Mio figlio è iscritto all’ AIRE, l´ anagrafe della popolazione italiana residente all´estero. Un emigrato che vive in Inghilterra. Insegna alla Queen’s Mary College della London University. Per interesse personale e per lavoro, si occupa di sociologia e di storia del pensiero politico. Alla domanda di colleghi e studenti su cosa succede in Italia non riesce facilmente a trovare una risposta convincente. L’imbarazzo nasce dalla costatazione dello scarto tra l’Italia berlusconizzata e l’Italia che, in tutto il dopo guerra, è stata un laboratorio politico di valenza europea. Come è potuto accadere il passaggio tra una classe dirigente politica composta da Moro, Berlinguer, La Malfa, Nenni o Visentini e l’attuale ceto politico? Come è possibile che, con una delle Costituzioni più avanzate al mondo, si sia consolidato un populismo cialtrone che niente ha a che fare con una democrazia moderna? Se è vero che il fascismo è stato un’invenzione italiana è anche vero che la lotta di liberazione dal nazifascismo è stata nel nostro Paese di gran lunga superiore per impegno popolare al resto d’Europa. Mio figlio dovrà  continuare a studiare per trovare spiegazioni. Per adesso dovrà  cercare di dimostrare che un’altra Italia sarà  possibile. Un tentativo angoscioso che si traduce a volte in balbettio, mi dice. Lo capisco benissimo. Anche il sottoscritto farfuglia analisi. E’ difficile trovare una spiegazione al fatto che, al crollo della repubblica dei partiti, sia risultato vincente un personaggio come il nostro capo del governo. Figlio legittimo dei governi del pentapartito e del craxismo, Berlusconi trasse le sue prime fortune televisive proprio da leggi a persona volute da coloro che poi furono spazzati via da Tangentopoli. La storia è questa, eppure sono sedici anni di dominio dell’ideologia dell’uomo di Arcore. I sondaggisti sostengono ancor oggi che scandali e incapacità  nel governo del Paese sembrano non incidere in modo decisivo nel consenso popolare. La mitica società  civile sembra indifferente sia alle malefatte che al cattivo governo. Un’establishement mediocre galleggia nei marosi della crisi senza un moto d’indignazione verso un ceto di governo incapace di affrontare le contraddizioni del Paese. La spiegazione della potenza economica e dello strapotere nel mondo della comunicazione di Berlusconi è vera ma non sufficiente a spiegare tutto.
Ciò che rende forte la destra al governo è la mancanza di un progetto e di un’alternativa politica ed ideale al berlusconismo.
La destra fuori del PDL e della Lega sconta il ritardo nel distaccarsi dal Capo; il centro continua ad ondeggiare tra la tentazione del rimbarcarsi o dello strappo finale; la sinistra continua nella propria angosciante ricerca di un’anima, di un gruppo dirigente coeso, di un progetto politico che aggrega il centro e la sinistra. Al momento non conosco la piattaforma che i veltroniani del Lingotto proporranno al Paese. Lo slogan della convention è: “Fuori dal Novecento. Giusta, aperta, forte: viva l’Italia”. Ottimo e abbondante. Non ha la semplicità  dell’antico slogan pace e lavoro, ma la modernità  ha i suoi vincoli. Non so se è adatto ad una campagna elettorale, ma gli spin doctors dell’ex sindaco di Roma conoscono bene il loro mestiere lo hanno dimostrato nel passato ricco di vittorie. Importante è capire che siamo al rush finale. E’ inimmaginabile che il governicchio di Berlusconi e Bossi possa proseguire nel galleggiamento di questi ormai quasi tre anni di governo.
Consiglierei di prepararsi alle elezioni politiche.
Al di là  delle avventure più creative che quelle scritte da Boccaccio, la questione del federalismo comunale può costituire la miccia per la crisi finale. Lo sostiene Bossi, lo teme Berlusconi che dichiara: “Questo per me è lo scontro finale. àˆ una partita senza supplementari, il recupero non c’è. Non c’è per me, che ho 74 anni, e per nessun altro. Se vinco io, vado avanti fino al 2020. Altrimenti…”. Più chiaro di così difficile esserlo.
Altrettanta chiarezza sarebbe utile e necessaria nelle forze alternative al Cavaliere. Questa chiarezza non c’è ancora, ma come è noto la speranza è l’ultima a morire. Una comprensibilità  che deve riguardare le questioni che interessano i destini materiali del Paese. Bisogna spiegare bene le ragioni che hanno indotto l’ANCI (l’associazione dei comuni) a respingere la bozza dei decreti del ministro Calderoli relativi al federalismo. Il ceto amministrativo non gode di grande fama e la richiesta di responsabilizzare sindaci, presidenti e assessori sono una legittima richiesta di massa. Non è questione di qualunquismo. Esso va rintuzzato con scelte amministrative trasparenti che favoriscono la semplificazione burocratica del rapporto con i cittadini. Nonostante alcuni sforzi, quando si entra in rapporto con la pubblica amministrazione i vincoli burocratici rendono tutto difficile e costoso. Ancora oggi la parte pubblica della società  viene gestita in molti settori in modo arcaico come se la rivoluzione informatica non fosse mai avvenuta. Ci si affanna a destra, al centro e nel centrosinistra a dichiarare l’esigenza di grandi riforme senza mai chiarire cosa e come riformare. Le famose lenzuolate di provvedimenti di liberalizzazione del Bersani ministro, si sono rivelati poca cosa e poco incidenti nei tempi di svolgimento di pratiche burocratiche o di ridimensionamento dello strapotere dei vari ordini professionali. Con l’eccezione di quello degli ingegneri e architetti, questo a beneficio esclusivo delle imprese di costruzione e non certo dei comuni cittadini. Il governo liberale dei berluscones non ha al riguardo prodotto altro che propaganda.
Sarebbe semplice e comprensibile cominciare a riformare leggi e regolamenti che rendono deboli i cittadini e potente una burocrazia non sempre adeguata ai tempi.
L’autogoverno locale in Italia ha una lunga straordinaria storia. E’ tempo di rinvigorirla attraverso un nuovo patto di cittadinanza innovando e trasformando il modo di essere delle amministrazioni.

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