Non saranno in molti a rimpiangere l’anno che si conclude.
E’ stato un anno vissuto pericolosamente nel mondo e anche nel nostro Paese. Lo stato di guerra permanente, a cui ci stiamo abituando, ha continuato a produrre morti e distruzioni senza che le grandi organizzazioni preposte al governo del pianeta riescano a bloccare i disastri prodotti dall’avidità  e dal fondamentalismo ideologico in tante parti del mondo.
Quella che doveva essere “una primavera di bellezza” per il popolo del centrosinistra con la vittoria alle elezioni politiche, si è con rapidità  trasformata in un freddo e deludente inverno. Come se fosse destinato a gestire il potere per sempre, il ceto politico al governo ha ripreso, come un vizio assurdo, la vecchia abitudine alla divisione. Chi sperava in una svolta rispetto all’Era Berlusconi è rimasto deluso. Eppure, nonostante la risicata vittoria, nei primissimi mesi le premesse per una nuova stagione della politica c’erano tutte. Con un inaspettato sussulto democratico, il popolo, è andato a votare per respingere la controriforma costituzionale voluta dai berluscones. Nonostante il disinteresse del ceto politico nella campagna elettorale, la gente aveva avvertito il rischio del consegnare la democrazia italiana all’uomo forte. Successo enorme subito rimosso dai leader dell’Unione. All’unisono hanno ripreso il loro, ormai intollerabile, chiacchiericcio nei salotti televisivi. La politica è tornata ad essere spettacolo di varietà .
Nella storia recente non ricordo mai un così marcato distacco tra la politica e l’interesse della gente comune. Non si dica che è sempre stato così. La decadenza dell’agire politico è dovuta a molti fattori e riguarda gran parte delle democrazie occidentali. Ma anche in questo l’Italia si distingue, come per il record del possesso di telefonini, abbiamo anche la classe politica più pagata e più numerosa d’Europa. Granitica nel difendere i propri privilegi. Qualunquismo? E’ la leaderite acuta il carburante del disprezzo per la politica, non la denuncia di molti delle storture di un sistema sempre più autoreferenziale e privo di valori condivisi. Conferme? Basta guardare alla stentata vita del governo.
Le evidenti difficoltà  del governo Prodi nascono dallo stato di degrado della nostra economia o anche dall’incapacità  di individuare le priorità  per avviare una nuova fase della crescita? Che la situazione dei conti pubblici lasciati da Tremonti era gravissima si sapeva. Come era evidente che il ristagno dell’economia dipendesse dalla scarsa propensione all’investimento, in innovazione di prodotto, di un’imprenditoria ormai esposta ad una concorrenza internazionale aggressiva e globale.
Come operare per un rilancio alla presenza di un mercato interno stagnante? E come potrebbe non essere stagnante vista una ripartizione della ricchezza nazionale squilibrata come quella italiana? Due esempi: nel 1980 la forbice salariale (la differenza tra lo stipendio più basso e quello più alto) era di uno a quarantacinque. Un operaio guadagnava cento lire, il capo dei capi quattromilacinquecento. Oggi la forbice è la seguente: l’operaio guadagna cento? Il capo dei capi ne guadagna cinquantamila!!
L’ultima indagine Istat ci informa che il venti per cento degli italiani più ricchi possiedono il quaranta per cento della ricchezza nazionale. Il venti per cento più povero ne possiede solo il sette per cento. Non bisogna essere rivoluzionari per capire che se si vuol aumentare la domanda interna è urgente un’inversione di tendenza nella ripartizione del PIL. Anche Fassino e Rutelli, riformisti d.o.c, dovrebbero capirlo.

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