana che si chiude oggi. Uno spettro si aggira per l’Italia: quello delle elezioni politiche anticipate. Si dirà , ma come il centrodestra ha una maggioranza schiacciante in parlamento, il Capo si autodefinisce il più bravo primo ministro della storia italiana, la legislatura è all’inizio e a destra si minaccia il ricorso alle urne? Che succede? Chi ha agitato il pericolo? L’ala dura e pura del PDL e la seconda carica dello Stato. Il presidente del Senato, Schifani, è colui che sostituisce il Capo dello Stato in caso di impedimento.
E’ quindi una figura istituzionale al di sopra delle parti che dovrebbe star lontano dalle schermaglie della politica. Schifani è certamente edotto che soltanto Napolitano ha il potere di sciogliere il Parlamento e indire elezioni. Perchè tornando dalla sua Sicilia si spericola ad invocare il ricorso al popolo se cade Berlusconi? Invade un campo che non è suo e commette uno strappo istituzionale grave in ossequio al Capo.
Di strappi sembra vivere una democrazia in affanno e la nostra lo è da molti anni. Sotto i colpi di un’egemonia politica e culturale in cui è scomparsa ogni idea di progetto di salvaguardia collettiva dell’interesse generale, la deriva è inevitabile.
Come è possibile che nel pieno di una crisi economica epocale un Paese rilevante come l’Italia, il parlamento sia bloccato nella sua attività  dall’affannosa ricerca di come impedire che la magistratura eserciti i suoi poteri come da Costituzione vigente? Che senso ha contribuire, come fa anche il centrosinistra, a costruire una pubblica opinione partendo dall’avanspettacolo dei dibattiti televisivi? Che l’agenda politica del Paese sia scritta nel salotto di Bruno Vespa o in quello di Santoro è assolutamente insopportabile.
Si invocano riforme come panacea ma l’unico risultato è l’esplodere di conflitti istituzionali incomprensibili anche perchè ininfluenti rispetto alle concrete preoccupazioni di un popolo che non vede un futuro positivo per se e per le nuove generazioni. Se è vero che al peggio non c’è mai fine è anche vero che la speranza è l’ultima a morire, ma quanta pazienza ci vuole
per continuare ad avere fiducia nel Bel Paese.

Sudamerica

Alla fine del prossimo marzo si svolgeranno le elezioni per il rinnovo di molti consigli regionali.  La scadenza ha assunto un valore politico che va al di là  dell’oggetto della competizione che è, appunto, quello di elezioni parziali che riguardano enti diversi dal parlamento.
Sia il centrodestra che il centrosinistra sono alla ricerca di candidati forti per la presidenza delle diverse regioni.  Non si discute affatto dei programmi da sottoporre agli elettori, ciò che appassiona è la ripartizione del potere all’interno degli schieramenti, tra le diverse forze politiche e non da ultimo, di quale equilibrio realizzare all’interno dei singoli partiti.
Per tradurre, il Partito della Libertà  ha al suo interno diverse “anime”, tutte rivendicano visibilità  e la Lega di Bossi pretende ciò che gli spetta in numero di presidenti della padania libera mettendo, così, in ambasce Berlusconi. Come è noto, il Capo è in ben altri problemi affaccendato. Avrebbe bisogno di tranquillità  e non delle beghe causate della spartizione del potere locale tra Bossi, Galan o Formigoni.
Il PD è ancora in costruzione, ha anche esso al suo interno sensibilità  diverse che non possono non essere considerate nell’indicare i candidati alle leadership delle regioni.
E’ pur vero che con il lungo congresso il PD ha rimescolato le carte, i franceschiniani non sono tutti ex Margherita e Bersani non organizza tutti gli ex diessini. Ma ancora l’amalgama non sembra concluso e la scadenza elettorale non aiuta a trovare la quadratura del cerchio. Ciò che resta della sinistra non riesce a darsi, non dico un contenitore unico, ma nemmeno a trovare una linea comune. Si contratta qualche posto nei listini, si invoca la promessa di qualche assessore. Il pallino è ben saldo nelle mani del PD. Anche l’ultimo tentativo, in ordine di tempo, di Sinistra e Libertà  implode con l’uscita della componente dei Verdi e proprio ieri di quella socialista. L’esperienza di governo di Vendola in Puglia corre il rischio di esaurirsi sotto le macerie di  quello che a dicembre doveva divenire un nuovo partito della sinistra italiana.
Essendo poi la politica diventata un mestiere, la carriera del singolo assume rilievo e condiziona molto la discussione interna alle coalizioni e ai partiti. Una discussione che è confinata nel mondo a parte del ceto politico. Non può affascinare il popolo. Ormai tramortita da una politica invadente quanto inconcludente, la democrazia italiana non sembra più in grado di reagire.
Studiosi italiani e non solo guardano con allarme lo stato delle istituzioni repubblicane. L’equilibrio tra i poteri è sottoposto ogni giorno a invasioni di campo che hanno trasfigurato la democrazia italiana. La nostra è una repubblica parlamentare che si va trasformando in una repubblica presidenziale alla sudamericana anni ’50 nell’indifferenza di molti. Sostenere ad esempio che gli italiani hanno eletto capo del governo Berlusconi è una mistificazione. Gli italiani hanno votato dei partiti i quali hanno scelto chi nominare in parlamento. Il capo dello stato ha indicato Berlusconi come premier, il parlamento ha votato la fiducia al governo Berlusconi. Il potere di eleggere il capo dell’esecutivo è anche oggi formalmente nelle  mani del parlamento e non direttamente in quelle della volontà  popolare. D’altra parte nelle democrazie occidentali soltanto Israele elegge il primo ministro e lo fa sulla base della sua Costituzione. La nostra non lo prevede, con buona pace del ciarliero Senatore Gasparri.
Con qualche ragione si dirà  che nella stagione della cultura berlusconiana il senso comune intende Berlusconi come il Capo, espressione della volontà  popolare e quindi autorizzato a confliggere con quei poteri non democraticamente eletti dal popolo. Ma questo comune sentire ha poco a che fare con la democrazia liberal-democratica. E’ questo il risultato dell’egemonia esercitata da una destra illiberale unica in Europa, quella italiana, e delle balordaggini istituzionali del centrosinistra. Aver imposto l’elezione diretta dei sindaci poteva avere un senso, aver modificato la Costituzione per eleggere direttamente il presidente di regione invece ha aperto la strada alla volontà  plebiscitaria di Berlusconi. Anche una parte del popolo non berlusconiano può essere affascinato dall’elezione del Sindaco d’Italia. Se poi questo sarà  Berlusconi anche formalmente, ogni lamentazione sarà  fuori luogo.
E c’è poco da meravigliarsi se anche in Umbria la discussione politica è tutta condizionata dagli organigrammi degli enti pubblici. Tutti parlano della gravità  della crisi, non passa giorno che un presidio produttivo non entri in difficoltà , ma non c’è luogo in cui la politica affronta nel concreto i nodi strutturali della nostra terra. Innovare o conservare è un falso problema se non si ha la consapevolezza della realtà  e non se ne conoscono le debolezze e le potenzialità . Che niente sarà  più come prima della crisi economica esplosa nel 2008 anche in Umbria è cosa certa, il problema è come costruire qualcosa di diverso dal conosciuto e dal già  fatto. Il ruolo dell’intervento pubblico non può che modificarsi sia per la crisi della finanza pubblica, sia per le mutate aspettative delle forze produttive. Un solo esempio. Il governo centrale ha tagliato in finanziaria gli stanziamenti per la realizzazione della banda larga. Dell’infrastruttura necessaria a velocizzare la trasmissione dei dati senza la quale difficile immaginare una comunità  capace di competere in un mondo reso più piccolo proprio dalla velocità  resa possibile dalle nuove fibre ottiche. Il governo commette un errore, ma qui in Umbria che si fa? Si protesta contro il taglio o si mettono in campo provvedimenti e idee per procedere nell’informatizzazione della pubblica amministrazione? Si creerebbe quel mercato senza il quale le imprese innovative non possono crescere. E’ noto che la maggior parte del prodotto interno regionale è dovuta al settore pubblico. Se il pubblico non investe in innovazione come si salvaguardano e si fanno crescere le punte di eccellenza?

Funzionari dello Stato

Finalmente Berlusconi è entusiasta di una valutazione sull’Italia che viene dall’estero dopo anni di cattive notizie sullo stato del bel paese. Dopo editoriali e scritti che descrivevano il disagio della democrazia italiana e la pochezza delle sue classi dirigenti, da Parigi è arrivata la novità  che ha reso felice il premier.
L’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) ha valutato che l’Italia, assieme a Gran Bretagna, Francia e Cina ha segnato a settembre forti segnali di ripresa economica. Il super indice utilizzato dimostra che questi Paesi hanno segnato indici positivi dopo mesi pessimi degli indicatori economici. Il peggio è alle nostre spalle ha gridato il Capo e addirittura, ha sostenuto, abbiamo superato la Gran Bretagna nella classifica dei Paesi più ricchi del pianeta. Felice come quando il Milan ha battuto il Real Madrid, Berlusconi è apparso incontenibile.
E’ pur vero che la stessa organizzazione invita alla cautela: si tratta di una ripresa che ha una sua fragilità  e non assicura affatto un futuro di crescita sostenuta. Tanto è vero questo che le stime ci dicono che per raggiungere il prodotto interno del 2007, l’Italia dovrà  aspettare, se tutto va bene, il 2013. Quisquilie, l’importante è che per una volta non siamo, come solito, in fondo alle classifiche europee per quasi tutti gli indicatori di benessere sociale. Qualche dubbio dovrebbe venire a tutti quando le borse tornano a salire e, contemporaneamente, aumenta il numero di disoccupati in tutto l’occidente. Negli Stati Uniti in un mese si sono persi 190 mila posti di lavoro e Obama non sembra così euforico come lo sono i nostri governanti. Il rischio di un’altra bolla finanziaria speculativa rimane dietro l’angolo. Se non riparte l’economia reale, se il potere d’acquisto delle famiglie continua a decrescere, gli speculatori della finanza proseguiranno ad assegnarsi bonus miliardari, ma le occasioni per far lavorare i giovani non aumenteranno. Assieme ai nuovi disoccupati continueremo ad avere un’emigrazione intellettuale di giovani e di donne e un impoverimento strutturale della nostra economia.
La fiducia sulle possibilità  di uscire dalla crisi provocata dall’ideologia liberista è cosa giusta e fa bene Berlusconi a segnalare i dati incoraggianti, dovrebbe però aggiungere qualcosa rispetto alle prospettive di medio periodo. Un discorso di verità  deve essere fatto. Se si vuole invertire la tendenza al degrado è necessario individuare con esattezza i punti di arretratezza di un Paese che accanto a punti di eccellenza ha gravi anomalie.
Un discorso che non riguarda soltanto il governo centrale.
Anche in Umbria è necessario che le classi dirigenti dicano come stanno le cose e quali prospettive ha la nostra terra.
Il partito democratico ha svolto un lungo congresso utilizzando il meccanismo delle primarie per la scelta del ceto dirigente. Al di là  di ogni valutazione rispetto ai meccanismi scelti, è indubbio che quando 70 mila umbri vadano a votare per scegliere uomini e donne da impegnare nella vita politica, si ottiene un risultato democraticamente rilevante e si dimostra una vitalità  che tanti non riconoscevano a questo partito mai nato. E’ stata una buona cosa per la democrazia e per il centrosinistra. Senza il risveglio del popolo che si riconosce nel PD, difficilmente si può sperare in qualcosa di positivo nel rapporto tra la politica e la gente comune. In Umbria nessun candidato ha raggiunto il quorum per essere eletto. Sarà  l’assemblea regionale del 14 novembre a scegliere chi guiderà  il PD per i prossimi anni. Le cose sono complicate e non sarà  semplice trovare una soluzione che tenga insieme forze che esprimono quelle che Stramaccioni ha definito due linee alternative. Come previsto la campagna elettorale “interna” ha lasciato morti e feriti. E’ un eufemismo dire che i rapporti nei gruppi dirigenti non sono al massimo. Si sono stratificate tensioni che durano da anni e che si sono accentuate in questi mesi di lotte intestine. Amicizie pluriennali interrotte, vendette promesse.
In questo va sottolineata una responsabilità  collettiva di un ceto politico che ha, per molti anni, guardato al proprio ombelico senza mai porsi il problema di regole trasparenti per costruire una linea comune che consentisse processi di rinnovamento senza i quali nessun organismo sopravvive nel tempo. Con la scomparsa dei partiti di massa si è dissolta anche l’attività  politica autonoma dalle istituzioni. Uno si sente dirigente politico esclusivamente se è eletto o nominato in un ente. Se diventi segretario di una struttura di base questo è il viatico per andare a occupare nel prossimo futuro quell’incarico pubblico. Da anni è stata questa l’aspettativa delle forze in campo giovani o no che fossero.
Non si vive per la politica ma di politica. E’ stato questo l’orizzonte imposto da un ceto politico incapace di guardare al di là  dei propri interessi. Difficile dire se si ha coscienza dei danni che questo processo di schiacciamento sulle istituzioni ha comportato. Oggi i partiti hanno perduto qualsiasi capacità  di autonoma elaborazione e il rapporto con i cittadini avviene sempre attraverso il fatto amministrativo. I partiti attuali sono organizzazioni che non sono quelle disegnate dalla Costituzione all’articolo 49. Non concorrono con metodo democratico a determinare la politica nazionale, occupano lo Stato ed altro.
Nel momento di maggior debolezza della politica è la politica che interferisce continuamente con la vita dei cittadini. Sono tutti diretti da una sorta di funzionari dello Stato che esauriscono il loro lavoro politico nel movimento deliberativo di una giunta o di un consiglio. La sfida per il PD, e non solo, è quella di ridare alla politica un ruolo diverso. Prima di tutto formando gruppi dirigenti che si costruiscono attraverso un paziente percorso di formazione nell’attività  di ascolto delle concrete realtà  che il popolo vive.
Il processo di rinnovamento dovrebbe nascere da un’ambizione. Quella di produrre una specie di rivoluzione copernicana che induca la passione politica a progettare un futuro diverso invece che galleggiare in un esistente non proprio entusiasmante.