Cosa sarebbe la nostra vita senza le battute del cavalier Berlusconi?
Una noia. La settimana si chiude con questa sua dichiarazione: “Gli
italiani devono lavorare di più e più a lungo. In pensione non prima
dei sessantotto anni”. E’ noto che l’età  pensionabile italiana è
vicina alla media europea e quanto a capacità  lavorativa il nostro è
un popolo apprezzato per creatività  e impegno in tutto il mondo.
L’INPS presenta un avanzo nei conti per il 2004 di oltre cinque
miliardi di euro? Per il capo del governo non basta. Il lavoro
nobilita l’Uomo? E allora allunghiamo gli orari di lavoro e andiamo
in quiescenza più tardi possibile. Sai che gioia per coloro che hanno
cominciato a lavorare a sedici anni o per il giovane in attesa di un
primo lavoro stabile dopo cento lavori “flessibili” e mal pagati.
Il problema, non solo italiano, è che il “lavoro” ha perso di
importanza, vale sempre meno. Basta esaminare i dati della
ripartizione della ricchezza e si vedrà  che negli ultimi venti anni
la quota di beni che va ai redditi da lavoro (in tutte le sue forme)
si è ridotta in maniera consistente a vantaggio delle rendite e dei
profitti. Questo tema non sembra essere nell’agenda della politica.
Soltanto pochi dirigenti politici affrontano il problema e quando lo
fanno non riescono a indicare soluzioni credibili. Eppure senza un
recupero del potere d’acquisto dei lavoratori e dei pensionanti
l’aumento dei consumi non potrà  avvenire; con tutto ciò che consegue
per la crisi della nostra economia. Sarebbe forse utile una
discussione seria sul come tornare a legare l’aumento della
produttività  del lavoro con recuperi salariali. Gli stessi tagli alla
spesa pubblica per il sociale, previsti nella finanziaria in
discussione in Parlamento, sono traducibili in una diminuzione delle
condizioni materiali della maggioranza dei lavoratori.
In questa stagione della politica si parla d’altro. Berlusconi
continua con le sue boutade e gli unionisti di Prodi sembrano poco
interessati ad argomenti ostici come quelli della crisi economica o
quando lo affrontano restano ancorati a una sloganistica liberista
ininfluente negli orientamenti della gente. Si entusiasmano nella
scelta dei candidati per le prossime elezioni a Milano o in Sicilia.
Il cemento dell’antiberlusconismo ha funzionato alle primarie?
Funzionerà  anche alle elezioni politiche. E’ probabile, ma rimane il
fatto che almeno alcuni nodi programmatici devono essere risolti
prima delle elezioni. Uno dei problemi decisivi per il nostro Paese è
quello della caduta di fiducia nel futuro non solo dei giovani
precarizzati, ma anche di coloro che hanno un lavoro o una pensione.
Anche l’aumento dei risparmi bancari delle famiglie segnala questo
dato di incertezza. Per la politica del centrosinistra è vitale
trovare una piattaforma di valori e idee che aiutino a recuperare la
speranza per il domani. Non libri di sogni, a quelli ha pensato
Berlusconi, ma proposte che diano il senso di un cammino possibile.
Invece l’obbiettivo che i leader hanno sembra essere quello di essere
presenti, con la cravatta giusta, ogni volta che c’è una telecamera
in agguato o un giornalista in vena di interviste.
La voglia di far parlare di sè è tale che l’enfasi ciarliera
aumenterà  via, via che la scadenza elettorale si avvicina.
Dichiarazione dopo dichiarazione, spot dopo spot, il quadro del Paese
non migliora, ma in compenso i giornali sanno di cosa scrivere.
Lo dicono tutti:l’immagine è tutto per conquistare il potere.
Sono molti anni ormai che la televisione ha fagocitato la politica.
Quello che non appare in televisione non esiste e quindi non è utile
alla carriera. Così viviamo in una realtà  virtuale in cui la
discussione politica si piega alle esigenze dello spettacolo.
Esperti e scienziati si interrogano su quanto incide negli
orientamenti dell’elettorato uno spettacolo di satira televisiva.
Celentano, nuovo guru della politica, è utile all’Ulivo o no? Serve
l’arte di Benigni a battere il berlusconismo? In tutti i giornali che
contano sono state scritte al riguardo pagine su pagine. La disputa
non è stata risolta. Una discussione che sembrerebbe paradossale ad
un osservatore non italiano ma che suscita grandi passioni nei
salotti televisivi gremiti da politici di ogni colore. Il ceto
politico sembra incapace di una autonoma capacità  di analisi e di
proposta.
Ad esempio, addetti ai lavori a parte, chi riesce a capire nella
nostra regione quali sono le priorità  che si presentano ad una
comunità  che rischia molto dalla crisi della spesa pubblica? Il
sistema che ha consentito una tenuta sociale invidiabile non
funzionerà  più anche a causa di un debito pubblico che impone un
ridimensionamento dell’intervento pubblico. In quale sede politica si
è aperta una discussione non propagandistica su questo tema. La
destra continua ad esprimere valutazioni che dimostrano una completa
ignoranza della realtà  regionale. Dire che la finanziaria di Tremonti
funzionerà  perchè taglia soltanto gli sprechi dei governi locali dei
“comunisti” è una sciocchezza e come tale va valutata. I tagli agli
stanziamenti per i servizi gestiti da comuni e dalla Regione sono un
colpo micidiale alle condizioni di vita di moltissimi umbri. Essi si
vedranno costretti ad una peggiore assistenza sanitaria e ad un
drammatico ridimensionamento di ogni forma di sostegno sociale.
D’altra parte presentare, come fa il centrosinistra, la realtà  umbra
come realtà  saggiamente gestita che non abbisogna di innovazioni e di
rigore non corrisponde al vero. E’ una forzatura propagandistica.
Antiche debolezze strutturali di una piccola comunità  tornano a
pesare sul futuro senza che il dibattito politico in Umbria esca
dalle beghe di “palazzo”. Una dichiarazione in meno e un’analisi in
più aiuterebbe a capire dove e come impegnare partiti e istituzioni.
Un salto di qualità  nella polemica politica sembrerebbe opportuno.
Corriere dell’Umbria 6 novembre 2005

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