Con il consueto voto di fiducia, l’ennesimo, il Parlamento ha approvato il decreto relativo al così detto federalismo municipale. Gli esperti sostengono che si tratta di una patacca considerando che l’autonomia comunale rimane, dal punto di vista delle entrate, assolutamente subalterna ai trasferimenti dallo Stato centrale. Ma al di là del merito del provvedimento c’è una questione di metodo di grande rilevanza. Domanda: trasformare uno Stato centralizzato in uno Stato federale è possibile con un voto parlamentare a maggioranza semplice e con il vincolo della fiducia? Quella che dovrebbe essere la riforma delle riforme (cambia la struttura dello Stato) può avere un futuro prescindendo completamente dalle valutazioni di tutte le forze di opposizione? Tra esse ci sono partiti che sono contrari al federalismo, ma altri non lo sono. Il PD ad esempio è favorevole ad un federalismo che non mette a rischio l’unità dell’Italia e non determina l’aggravamento degli squilibri economico-sociali delle diverse aree del Paese. Forse sarebbe stato più saggio che la Lega ricercasse un consenso più ampio nel portare avanti le sue proposte. L’esigenza di responsabilizzare nella spesa di denaro pubblico le classi dirigenti locali è un’esigenza sentita da molti. E’ ormai intollerabile ogni forma di spreco e d’incapacità di far quadrare i bilanci. L’obbiettivo è giusto, ma lo si può raggiungere in diversi modi. Quello scelto dalla Lega sembra, a detta di molti osservatori, foriero di un aggravamento della pressione fiscale. E’ noto che quella italiana è cresciuta negli ultimi dieci anni in modo ormai intollerabile: siamo al 43,7 per cento del PIL. Ci battono soltanto le nazioni del Nord Europa dove, però, lo stato sociale si fa carico dei cittadini dalla culla alla tomba con una qualità di servizi da albergo a cinque stelle. Calderoli sostiene con veemenza che le tasse comunali non aumenteranno. Difficile credergli. Negli ultimi tre anni le risorse di tutte le amministrazioni locali sono diminuite in modo drammatico e già il taglio dei servizi sta cambiando la vita degli strati meno abbienti della popolazione. Il costo di molte tariffe è già aumentato nonostante l’abbassamento della qualità delle prestazioni. Impossibile per gran parte delle strutture pubbliche locali ogni politica d’investimento per innovare, e senza innovare non sarà possibile rendere la spesa pubblica più efficace. Se il quadro è questo delle due, una: o i comuni continueranno a tagliare i servizi al cittadino e a galleggiare nelle inefficienze o utilizzeranno le possibilità offerte dal fisco municipale per aumentare la tassazione. Altre strade non ci sono o meglio una ce ne sarebbe. Non ripeterò la storia della lotta all’evasione fiscale. E’ un grande problema del Paese, una delle più grandi ingiustizie che dobbiamo subire. Gli uffici preposti al contrasto all’evasione diffondono, giustamente, i risultati ottenuti in questi anni nello scovare i protagonisti di questa sorta di rapina. L’augurio è di buon lavoro.
Un’altra strada che non dipende dai controlli ma dalla volontà politica è quella del far pagare il giusto a chi il giusto non paga. I redditi d’impresa e da lavoro subiscono una pressione fiscale altissima che comporta la difficoltà negli investimenti e nell’aumento dei consumi delle famiglie. Investimenti e consumi che tutti riconoscono necessari per invertire il degrado economico del Paese. Vi sembra giusto che i redditi da rendita finanziaria siano tassati al 12 e 50 per cento e quelli di un impiegato di banca al 27 o 38 per cento a seconda lo stipendio? Che pensare di un Paese il cui primo ministro guadagna personalmente con i dividendi delle sue aziende in un anno solare 118 milioni pagando per quell’introito il 12 e 50% di tasse?
Meraviglia molto che su questa problematica non ci sia stata una campagna politica del centrosinistra. Non si ripeta la storia dei B.O.T. in possesso delle famiglie. E’ ovvio che i piccoli risparmiatori devono essere salvaguardati ed è possibile farlo se si usa l’intelligenza e non l’accetta nell’aumento delle aliquote. Ma la rendita vera da speculazione finanziaria riguarda altri soggetti che non hanno niente a che fare con i piccoli risparmiatori. In Europa questi soggetti subiscono un prelievo fiscale del doppio di quello italiano.
Da noi si sceglie la strada di non occuparsi del problema e anzi si decide di premiare anche la rendita immobiliare. Pure qui un conto sono i piccoli risparmiatori che hanno acquistato un immobile come investimento e che è giusto salvaguardare con la cedolare secca. Altro problema sono i grandi raggruppamenti possessori di enormi proprietà immobiliari che non possono avere il privilegio di pagare il 19 o il 21% di tasse.
Il petrolio dell’Italia si dice sia la bellezza della nostra terra e la particolarità delle nostre città . Il mondo globalizzato può mettere in crisi la FIAT, ma non può annullare il fascino dei centri storici delle nostre città . Il problema è che le acropoli devono essere salvaguardate dal degrado, dallo spopolamento, dall’incuria.
Sfogliando i giornali locali sembra che non ci sia centro storico umbro che non denunci una crisi, una difficoltà .
Sarebbe di grande interesse se il ceto politico locale si confrontasse sui rimedi per rivitalizzare le aree di degrado “dentro le mura” cittadine. Anche una indagine non approfondita scoprirebbe quanti spazzi vuoti, non utilizzati, sprecati ha una città come Perugia. Ricchezze sciupate a causa di faide famigliari, di pigrizia imprenditoriale, ma anche per l’incapacità delle classi dirigenti di progettare la città del futuro.
Bisognerebbe confrontarsi rifuggendo dal provincialismo. In tutta Europa i centri storici hanno subito un decadimento.
La speculazione immobiliare ha svuotato le città e lo spopolamento ha comportato problemi gravi nella vivibilità di larghe zone cittadine. Una amica di Roma, passando davanti alla Fontana Maggiore mi ha guardato e malinconicamente mi ha ricordato la qualità delle classi dirigenti che hanno pensato e finanziato i monumenti di Piazza Quattro Novembre: la Fontana delle Quattro Stagioni, il Palazzo del Municipio, il Duomo. Ho guardato la mia amica con una certa angoscia.