Molto rumore per nulla? Questa volta il rumore rende evidente una
grave emergenza democratica. Si sono svolte elezioni che hanno
visto la partecipazione di una percentuale altissima di elettori.
Una pessima legge elettorale, voluta dalla destra, ha prodotto
comunque una maggioranza parlamentare che pur risicata al Senato,
consente comunque la formazione di un governo. Soltanto dopo
cinque giorni il Ministro degli Interni riconosce che le schede da
ricontrollare per le elezioni della Camera dei Deputati sono
duemilacentotrentuno. Errore materiale, dice il Ministro e i
brogli della sinistra, denunciati dalla Casa della Libertà , si
rivelano per quello che erano. L’ultima raffica di Salò si
potrebbe dire esagerando. L’ultima gag del cavaliere sconfitto se
si vuol essere buoni. Il Capo non riconosce di aver perso e il
mondo si stupisce. L’ira berlusconiana è comprensibile. Sconfitto
in piena “zona Cesarini” da un goal segnato da un oriundo. Una
beffa. Ma sconfitta è stata.
In sessanta anni di democrazia repubblicana è la prima volta che
un presidente del consiglio sconfitto non vuole farsi da parte.
Berlusconi non è mai stato un capo di governo capace di intendere
il funzionamento della democrazia. Nessuno ha vinto, dice il
Nostro. Eppure i numeri dicono il contrario: il centrodestra ha
perso, la coalizione diretta da Prodi ha vinto. Che fare? Allo
sbigottimento non può che seguire l’assunzione di responsabilità 
di chi ha la maggioranza nei due rami del Parlamento senza altra
intenzione che fare bene il suo mestiere avendo come unico vincolo
l’interesse nazionale.
Che il Paese sia spaccato a metà  è una banalità  dei commentatori
politici che non hanno altro da scrivere. Non è la stessa cosa in
Inghilterra o in Usa o in Svezia e non lo è stato in Italia a
partire dal 1994?
Il voto comporta sempre una lacerazione tra schieramenti
contrapposti. La democrazia prevede una maggioranza e una
minoranza che hanno responsabilità  diverse.
Prospettare un governo di larghe intese che metta assieme
Bertinotti, Prodi e Berlusconi è una bufala. Dopo cinque anni di
prepotenze della destra e dopo una campagna elettorale piena di
livore come è pensabile un tutti insieme appassionatamente? Un
governo con Previti alla Giustizia, Storace agli Interni e Bondi
alla Cultura? Volete consociarvi con i bollitori di bambini
signori e signore della destra? Tra Aldo Moro e Fabrizio Cicchitto
qualche differenza la nota anche Fassino.
L’Unione faccia il suo mestiere e cerchi di governare con le sue
forze. Ricostruire un terreno di rispetto reciproco richiede anni
di lavoro, mentre è urgente una svolta per risolvere i gravissimi
problemi lasciati dal governo delle destre.
Il centrosinistra dovrà  analizzare con rigore un risultato
elettorale non esaltante. Perdere regioni conquistate soltanto un
anno fa non è cosa da poco. Qualche quesito rispetto alla qualità 
dei governi regionali e locali è d’obbligo. La tracotanza di
qualche sindaco o presidente di regione del nord forse non ha
affascinato l’elettorato.
Anche il risultato umbro segna una qualche svolta rispetto a trend
elettorali consolidati. Non sarà  l’inizio della fine come spera
qualche dirigente della destra umbra, ma è indubbio che si tratta,
per il centrosinistra, di un voto che mette in discussione la
qualità  dell’offerta politica di molti partiti.
Il successo di Rifondazione e dello stesso PCDI può essere letto
attraverso la crisi di identità  dei diessini. E’ un dato nazionale
che in Umbria si aggrava e sembra rendere obbligatoria la scelta
di andare alla costruzione del partito democratico. E’ una
scorciatoia o è la logica conclusione di un processo iniziato con
lo scioglimento del PCI? Per molti il partito democratico è un
elemento di chiarificazione e per altri di liberazione.
Terminerebbe una storia e forse ciò stimolerà  la sinistra radicale
(?) a fare scelte di aggregazione. Mettere in un unico contenitore
Rutelli, Fabio Mussi, Cacciari e Renato Locchi, potrà  sembrare una
forzatura, ma la strada sembra tracciata.
L’Ulivo ha confermato il dato delle elezioni europee e DS e
Margherita hanno subito un ridimensionamento significativo. Forza
Italia è rimasto il primo partito e Fassino ha mancato
l’obbiettivo di essere il Capo del più forte partito italiano. In
Umbria segretari, amministratori e varia umanità  giustificano il
voto umbro prescindendo troppo dal loro lavoro. Forse sarebbe
tempo di riflettere meglio su come è percepito l’esercizio del
potere del ceto politico nella nostra comunità . Importante capire
perchè la discussione politica si concentra sempre di più sui
destini dei singoli e mai sulle scelte da fare per innovare la
società  umbra. Per quanto potrà  durare tutto ciò?
Utile sarebbe un’indagine rigorosa sulla rappresentazione sociale
della classe dirigente amministrativa. A naso si può parlare di un
ceto politico che proviene prevalentemente dal settore pubblico.
Le conseguenze sono molto importanti. La carenza di rappresentanza
dei settori più dinamici della società  e della cultura
impoveriscono il rapporto con i cittadini. Prevale l’autoconservazione
sul rinnovamento delle classi dirigenti facendo
emergere conservatorismo e debolezza progettuale.
La carriera, anche nei migliori, prevale sul progetto collettivo.
Che la politica sia un mondo a parte che coinvolge soltanto gli
addetti ai lavori e loro famigli è cosa nota. Che le spese per
l’autoriproduzione del ceto siano in espansione non aiuta a
conquistare voti. Come soddisfare l’esigenza di mantenere la
tenuta sociale dell’Umbria con la spesa pubblica da ridimensionare
per carenza di risorse? Certo i qualunquisti di sempre avranno
vita facile se non arriveranno, dal Centro e dalle periferie,
forti segnali di rinnovato rigore e di un’etica politica che
guardi all’interesse generale piuttosto che a quello del singolo.
Corriere dell’Umbria 16 aprile 2006

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