Giovedì scorso al senato il governo è andato sotto. Il centrodestra ha presentato un ordine del giorno di appoggio al governo Prodi, l’ovvia strumentalità del documento aveva indotto l’Unione a votare contro. Una fetta dei senatori margheritini ha scelto invece di votare a favore dell’ordine del giorno di Calderoli. Rutelli, leader della Margherita, si è arrabbiato, non con i suoi senatori indisciplinati, ma essendo un creativo, l’ex radicale ha pensato bene di mandare un ultimatum alla “sinistra radicale”. Il danno l’hanno prodotto un gruppo di margheritini, ma la colpa è stata dell’estremista (?) Giordano. Surreale, Ettore Petrolini un dilettante al confronto con il Ministro ai Beni Culturali. In realtà Rutelli non sembra sopportare che il presidente Prodi dia ascolto, qualche volta, anche ai desiderata della sinistra al governo. L’ex sindaco di Roma ha diritto di avere i suoi valori irrinunciabili, dettati dalla recente conversione alla fede cattolica, ma Pecoraro Scanio o Diliberto non possono chiedere niente. Nemmeno che Prodi applichi il programma con cui l’Unione ha vinto le elezioni. Devono ubbidir tacendo. Come figli di un dio minore, gli elettori di sinistra non hanno alcun diritto di essere rappresentati nelle scelte di un governo che pur hanno contribuito ad eleggere. Se non si è moderati alla Ciccio Bello, si deve tacere.
Berlusconi gongola. E’ riuscito ad andare in prima pagina in tutti i mass media per la sua storia d’amore con la moglie e per due sere tutti i salotti e strapuntini televisivi sono stati occupati da scienziati, filosofi e ballerine che discutevano attorno all’ avanspettacolo berlusconiano. Entusiasmante. Tutti si sono sentiti soddisfatti di pagare il canone Rai e orgogliosi della televisione commerciale italiana. E poi non bisogna essere provinciali. Se il popolo americano è stato annichilito per anni dalle avventure erotiche di Bill Clinton o quello inglese accalorato dalle vacanze miliardarie scroccate da Tony Blair nei suoi anni di regno, avremo o no il diritto noi italiani di conoscere e apprezzare i desideri amorosi del presidente dei presidenti?
Non è finita qui per il cavaliere disarcionato. Le difficoltà di Prodi lo inducono ad assicurare gli italiani: “tornerò presto al governo”. Masse plaudenti sono scese in piazza a reclamare il Capo dei Capi. Finalmente il Parlamento potrà tornare ad occuparsi degli “Affari del signor Giulio Cesare” e non delle banali problematiche che assillano il popolo italiano. Perchè in realtà , nonostante tutto, Prodi alcune scelte significative per affrontare il disastro lasciato da Tremonti e soci, le ha compiute sia in politica economica che in quella dei rapporti internazionali.
La cosa che più angoscia il popolo dell’Unione è il meccanismo delle docce scozzesi che vengono propinate dai nostri governanti allo sbigottito elettore. Si prendono provvedimenti apprezzabili (le liberalizzazioni) e non si fa in tempo a respirare che qualche leaderino del centrosinistra dice o compie, quasi sempre in diretta TV, una stupidaggine, magari motivandola con la libertà di coscienza. D’Alema cerca di trovare ruolo e spazio per una politica estera che abbia un senso e Prodi dalla Bulgaria decide che la questione del raddoppio della base americana di Vicenza è una decisione presa e indiscutibile. E’ soltanto un problema urbanistico.
Dopo la scivolata al Senato, la coalizione si accinge ad un nuovo vertice di maggioranza. Non si sa se ridere o piangere di fronte a tutto ciò. Siamo di fronte ad una classe dirigente ben, ben stagionata eppure sembrano dilettanti alla prima prova. Dimentichi dell’esperienza del 1996 continuano a non capire che lo spettacolo della politica non è molto amato dalla gente seria di questo Paese. Non soltanto perchè la sceneggiatura è datata, ma anche per la pessima prova di molti degli attori comprimari e protagonisti. Consiglierei di mettere all’ordine del giorno del summit dell’Unione un argomento: la serietà . Se ne sente un gran bisogno.
la nostalgia non va bene, ma la malinconia nel vedere cià che è diventata la politica è un dato da considerare anche se non cambia lo stato dello cose.