Dai nominati alla partecipazione
Come Carlo d’Inghilterra, anche Angiolino Alfano non diventerà mai Re. Il suo destino sembra essere quello dell’eterno delfino dell’uomo di Arcore. Le cronache politiche descrivono la situazione iniziando dal sotterraneo lavorio degli uomini più fidati del cavaliere per rendere perigliosa la vita del governo Monti e nello stesso tempo impedire che finalmente l’Italia si doti di una legge elettorale capace di ridare lo scettro al popolo sovrano. L’affannosa ricerca di un sistema di voto che contempli governabilità e rappresentanza non ha fatto passi in avanti per l’incapacità dei partiti di andare oltre l’interesse del ceto politico in campo. Molti non sembrano capire che se il berlusconismo è ormai defunto, il suo funerale non è stato ancora consumato e di zombi in giro se ne vedono parecchi a tutte le latitudini politiche. La tentazione di Leghisti e Pidiellini di farsi, ancora una volta, una legge elettorale su misura, rischia di far saltare il governo e sta portando altri danni a una democrazia ormai esangue. Il populismo esulta grazie all’ignavia di quelli che dovrebbero decidere per il bene comune e invece sembrano pensare soltanto al destino dei propri fondi schiena. Giustamente Napolitano ha rivendicato a sè la responsabilità ultima dell’indizione di nuove elezioni nel suo sollecito ai partiti di fare l’interesse del Paese votando una legge elettorale che consenta elezioni democratiche e non le truffe frutto della legge attuale. Non esiste sistema elettorale perfetto, ma nessuna nazione moderna è governata da un parlamento di nominati dalle segreterie di partito. Anche tralasciando che quelli che ci ostiniamo a chiamare partiti, sono in realtà agglomerati di persone in campo da una vita che bisticciano spesso sul sesso degli angeli, in Italia le assemblee legislative non sembrano in grado di assicurare fluidità nel governo e rappresentanza degli interessi e delle idealità di parti sostanziali della società italiana. Ognuno ha in testa un sistema di voto, vale anche per me. Che il sistema proporzionale, diciamo alla tedesca, sia più consono alla tradizione italiana mi sembra indubitabile. Ma sono aperto ad altre soluzioni. Giustamente si sostiene che la sera del voto bisogna sapere chi governerà il Paese. In Germania è così, esattamente come in Francia e in Inghilterra che hanno sistemi diversissimi. In nessuna nazione esiste un premio di maggioranza ma si hanno di solito governi stabili. Perchè il Pd insiste per un sistema così poco europeo? Il sistema dei collegi elettorali piccoli o grandi che siano risolve il problema del rapporto tra eletto ed elettore? Può essere in parte vero. La questione è chi decide e come si decide il candidato del collegio. Come facciamo a dimenticare la candidatura di Di Pietro nel collegio “rosso” del Mugello o di Adornato nel collegio sicuro di Perugia. Non lo decisero certi gli iscritti del Pds del Mugello o di Perugia. Il nodo è il funzionamento dei partiti, la loro democrazia interna, la metodologia della formazione dei gruppi dirigenti. Nei disciolti partiti di massa la discussione sulle liste elettorali durava settimane e alla fine si riusciva a trovare un compromesso tra le esigenze del territorio e quelle della direzione centrale del Partito. Oggi non è più così. Anche se la nostalgia non è una categoria della politica, bisognerebbe inventarsi un metodo che consenta più partecipazione alla scelta degli eletti con regole chiare e vincolate dall’esigenza di innescare processi di rinnovamento radicale delle classi dirigenti. Risponde a ciò il meccanismo previsto dal Pd delle primarie? Essendo un fautore della democrazia nel partito e contrario alla personalizzazione della politica, non sono stato mai entusiasta del meccanismo copiato male da quello vigente negli Stati Uniti. Comunque, in mancanza di partiti non liquidi vanno bene anche le primarie se aperte a diverse candidature e riferite anche alla scelta dei candidati al parlamento nazionale. Sull’esigenza di mettere in campo nuove energie sembrano tutti concordare. Se è così, le regole dovrebbero impedire a chi ha rivestito, per decenni, cariche pubbliche e quindi ovviamente conosciuto, di essere ancora in gioco nella tenzone per un seggio in parlamento. Aborrisco che chi è sindaco o presidente in carica si candidi senza prima dare le dimissioni. Un tempo vigeva la norma dell’ineleggibilità per diverse figure, la nuova politica ha abolito anche questo vincolo di trasparenza. Sarebbe buona cosa che i partiti, nonostante la mancanza della normativa, applicassero ai propri candidati questa regola. Non lo faranno e i Grillini esulteranno e il non voto si allargherà a dismisura. Rimane misterioso come dirigenti stagionati che hanno attraversato epoche politiche diverse, non sembrano rendersi conto che la violenza della crisi economica sta portando la protesta di massa a un punto di non ritorno e verso il rifiuto della politica come strumento di soluzione dei problemi. Non è tempo di dimostrare che soltanto una buona politica potrà far uscire il Paese dalla crisi nata dalle atroci politiche liberiste della destra al governo in quasi tutta Europa?
Corriere dell’Umbria 5 agosto 2012