Nella vita, come in politica si possono subire sconfitte, arretramenti nella possibilità  di ottenere ciò che si vorrebbe. E’ sempre successo e sempre succederà . Ciò che risulta intollerabile è quando il vincitore pro tempore pretende di convincerti che il suo successo sia cosa buona anche per te che hai perso o che la tua sconfitta non sia dovuta a rapporti di forza squilibrati, ma alla tua incapacità  di capire la modernità . Ad esempio la scelta della Fiat di produrre i nuovi modelli di auto in Serbia è motivata dal dottor Marchionne con la scarsa serietà  dei sindacati italiani. Anche se sulla serietà  di alcuni sindacati si può discutere, il dottor Marchionne ha detto una falsità  rispetto ai motivi della scelta. Infatti, il management serbo, ovviamente soddisfatto, ha dichiarato: ” la decisione di Fiat di produrre qui questi 2 nuovi modelli conferma che vengono applicati tutti gli accordi stipulati con i partner italiani”. A quando risalgono gli accordi? Al dicembre 2009. Non è serio mistificare quando di mezzo c’è la vita di intere comunità  come quelle che ruotano attorno a Mirafiori. Galattica, poi, l’affermazione berlusconiana per cui le imprese hanno il diritto di localizzarsi dove vogliono, basta che non lo facciano a discapito dell’Italia. Appare come un pensiero erudito e profondo espresso da un turista che, non avendo alcun potere d’intervento, inneggia alla libertà  di mercato contro il dirigismo comunista.
Potete immaginare quello che sarebbe successo in Francia se la Citroen o la Renault ipotizzassero, dopo tutti i soldi presi dallo Stato francese, una diversa location per i propri stabilimenti? Ma come è noto all’Eliseo regna un vetero comunista.
E’ la serietà  che manca alla politica italiana e in genere ad una parte significativa della classe dirigente del Paese. Non sembra che si abbia la consapevolezza di quanti rischi stiamo correndo se non si riesce ad invertire la tendenza al deterioramento economico, sociale, morale della nostra terra. Vale anche per l’Umbria questa sorta di imbarbarimento del confronto politico? Negarlo sarebbe difficile. Martedì c’è stata la cerimonia per i quaranta anni di istituzione della regione. Evento che voleva significare anche il tentativo di un bilancio storico e, al di là  della legittima commozione di tanti, poteva rappresentare uno stimolo a rendere più civile il confronto politico. Non è andata così.
Venerdì si è svolto un consiglio regionale con all’ordine del giorno la situazione dell’Ente dopo i provvedimenti governativi di taglio dei trasferimenti finanziari. Il centrodestra non ha voluto partecipare ed a preferito svolgere una conferenza stampa per dire ciò che pensa della condizione economica e finanziaria dell’istituto che dovrebbe contribuire a far funzionare pur nel ruolo di opposizione.
Non spetta a me esprimere valutazioni rispetto al modo e ai tempi decisi per la discussione. Rimango però colpito da alcune affermazioni rispetto ai motivi delle difficoltà  che le comunità  amministrate hanno da affrontare. Un consigliere leghista ha sostenuto che tutto dipende dal disastro provocato, nei quaranta anni trascorsi, dalle amministrazioni di centrosinistra. Scompare in questa visione apocalittica ogni riferimento ai processi indotti dalle ripetute crisi degli assetti mondiali, dalla marginalità  dell’Umbria rispetto alle scelte dei governi nazionali. Ma principalmente non si riconosce la qualità  dell’avanzamento dell’Umbria nella sua struttura economico-sociale e culturale. Portare l’Alta Valle del Tevere come esempio di arretratezza economica è una sciocchezza che offende una classe dirigente che ha saputo, nel dopoguerra, costruire un assetto sociale molto avanzato e moderno. Gentile novello consigliere, se ci fosse stato a guidare la regione il prode Calderoli o se il raffinato figlio di Bossi fosse stato sindaco di Città  di Castello, oggi non avremmo alcun problema?
Il settarismo, di ogni colore, rende ciechi e la cecità  non aiuta a capire ciò che è necessario mettere in campo per affrontare una crisi che ha origini complesse che richiede una sorta di rifondazione dello Stato nelle sue articolazioni centrali e territoriali. Anche per l’Umbria si pone il problema di come ripensarsi e non solo per affrontare i pesanti tagli imposti da Tremonti ai bilanci regionali e comunali.
Riformare, riformar bisogna se si vuole salvaguardare una tenuta sociale che è anche dovuta ad una spesa pubblica molto consistente che non sarà  possibile preservare, ma che in un processo di profonda riconversione può continuare a produrre risultati adeguati alla bisogna.
Il centrodestra umbro non può nascondersi il fatto che tutte le regioni e l’ANCI hanno dichiarato il proprio disaccordo per la manovra finanziaria del governo centrale. Colpevolizzare la presidente Marini non sembrerebbe cosa utilissima per risolvere i problemi di bilancio dovuti a decisioni prese a Roma.
Non si può non considerare che, per esempio, servizi primari come i trasporti o l’edilizia popolare non hanno più finanziamento e che la scelta è la soppressione dell’attività  o l’introduzione di nuovi balzelli.
Il centrosinistra non può non considerare che la protesta delle regioni e dei comuni assumerà  rilievo e sarà  compresa dalla cittadinanza, se la lotta agli sprechi sarà  una priorità  nell’attività  amministrativa. Non sarà  facile e sarebbe auspicabile che il consiglio regionale tornasse ad essere un centro di discussione e di democrazia formale che ha come zenit l’interesse generale.
Continuare a non vedere che il rischio che stiamo correndo è quello del consolidamento di un muro di cemento armato che separa la politica e la sua classe dirigente dalla popolazione è cosa grave a cui bisogna porre rimedio. Ciò spetta a tutti coloro che continuano a scommettere sulla buona politica come medicina essenziale per curare il Paese.

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