Mentre CGIL, CISL e UIL stentano a trovare un accordo sul se e sul quando reagire ai tagli del governo su scuola e università , i sindacati di base hanno indetto uno sciopero e portato a Roma 300 mila persone. In tutte le città continuano le proteste di studenti e docenti contrari ai provvedimenti della Ministra Gelmini.
Il mondo della scuola sembra essere l’opposizione più consistente e incisiva in un Paese che appare berlusconizzato e quasi tramortito dalla crisi economico-sociale esplosa in questi mesi. Anche se Berlusconi continua a far spallucce nei confronti di chi non è d’accordo con Lui, l’impressione è che l’idea di ridimensionare ulteriormente la scuola e l’università non sia stata una grande trovata. E si capisce perchè. Non c’è sondaggio che non affermi con nettezza la preferenza delle famiglie per una scuola e un’università pubbliche da rinnovare che devono rimanere pubbliche e che necessitano di maggiori risorse finanziarie ed umane. Tagliare otto miliardi di Euro come previsto dai provvedimenti governativi significa espellere dal sistema formativo migliaia di precari che lavorano da decenni in tutti i livelli del sistema scolastico-accademico e senza i quali il destino della scuola pubblica non potrà che essere drammaticamente incapace di assicurare la formazione dei giovani. Il decisionismo populista e autoritario del governo della destra si sviluppa in molti settori, ma sbaglia il PD a non fare del problema “scuola” la priorità della sua opposizione in Parlamento e nel Paese. Argomenti c’è ne sono a iosa.
Per salvare il sistema creditizio o per il regalo dell’Alitalia agli eroici amici della Compagnia Aerea Italiana, Tremonti ha trovato decine di miliardi di Euro, per la scuola se ne tagliano otto in tre anni.
Si rimette il grembiulino ai bambini, si prevede di bocciare anche alle elementari per l’insufficienza in una materia e come ciliegina sulla torta, si prevedono le classi differenziali per gli immigrati che non conoscono l’italiano. Il grembiulino sarà certo l’occasione per confermare l’eleganza dell’Italian Style, le bocciature saranno occasione di molti ricorsi ai vari Tribunali amministrativi e le classi differenziali dimostreranno al mondo che in Italia non esiste xenofobia ma una forte volontà d’integrazione dei bimbi migranti. Tragico ma non serio.
Sergio Marchionne è l’amministratore delegato della FIAT. Nel suo ultimo discorso in Confindustria pur apprezzando gli interventi di salvataggio delle banche presi dal governo, ha sostenuto che il problema decisivo è la ripresa dei consumi interni. Suggerisce un allentamento della pressione fiscale non per tutti ma per coloro che vivono di salari e stipendi. La stessa tesi è sostenuta da molti economisti. Il programma elettorale della destra prevedeva il taglio delle tasse. Perchè non lo si fa? Tremonti è orgoglioso per aver fatto approvare dal Consiglio dei Ministri la finanziaria per il 2009 in nove minuti nove. Bravo, ma perchè non decreta con urgenza il taglio delle tasse per gli stipendi, i salari e le pensioni più basse? Meglio di tutti noi il ministro dell’economia sa che la crisi finanziaria che l’America ha esportato nel mondo, nasce essenzialmente dalla caduta del potere d’acquisto delle famiglie americane. Indebitata e annichilita da salari e stipendi insufficienti a pagare i mutui e i debiti fatti per curarsi o mandare i figli all’università , la classe operaia e il ceto medio hanno visto sfumare l’american dream nel cataclisma di Wall Street. Il presidente Bush in otto anni ha aumentato del 74% le spese per il Pentagono, ha ridotto le tasse ai ricchi e impoverito vastissime fasce di popolazione che per tanti anni sono state costrette a vivere, indebitandosi, al di sopra dei loro redditi.
La Caritas sostiene che gli italiani poveri sono circa 15 milioni esagera o è la verità ? Se così è qualcosa bisognerà pur fare se si vuole la ripresa del mercato interno e non solo salvare i top manager delle banche.
La crisi ha necessità di una politica forte e autonoma che sappia porre riparo ai disastri del turbo capitalismo. Per farlo c’è bisogno che la “politica” torni ad essere credibile per la gente.
La credibilità la si riconquista anche a partire da fatti marginali. Ad esempio in Umbria il ceto politico è impegnato in consiglio regionale nella riforma dello Statuto e della legge elettorale. Uno dei nodi è il numero dei consiglieri, trenta o trentasei? Questo è il dilemma. Prc, Pdci e Verdi sostengono il numero più alto di membri anche per salvaguardare la rappresentanza della sinistra in consiglio. Il PD ritiene invece che, per ragioni di bilancio, siano sufficienti trenta consiglieri.
Forse un compromesso intelligente sarebbe quello di prevedere anche trentasei consiglieri ma contemporaneamente stabilire che i membri della giunta debbano essere consiglieri regionali.
Confermato, purtroppo, il sistema presidenziale il presidente sarebbe in più. Il risultato sarebbe positivo per diversi aspetti. Nella situazione attuale gli amministratori che possono essere pagati dall’ente sono quarantacinque, con l’assessore interno al consiglio, sarebbero trentasette. La rappresentazione delle sensibilità politiche più significative sarebbe salvaguardata e l’assessore recupererebbe quel rapporto con il popolo che soltanto l’elezione può dare.
Il presidenzialismo ha inaridito il ruolo dell’assemblea regionale ed ha anche svuotato di significato politico il membro della giunta. Figura ambigua, un “tecnico” senza autonomia che risponde del proprio lavoro al presidente e non al popolo. La soluzione dell’assessore da nominare tra i consiglieri renderebbe il presidente più portato al lavoro collegiale e l’assemblea più capace di controllare l’azione della giunta.
E’ noto che il presidenzialismo all’italiana è istituzionalmente un disastro. Nelle democrazie occidentali esistono molti sistemi di carattere presidenziale ma, come ad esempio negli Stati Uniti, da nessuna parte il presidente ha potere sul funzionamento dell’assemblea legislativa. Qualche correzione intelligente del nostro disastro sarebbe opportuna e si risparmierebbe denaro pubblico.