La straordinaria, inaspettata e per molti entusiasmante vittoria di Barak Obama nella corsa per la presidenza degli Stati Uniti, ha avuto come motore essenziale l’utilizzo di una nuova metodologia della comunicazione politica. Internet e i suoi blog. Gran parte delle risorse necessarie alla campagna elettorale sono venute da piccole sottoscrizioni effettuate da milioni di internauti. Migliaia di blogger hanno diffuso il messaggio di speranza di Obama e organizzato manifestazioni a sostegno del primo afroamericano candidato alla presidenza. Se Hilary Clinton aveva dalla sua la struttura burocratica del partito democratico, Obama ha potuto contare sulla creatività possibile grazie alla rete, ed ha vinto.
Ricordo questo a conferma del fatto che la politica non può non guardare con interesse ai nuovi modi di comunicazione del pensiero e delle idee del popolo. Il politicismo imperante nei palazzi del potere non può risolvere la grave crisi della democrazia italiana. C’è bisogno d’altro.
Se è ancora vero che gli elettori vengono orientati nella scelta di voto dalla televisione, è anche sempre più evidente che quello che può apparire un gioco, navigare con il computer, assume un enorme rilievo anche per la politica. L’esempio l’abbiamo avuto ieri.
A Roma una manifestazione, rilevante per numero e per qualità delle adesioni, è stata possibile perchè un gruppo di giovani, di cui non si conoscono nemmeno tutti i nomi nè la loro militanza politica, hanno indetto, attraverso un appello in rete, l’incontro romano. In poche settimane l’appello per il No B-day è stato sottoscritto da oltre 350 mila persone. Così tante da sollecitare l’interessamento dei partiti. All’adesione immediata di alcuni partiti ha corrisposto il liberi tutti del PD. Come partito non aderiamo, ma se qualcuno vuole andarci, libero di farlo. L’area ex Veltroni annuncia la partecipazione, la presidente del partito alla fine aderisce anch’ella. Per sottolineare la diversità dei democratici, il PD ha indetto per la prossima settimana mille manifestazioni in tutta Italia. Una scelta giusta? Che un grande partito voglia fare manifestazioni su piattaforme chiare e limpide è cosa legittima. Che un grande partito non comprenda che quella di Roma poteva essere l’occasione di far transitare le proprie idee tra il popolo in piazza sembrerebbe un errore. Proprio per come è stata costruita la manifestazione romana, non aveva una piattaforma definita, poteva essere l’occasione per andare oltre la denuncia del disagio rispetto ad una situazione sempre meno tollerabile per tanta gente. La caduta di Berlusconi non risolverà alcun problema se non si creano le condizioni minime per far respirare una democrazia stremata da troppi anni di pessima politica.
Personalmente non amo le semplificazioni. In ogni caso in Italia gli slogan dovrebbero essere in italiano. Come sembrò provinciale il Family Day della destra, anche il No B-day sembrerebbe un’americanata. Ma la sostanza è diversa. Anche se Berlusconi non cadrà per il No B-day i problemi rimangono gravissimi. Efficace è stato Napolitano quando ha ricordato che i governi cadono quando non hanno una maggioranza in parlamento. Il Paese è bloccato da mesi attorno al modo più efficace per bloccare le disavventure giudiziarie di Berlusconi. Il diritto a governare della destra e di Berlusconi non può bloccare il diritto-dovere della magistratura ad applicare le leggi della repubblica. Il consenso popolare non elimina l’esigenza della legalità .
Il principio di legalità vincola tutti al rispetto delle leggi. La possibilità della magistratura di svolgere il proprio lavoro è essenziale in una democrazia degna di questo nome. Esattamente come il diritto a governare. L’idea di Letta, vice di Bersani, che è legittimo per Berlusconi difendersi dai processi nega questa possibilità . Un’idea sbagliata che dimostra lo stato confusionale di troppi dirigenti del PD. Come ha dimostrato Giulio Andreotti è giusto difendersi nel processo e non dal processo.
Che l’elezione del segretario non avrebbe risolto i problemi del PD era cosa scontata. Che Bersani avrebbe avuto un’agenda fitta di impegni e scadenze da far tremare i polsi, era ovvio. Sarebbe ingeneroso pretendere dal segretario la soluzione immediata di problemi che si trascinano sin dalla fondazione del partito. Ma l’impressione è che i democratici non riescano a cambiare le priorità del loro agire. C’è uno scarto tra le emergenze del Paese e le scelte quotidiane del principale partito di opposizione.
Prendiamo ciò che emerge dall’attività politica nella nostra terra. Il centrodestra e il centrosinistra passano da una riunione all’altra per decidere chi e come candidare alle prossime elezioni regionali. Il centrodestra attorcigliato per trovare il candidato presidente, il centrosinistra avviticchiato per sciogliere il nodo del terzo mandato per la presidente in carica. Nei territori la lotta si fa dura per la scelta del consigliere regionale. La stagione degli organigrammi sembra essere senza fine.
Nel frattempo la situazione economico-sociale in Umbria non sembra dar segni di miglioramento. Anzi. L’emergenza occupazione non dà segni di indebolimento e per molti giovani e donne anche un lavoro precario appare un sogno. Dalla discussione della finanziaria emerge un ulteriore restringimento dei trasferimenti dallo Stato alle regioni e alle altre autonomie locali. Insomma poche occasioni di lavoro e meno servizi al cittadino. Che la destra pensi che questo sia responsabilità del centrosinistra locale, è scontata propaganda. Che il centrosinistra non si senta già impegnato alla costruzione di un quadro programmatico d’insieme per la prossima legislatura regionale, è da irresponsabili. Rinnovatori di tutto il mondo unitivi si potrebbe dire. Ma al di là delle persone, ciò che ha urgente bisogno di rinnovamento è il modo di agire e di pensare di una classe dirigente che appare troppo innamorata di se stessa.