Una giornata straordinaria è stata quella di sabato 19 febbraio a
Roma. Straordinaria per molti motivi e tutti positivi. Che un
giornale a limitata tiratura, con pochissime risorse economiche,
senza potere e senza apparati, riesca a mobilitare centinaia di
migliaia di persone in un sabato invernale non è cosa che succede
tutti i giorni. Il gruppo dirigente de “Il Manifesto”, colpito
direttamente dagli effetti collaterali della guerra americana in
Iraq con il rapimento di Giuliana Strenna, ha avuto l’intelligenza
di scommettere sulla permanenza in vita di quel movimento per la
pace che ha caratterizzato per lungo tempo il nostro Paese e che
sembrava da mesi scomparso. Hanno avuto ragione. L’Italia,
nonostante tutto, rimane una collettività in cui le forze della
democrazia e della pace sono ben vitali, basta saperle sollecitare
e chiamare in campo. Si è avuto la conferma tangibile che queste
energie rimangono la risorsa fondamentale per ogni idea politica
di cambiamento e di lotta contro la destra italiana. A Roma si è
potuto verificare nel concreto come sia possibile vivere la
politica in modo diverso da quello a cui la destra, il centro ed
anche troppo spesso la sinistra pratica. Anche per noi una
riflessione si impone. L’aver visto in piazza la sinistra moderata,
e tanta parte del ceto dirigente politico (sindaci, presidenti e
quanto di altro) assieme alla sinistra radicale e ai senza
etichette organizzate, ci dice che niente è scontato ne deciso una
volta per tutte. Una piattaforma di unità è possibile anche tra
diversi. E’ stata questa la partita che hanno giocato le forze
attorno al giornale di Giuliana Strenna. Una partita vinta alla
grande.
Si è capito, a Roma, che la politica deve saper organizzare una
intelligenza collettiva attorno a grandi idee e progetti. Nessuna
aveva chiesto un corteo “silenzioso” e senza insulti a Bush e ai
suoi maggiordomi italiani. Eppure tutti hanno capito che il
messaggio che doveva partire dalla manifestazione sarebbe stato
più forte se avesse prevalso il silenzio sullo slogan gridato.
Così è stato e soltanto gli sciocchi non hanno inteso il valore
immenso di quanto si è visto a Roma. Quando si parla degli
orientamenti del popolo lo si fa spesso a sproposito interpretando
i sondaggi. Altro che sondaggi, chi ha voluto ha capito bene ciò
che vuole la “nostra” gente. Al Circo massimo il popolo della pace
e della democrazia ha inviato un messaggio chiaro a tutti coloro
che si affannano attorno a federazioni, primarie e unioni: il
centrosinistra per vincere deve mettere la questione della pace al
centro del proprio programma politico. Se si vuol battere il
berlusconismo è questo il punto nodale e sono queste le forze che
Prodi e il centro sinistra dovrà saper mobilitare nelle urne e nel
Paese, pena la sconfitta.
Non si rischia la disfatta in Umbria per le elezioni regionali. La
candidatura di Laffranco “for president” è la conferma di una
nostra antica convinzione: la destra umbra non ha possibilità di
essere alternativa di governo credibile agli attuali
amministratori. La cosa non è per noi terrificante.
Pur convinti da sempre che la politica del tanto peggio, tanto
meglio non è una scelta di sinistra, rimaniamo convinti che la
sicurezza del successo non aiuti gli uomini e le donne del centro
sinistra umbro a fare le scelte politiche giuste e nell’interesse
della comunità che essi governano da tanti anni. Se possibile le
cose peggiorano, da questo punto di vista, di anno in anno. Questa
volta per l’indicazione a candidato presidente dell’Ulivo e di
Rifondazione non ci sono state grandi discussioni. Anzi c’è chi
sostiene che non se ne è mai parlato. In compenso la formazione
delle liste sta rappresentando una sorta di tragedia greca o
meglio sarebbe dire della farsa di cui parla l’altro editoriale.
Vincere ma non troppo lo slogan degli unionisti. Perdere alla
grande quello dei berluscones. Come potevamo immaginare che
l’ultimo a scendere in campo sarebbe stato il segretario regionale
dei diesse provocando lo sconquasso di cui si parla? Come è
possibile pensare che corrisponda al vero che il PRC dell’Umbria
sia attento a formare una lista in cui i candidati con appeal
siano pochissimi per evitare scherzi nelle preferenze? E’
immaginabile che una classe dirigente stagionata come la nostra,
considerando le lotte fratricide in corso, non si ponga ancora
oggi il problema del sistema politico che si è consolidato in
Umbria? Non è tempo che nel programma per le regionali sia anche
esplicitato il tipo di meccanismo elettorale che si vorrà
instaurare in Umbria visto che l’attuale fa schifo a tutti?
Domande che resteranno, ne siamo certi, senza risposta.
Rutelli ha detto stranamente una cosa intelligente. L’ex radicale
capo della Margherita ha dichiarato che una volta al governo il
centrosinistra dovrà riaffrontare, visto il disastro prodotto, la
tematica delle modifiche costituzionale al Titolo Quinto della
Carta. Chissà quando qualcuno ci dirà che lo statuto in
sospensione per le note vicende, dovrà essere riconsiderato
valutato il tipo di maggioranza che lo ha votato e la non
brillante qualità dei contenuti?
Micropolis febbraio 2005