Il segretario regionale dei diesse, Fabrizio Bracco, si è arrabbiato. In una secca
intervista se la prende con una “gola profonda” interna al partito e con “quei”
personaggi che dentro i DS ormai non sono più in grado di spostare nemmeno
una matita. Il linguaggio usato è pesante e non abituale per una persona
educata come il segretario. Voler dare “calci nel sedere” ad un collega di
partito senza in più nominarlo, non è il massimo dello chic e non sembra
proprio un bel sentire. Considerare pezzi del gruppo dirigente come interessati
esclusivamente alle propria collocazione non è, a pochi mesi dalle elezioni, una
buona propaganda per il maggior raggruppamento politico della sinistra.
Perchè Bracco è così adirato? La questione riguarda la ricandidatura nelle liste
regionali di coloro che hanno svolto già due mandati amministrativi. Lo statuto
dei DS prevede una turnazione dopo due mandati e Bracco dice che la
questione è immodificabile: a casa i sei consiglieri regionali che si trovano nella
situazione prevista dallo statuto. Sembrerebbe semplice, ma così non è. Come
il solito le cose sono più complicate.
Immaginate un giovane trentenne eletto in Comune. Il nostro si fa due
legislature in quella assemblea e poi, essendo bravino, si sposta per un paio di
legislature in Provincia. Divenuto maturo passa per dieci anni in Consiglio
Regionale. Arrivano i sessanta anni ed oplà , è tempo di svolgere due
legislature in Parlamento. Essendo un quadro ormai sperimentato è utile
eleggerlo al Parlamento Europeo. Il percorso può essere ovviamente meno
lineare. Ad esempio si può passare prima a Montecitorio e poi arrivare a
Palazzo Cesaroni o a Palazzo dei Priori non importa dove si inizia. Importante è
non finire mai la carriera. Il gioco dell’oca è un gioco che piace molto agli
addetti ai lavori dell’attuale politica.
Il vincolo statutario è stato rispettato, ma il nostro eroe ha sacrificato tutta la
sua vita dentro la macchina pubblica. La storiella non è tanto paradossale se si
osservano alcuni dei protagonisti ancora in attività permanente ed effettiva nel
proprio sacrificio per il bene pubblico. Tutto si può dire dell’Umbria ma qui da
noi non rischiamo certo choc da new entry nella politica amministrativa
regionale. La continuità è il principio fondante di un consenso elettorale che si
consolida grazie al berlusconismo e che ci rincuora. Volete mettere con il
rischio dell’ignoto?
Il problema è il funzionamento dei gruppi dirigenti dentro partiti sempre ridotti
a litigiosi comitati elettorali. E a quanto si capisce dalle ire di Bracco, quello dei
diesse è poco solidale e poco incline ad una visione complessiva. Prevalgono
ormai i motivi di carriera personale. Non è questione di buona volontà dei
singoli. Sono i meccanismi del sistema politico che devono essere ripensati alla
radice. Lo svuotamento della democrazia non è dovuto soltanto al
berlusconismo. La sinistra riformista ha permesso e a volte promosso, forme di
feudalizzazione del rapporto con il corpo elettorale che al di là della sensibilità
dei singoli non può che produrre “signorie” e feudatari.
La situazione si è aggravata in Umbria per l’impossibilità di aumentare i
consiglieri regionali e per l’orientamento a presentare la lista unica (DS,
Margherita, Sdi, Repubblicani). I posti sono quelli che sono e i pretendenti al
seggio sono tanti, troppi. Quadrare il cerchio sarà complicato.
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Ciò che manca è “l’arbitro” della contesa. Un tempo, nei vecchi partiti di massa,
vigeva la regola che chi organizzava le liste elettorali da presentare alla base
del partito in genere era fuori del gioco. Adesso vince la rappresentanza locale
su una visione generale di gruppo dirigente. A differenza del passato non sono
più previste incompatibilità di alcun genere e questo rende tutto più opaco. Il
partito non può più svolgere il ruolo del “principe” capace di ridimensionare il
peso del feudatario e così grazie ai sistemi elettorali prevale il si salvi chi può.
Vengono oggi al pettine i nodi di una stagione politica molto confusa che il
centrosinistra sta cercando di risolvere con forzature e con scelte rischiose. La
lista unica, ad esempio, non sembra una scelta condivisa in Umbria da gran
parte del gruppo dirigente diessino eppure è probabile che alla fine si faccia.
Ne trarrà vantaggio Rifondazione e il PCDI? E’ possibile anche per l’innovazione
che Bertinotti ha impresso al suo partito. L’ipotesi di una aggregazione delle
forze della sinistra esterna al preannunciato listone, non è una possibilità
astratta anche dal punto di vista elettorale. Può avere uno spazio e un percorso
interessante. Dipenderà dalla determinazione del gruppo dirigente dei
rifondatori e degli altri raggruppamenti della sinistra. Cercare di riaggregare le
forze dopo la diaspora di questi anni è una linea che può portare consensi
politici e voti e questo i diesse non possono sottovalutarlo.
Le elezioni regionali sono cosa diversa da quelle locali. E’ vero che il
centrodestra in Umbria non sembra in grado di rappresentare una alternativa
credibile alla coalizione diretta da Rita Lorenzetti, ma sbagliare candidature e
mostrarsi chiusi come ceto politico autoreferenziale, potrebbe sollecitare
disimpegni e aumentare il corposo mondo dei delusi dalla politica. I tempi sono
difficili.
Il ministro Siniscalco si è accorto che molte famiglie italiane non riescono ad
arrivare alla fine del mese. L’Istat ci dice che in Umbria 27000 famiglie sono
povere. I sacri testi della politica hanno insegnato che la povertà produce una
disaffezione verso la sinistra e un rincorrere le demagogie della destra. Anche
le elezioni americane hanno confermato che l’indigente è facilmente
conquistabile dai reazionari. E’ errato dare per riconquistata la Regione alle
forze del centrosinistra e per questo continuare a sbranarsi per un posto al sole.
Non è carino.
Corriere dell’Umbria 7 novembre 2004