La firma
Non ha ancora firmato. Allarme fortunatamente a borsa chiusa. Evidentemente non c’era urgenza d’intervenire per affrontare una crisi che sta mettendo in dubbio la stessa esistenza della moneta unica europea. Martedì, Berlusconi aveva con determinazione, preteso che il Consiglio dei Ministri approvasse a scatola chiusa il decreto di tagli per 24 miliardi voluto dal ministro Tremonti. Venerdì viene comunicato dal Capo che la firma necessaria non c’è ancora. Chi ci capisce qualcosa è bravo. La realtà è semplicemente questa: a quattro giorni dalla decisione del governo, non c’è ancora un testo definitivo del decreto. Non esiste perchè le forze politiche al governo sono divise su cosa inserire nel decreto, su quali interventi fare. Si aboliscono le province con meno di 220 mila abitanti? Tremonti dice di sì, Berlusconi lo nega e Bossi annuncia guerra civile se si abolisse la provincia di Bergamo. Che statista straordinario. Si spostano i versamenti delle liquidazioni dei dipendenti pubblici? E chi lo sa. Formigoni, il presidente della regione lombarda, denuncia che, con questi tagli alle regioni e alle autonomie locali, muore ogni ipotesi federalista. Calderoli ministro leghista assicura che non è così. Federalismo sarà , lo assicura Berlusconi. Si potrebbe continuare ad elencare le divisioni della destra, ma sarebbe un esercizio inutile. Soltanto sabato in tarda mattinata il decreto viene consegnato a Napolitano. Non ne conosciamo il contenuto finale.
La prima cosa che una classe dirigente dovrebbe fare sarebbe quella di dire la verità agli italiani. E la verità è che la crisi che stiamo vivendo non nasce con il caso Grecia, ma ha origine dalle contraddizioni e dalle debolezze del nostro Paese. Nei due anni di governo Berlusconi si sono persi 700 mila posti di lavoro, la produzione industriale è tornata ai livelli del 1985, intere generazioni di giovani sono senza lavoro, la spesa pubblica è cresciuta senza controllo e senza aumentare la qualità dei servizi al cittadino. Berlusconi ha dichiarato: abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità . Domanda: chi ha avuto questa possibilità , signor presidente?
L’Italia è il Paese occidentale in cui la differenza tra ricchi e poveri è aumentata in maniera patologica. Siamo i primi al mondo in accoppiata con gli Stati Uniti. I poveri sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi. L’impoverimento riguarda anche fasce ampie di ceto medio e soltanto il risparmio delle famiglie ha consentito a molti un livello di vita accettabile. Il popolo in questi anni non ha scialacquato, non ne ha avuti i mezzi.
Aver sostenuto per mesi che la crisi era alle nostre spalle contrasta con la richiesta di sacrifici che ci impone lo stato dei conti pubblici. Al di là dei vincoli europei. Non è questione di pessimismo o ottimismo. Nessuno può sostenere che non bisogna intervenire anche chiedendo al popolo dei sacrifici. L’Italia, la sua storia lo dimostra, riesce a dare il meglio di sè nei periodi difficili. Se è chiara la strada e le prospettive che si vogliono raggiungere la risposta è sempre stata positiva. Il piccolo imprenditore o la casalinga riescono ad inventare atteggiamenti per superare le fasi di crisi. Se ritiene giusta l’azione delle leadership al potere, il popolo sa rispondere con passione e intelligenza.
Ciò che non è più tollerabile è il continuare a pretendere che soltanto una parte del Paese sia sacrificata. La crisi ha origini diverse, ma la principale è stata la finanziarizzazione dell’economia e la conseguente speculazione. Il paradosso è che gli artefici del disastro, i beneficiari della rapina, gli arricchiti dalla crisi, i rentier di ogni tipo continuano ad essere esentati dal sacrificio richiesto agli altri.
Nei provvedimenti noti non c’è nulla che lasci prevedere una qualche forma di contenimento della speculazione o di contributo da parte delle fasce benestanti. (altro…)