Destre momento critico
Settimana da incorniciare per l’Italia governata, si fa per dire, dai barluscones.
Ha iniziato la Banca d’Italia comunicando che la produttività  si è abbassata del
25% e che gli altri indicatori economici sono tutti pessimi: scrollata di spalle
dei dirigenti forzisti. Interviene l’Avvocatura generale dell’alta corte europea
per definire illegittima l’IRAP, la tassa regionale sulle attività  produttive che
porta nelle casse dello Stato 21 miliardi di Euro all’anno. L’efficiente Ministro
Siniscalco rassicura che prontamente il governo interverrà . Da ultimo ti arriva
L’Eurostat, istituto di statistiche europee, per annunciare l’impossibilità  di
certificare i dati del bilancio italiano per gli anni 2003 e 2004. I dati non sono a
posto. I conti non tornano. Berlusconi inveisce contro i burocrati di Bruxelles.
Eppure era una settimana iniziata in grande allegria. Il cavaliere, utilizzando il
consueto salottino televisivo, accudito come un bambino dall’elegante e
servizievole Vespa, aveva comunicato al mondo che le truppe italiane
avrebbero iniziato a ritirarsi dall’Iraq il prossimo settembre. La notizia,
rilanciata da tutti i network televisivi e dalla carta stampata, era giunta alla
Casa Bianca tramite la CNN e a Londra a mezzo BBC. Blair ha rischiato di
ingoiare un tramezzino intero e G.W.Bush ha rischiato il soffocamento da
hamburger. Il mondo politico italiano è entrato in fibrillazione e i grandi
editorialisti si sono cimentati con ardite interpretazioni del significato
dell’annuncio berlusconiano.
Ce lo poteva dire prima, lamentano i riformisti-riformisti. Avremmo potuto
anche noi votare per il rifinanziamento della missione in Iraq, che diamine, non
aspettavamo altro.
Bastano poche ore, qualche telefonata in inglese e il “nostro” trasforma tutto in
un’ennesima barzelletta dovuto alla consueta congiura dei giornalisti comunisti
infiltrati anche nei mass media anglosassoni. Via dall’Iraq? E quando mai.
Staremo in quel Paese fino a quando lo vorranno i nostri amici americani.
Siamo tutti più tranquilli sapendo che l’amico George si è fatto una grande
risata finendo l’hamburger e che Tony è potuto tornare a sorridere pappandosi
il suo tramezzino alla mostarda.
Allegria per tutti meno che per il Presidente Ciampi. Annichilito per il disprezzo
del Parlamento dimostrato anche in questa circostanza da Berlusconi, il
Presidente della Repubblica non ha apprezzato la giovialità  del cavaliere di
Arcore.
Che vogliamo di più? Quale altro Paese può vantare un primo ministro così
creativo? E in quale altra nazione una campagna elettorale si svolge con tante
cortesie tra competitori come quella per le regionali del 3 e 4 aprile?
Nonostante l’arrivo di leader nazionali di rilievo, il confronto politico non cresce.
Aumenta certamente il colesterolo a causa delle cene e banchetti elettorali, ma
parlare di un dibattito sui programmi delle due coalizioni ci sembra eccessivo.
E’ responsabilità  dei singoli candidati produrre programmi di governo? Difficile
immaginarlo. I partiti funzionano ormai soltanto come comitati elettorali e
risolto il problema delle liste sembrano ritirarsi in attesa dei risultati per la resa
dei conti.
Le coalizioni esprimono piattaforme di governo molto generiche. Quando si
tratta di conquistare la preferenza personale bisogna mettere in campo altre
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risorse organizzative e lo spazio per grandi confronti ideali sembrano proprio
un lusso.
D’altra parte, il quadro di riferimento nazionale è quanto mai incerto. Il debito
pubblico allargato sembra di difficile controllo e in un quadro di trasferimenti
centrali decrescenti è complesso immaginare credibili programmi di sviluppo
economico. Salvaguardare lo stato sociale diviene difficile. A Roma si sta
votando una “riforma” costituzionale che muterà  alla radice il sistema
istituzionale italiano con riflessi serissimi per il ruolo e significato degli enti
regione e delle autonomie locali. Altro che federalismo solidale. Il rischio è
quello di una confusione istituzionale in cui le aree forti diventeranno più forti
alla faccia della parte debole del Paese. L’Umbria non è il meridione, ma
immaginare un’autosufficienza delle nostre risorse per mantenere servizi
essenziali e per risolvere i nostri problemi infrastrutturali e della struttura
economica è una sciocchezza.
In un quadro così complesso la campagna elettorale sfila via senza grandi
avvenimenti. Non è classificabile come un avvenimento l’arrivo in Umbria del
Ministro Giovanardi. Il Ministro, non si sa in base a cosa, ci ha informati che
nella nostra comunità  “è limitata la libertà  di espressione”. Distratti, non ci
eravamo accorti che il regime catto-comunista dell’Ulivo e di Rifondazione
imperante in Umbria controllasse case editrici, stampa e televisioni. Di cosa
parlano? Forse la destra dovrebbe fare uno sforzo per capire meglio la realtà 
che vorrebbe governare al posto del centrosinistra. Il nodo è proprio questo: la
destra non sembra conoscere le contraddizioni pur presenti anche nella nostra
regione. Si può fare un bilancio positivo o negativo dell’amministrazione
Lorenzetti e si può criticare il programma presentato dall’Unione per la
prossima legislatura. L’importante è che il giudizio sia argomentato e
verosimile. Non si conquistano voti con slogan generici o denunciando la paura
della Lorenzetti al contraddittorio con Laffranco. E chi ci crede?
E’ vero che la lunga consuetudine con il governo locale avvantaggia molto la
coalizione di centrosinistra. Ciò ha consentito la formazione di una classe
dirigente sulla cui qualità  è più che legittimo discutere, come non vederne
l’ossificazione? Ma sempre di una classe dirigente collaudata si tratta.
Il problema è che il centro-destra non ha saputo utilizzare (scomparsa la
Democrazia Cristiana) gli spazzi che anche dall’opposizione si possono avere
per costruire quadri credibili e il litigio interno ha dominato la destra politica.
Corriere dell’Umbria 20 marzo 2005

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