Ricominciano

Si ricomincia. Sembra ieri, ma ormai sono almeno trenta anni che le forze politiche, ripetitive come l’influenza stagionale, si ingegnano per cambiare la Carta costituzionale. Tra bicamerali, grandi riforme preannunciate con enfasi da Bettino Craxi e mai chiarite nella loro filosofia istituzionale, sono passati da un fallimento ad un altro. I protagonisti sono praticamente gli stessi come in una telenovela brasiliana. Un lungo psicodramma di una classe politica sulle cui capacità  pochi scommettono. In stagioni diverse hanno prevalso forzature in Parlamento fatte dal centrosinistra e dal centrodestra senza che nessuno riuscisse a spiegare quale fosse l’interesse del Paese a cambiare il modello istituzionale frutto di una stagione politica straordinaria come quella seguita alla fine della guerra nazi-fascista. Tutti sembrano aver rimosso il fatto che il popolo, soltanto quattro anni fa, il 25 e 26 giugno del 2006, ha votato massicciamente in un referendum contro sostanziali modifiche della Carta. Che se ne dimentichi il centrodestra, si capisce considerando che quelle erano proposte volute da Berlusconi, ma inquieta che il centrosinistra non utilizzi quel voto di popolo per respingere le ipotesi presidenzialiste del leader di Arcore. L’imbarazzo dei riformisti appare una stranezza.
Che sia la volta buona per andare verso un sistema politico più moderno ed innovativo come auspicano in molti? Coerenti con la loro antica tesi del Sindaco d’Italia, pezzi importanti del PD sembrano attratti dal semipresidenzialismo alla francese proposto dalla Lega e da Berlusconi. Le prospettive sono ancora incerte, ma la discussione e’ aperta. Immaginare un presidente eletto direttamente dal popolo non e’ di per sè  angosciante. Esistono democrazie che funzionano bene anche con il presidenzialismo. L’incubo scatta quando si immagina un plebiscito per il Capo che non solo si fa eleggere direttamente, ma che nomina anche, ad uno ad uno i parlamentari. Attualmente, è noto, la Camera e il Senato sono formati non da eletti dal popolo, ma nominati dalle oligarchie di partito. Berlusconi non vuol cambiare la legge elettorale, vuole soltanto l’elezione diretta del Capo.  Arriveremmo al paradosso che il popolo vota per il presidente che, a sua volta, nomina i suoi parlamentari? Il famoso ingegno italico tornerebbe in campo alla grande. Al confronto, le democrazie popolari, dell’impero ex sovietico, sembrerebbero essere state delle situazioni di democrazia partecipata. La Romania di Ceausescu o la Cecoslovacchia del dopo Dubcek, regni della libertà . La stessa URSS di Breznev un paradiso degli eredi di Pericle. Non esiste nessuna democrazia in cui il presidente o primo ministro abbia poteri assoluti sul parlamento. Il Presidente Obama ha impiegato oltre un anno per far approvare la riforma sanitaria dovendo contrattare anche le virgole del provvedimento con i senatori e con i membri della camera. In Italia Berlusconi vara un decreto legge, mette la fiducia ed in quindici giorni fa approvare ciò che vuole. Non basta? Il Presidente Napolitano ha ragione quando dichiara: “Basta approssimazioni. Una serie di riforme non più procrastinabili: fisco,sicurezza sociale, ricerca e giustizia”. (altro…)

Un consiglio

Ricordo che, a metà  degli anni sessanta, si sviluppò un’intensa discussione tra filosofi,  dirigenti politici e giovani intellettuali incentrata su due visioni dei valori e delle idealità  da introdurre nell’agire  politico.
Una tesi sosteneva che un movimento politico doveva  assumere ed operare come se la verità  fosse sempre rivoluzionaria, l’altra che  essendo la rivoluzione la verità , è legittimo che per la rivoluzione si possa anche falsificare la realtà . Non c’era da spartirsi incarichi ma solo rendere evidente il modo di essere di un partito che voleva cambiare il Paese, forse per questo fu una discussine avvincente. Non ricordo tutti i protagonisti del confronto, ricordo che alla fine prevalse la prima tesi: la verità  è sempre rivoluzionaria. Formalmente fu così, nella sostanza le mezze verità  o la distorsione di questa, non scomparvero affatto nell’agire politico. Ma almeno si discusse di valori e non di posti e prebende.
Non ricordo come la pensavo in quei tempi, adesso sono assolutamente certo che la verità  è sempre la cosa giusta da dire. Convinto di questo, non nascondo il mio sbigottimento rispetto  al commento del leader del PD sul risultato elettorale delle elezioni regionali. Perdere due milioni di voti e quattro regioni fondamentali è semplicemente una sconfitta grave per una forza politica. Che non bisogna arrendersi alla catastrofe è altra cosa. (altro…)