Quello che ci aspetta è una fase di sacrifici. Il rischio per il Paese è così alto che tutti saranno costretti ad accettare quanto il governo Monti si appresta a deliberare nel consiglio dei ministri di lunedì. E’ questo che sostengono gli opinion maker di destra, di centro, di sinistra. Che cosa proporrà il governo Monti? I giornali sono pieni di prospetti e di anticipazioni su cosa accadrà nel nostro sistema pensionistico e in genere su chi sarà chiamato a sostenere l’onere maggiore per dare tranquillità ai mercati finanziari. Rigore ed equità sono le parole magiche rivendicate da tutti affinchè la maggioranza del popolo accetti di veder ridimensionato il proprio reddito. Rigore verso chi? Essendo il Paese che negli ultimi due decenni ha visto lo spostamento massiccio della ricchezza nazionale dai redditi da lavoro a quelli delle rendite finanziarie e/o immobiliari, ci si aspetterebbe una politica economica che faccia pagare a chi si è arricchito di più e non a coloro che si sono “impoveriti” negli anni. Per ottenere questo risultato lo strumento più logico e più utilizzato nel mondo, è quello della tassazione sui patrimoni accumulati. Lo affermano in molti e non soltanto per ragioni di giustizia sociale, ma anche per evidenti motivi economici. L’avidità , è accertato, non produce benessere collettivo ma rabbia e frustrazione in chi la subisce. Premiare di nuovo l’egoismo proprietario non implementa i consumi e non aiuta a invertire la tendenza al disastro. Il professor Monti avrà certamente letto le conclusioni del 45° Rapporto del Censis e avrà fatto tesoro del quadro allarmante sulla situazione del Paese. I più in sofferenza sono i giovani che continuano a pagare il prezzo più alto in termini di non lavoro o di lavoro precario. E’ aumentata l’area di giovani che non lavorano e non studiano. Ciò rende incerto il destino di tutti. La fascia delle nuove povertà si è allargata inglobando pezzi di ceto medio e non solo di lavoratori e pensionati. Sono gli stessi ceti che hanno bisogno di avere una struttura pubblica di servizi al cittadino senza la quale si diventa ancora più poveri. Il passato governo ha già inciso profondamente sulla qualità e quantità dell’offerta pubblica in settori decisivi come la scuola, i trasporti, la sanità . Regioni e amministrazioni locali hanno bilanci ridimensionati da anni. Si deve sollecitare una vigorosa lotta agli sprechi e alle burocrazie, ma bisogna prendere atto che la struttura decentrata dello Stato non è più in grado di sostenere la spesa in settori vitali per la tenuta sociale. L’esigenza di innovare il modo d’essere di una comunità , è frustrata dall’impossibilità di investire risorse adeguate a rendere le infrastrutture capaci di affrontare le sfide di uno sviluppo che non può che avere una qualità diversa da quello conosciuto. Bisogna intendersi su quale crescita necessita per l’Italia. C’è bisogno di una crescita nei consumi delle famiglie, ma un Paese cresce anche attraverso l’aumento dei consumi collettivi. Si cresce anche con una scuola migliore e con una sanità efficace. Una crescita compatibile con le problematiche ambientali richiede investimenti in ricerca e innovazione. Tagliare la spesa pubblica con l’esclusivo criterio del pareggio di bilancio e senza una valutazione costi/benefici dei tagli, può essere rigoroso ma certo non è equo e può produrre disastri. Quanto successo in Grecia dovrebbe essere tenuto presente per evitare gli stessi errori. Il ridimensionamento dello stato sociale, la svendita del patrimonio pubblico, l’abbassamento di salari stipendi e pensioni, non ha fatto uscire la Grecia dal disastro provocato dalle politiche liberiste imposte dalla Signora Merkel.
Anche da noi sembra un dato acquisito che il sistema pensionistico sia uno dei problemi decisivi per affrontare il disastroso debito pubblico. Spendiamo troppo, sostengono quasi tutti. I conti della spesa previdenziale sono insostenibili, la verità rivelata. E’ veramente così? In Italia la spesa previdenziale si calcola al lordo. Cioè non si considera quanto il pensionato restituisce in tasse. In Francia e in Germania il conto si effettua al netto. Cioè quanto il pensionato mette in tasca. Applicando la stessa metodologia non esisterebbero differenze sostanziali tra la nostra spesa pensionistica e quella dei nostri partner europei. Nei conti dell’INPS del 2009 il saldo tra le entrate contributive e gli assegni effettivamente erogati, era di un avanzo di Euro 27,6 Miliardi. Andiamo in pensione troppo presto, dicono. E’ vero? Per gli uomini in Italia l’età media di pensionamento è di 61,1 anni. In Francia è 59,1 anni. E in Germania? Incredibile, l’età media è di 61,8. Siamo lì, o No? Si capisce la rabbia dei sindacati rispetto alle voci giornalistiche d’ulteriori tagli alle pensioni. E si capisce anche l’imbarazzo del PD. Imbarazzo che diverrebbe complesso da gestire se il veto della destra a qualsiasi forma di patrimoniale, sarà accettato da Monti.
La sobrietà è tornata a essere un valore apprezzato dalla gente comune e certo fa una certa impressione sapere che il presidente del consiglio quando va a una Mostra paga il biglietto. Si capisce però poco che lo stesso Monti, giustamente critico nei confronti del teatrino della politica, abbia scelto di andare a illustrare i provvedimenti del governo nel tempio del suddetto teatrino: Porta a Porta. L’opinione pubblica ha ancora in mente gli spettacoli con la regia di Bruno Vespa. Chi non ricorda il leggendario contratto con gli italiani firmato in diretta dal Presidente dell’A.C.Milan? Per la salute mentale di tutti noi speriamo che il professore tra gli altri esperti acquisisca un teorico della comunicazione. Se lo avesse avuto già nella squadra siamo certi che, martedì prossimo, sarebbe andato a pagamento ad ascoltare un concerto.
Corriere dell’Umbria 4 dicembre 2011