Riuscirà  il governo Monti a sopravvivere alla crescente tensione sociale dovuta all’aggravamento delle condizioni materiali del popolo? Il governo potrà  incassare il voto positivo al decreto sulle liberalizzazioni con un Parlamento in cui le libere professioni, toccate dal provvedimento suddetto, sono rappresentate da trecentoquarantuno parlamentari? Può vivere una democrazia in cui i partiti politici hanno perso la quasi totalità  della fiducia dell’elettorato e non sembrano in grado di invertire la tendenza al degrado? Siamo di fronte al paradosso di un governo che, a differenza di quello precedente, trova consenso e rispetto all’estero. Ancora oggi i sondaggi sono favorevoli per la compagine governativa ma Monti, sottoposto alle lobby che condizionano i partiti, non sembra in grado di individuare una strada diversa da quella che non ha funzionato nè in Grecia nè in Spagna. Aumentare il numero dei taxi o quello delle farmacie può anche essere buona cosa, ma se le aspirine, ad esempio, continueranno a costare dieci volte quello che costano a Londra il consumatore non trarrà  grandi benefici dall’aumento dei punti vendita. Forse di fronte all’impoverimento progressivo delle basi produttive del Paese ci sarebbe stato bisogno d’interventi più radicali in direzione di un nuovo sviluppo. Che un giovane per aprire un’attività  economica non sia sottoposto più a vincoli burocratici arcaici e a oneri insostenibili sembrerebbe cosa giusta. Ma se la struttura pubblica continua a non pagare i fornitori (ammontano a settanta i miliardi di euro i crediti che le piccole imprese hanno nei confronti di Comuni, Regioni, Stato) difficilmente si potrà  sperare nella crescita. Senza sviluppo le entrate fiscali diminuiscono e il debito pubblico aumenta. Si può essere d’accordo o no con la liberalizzazione degli orari dei negozi, ma se i consumi non riprendono, i punti vendita rimarranno aperti più a lungo ma saranno sempre vuoti. Che tutto ciò che è pubblico debba essere privatizzato, non è un obbligo dovuto a leggi naturali, ma è frutto di una scelta ideologica che, in assenza di una qualche ideale di sinistra, è divenuta il verbo divino. Che gli utenti abbiano tratto giovamento dalle privatizzazioni all’italiana è difficile dimostrarlo. Ad esempio la sanità  ha certamente eccellenze sia nel settore pubblico sia in quello privato, ma i costi sono molto più alti in quello privato. Basta confrontare i bilanci della sanità  nel Lazio (in maggioranza privatizzata) con quelli della nostra regione dove il privato è marginale. Certo anche la sanità  pubblica dovrebbe migliorare, ma senza risorse e facendo conto soltanto sui ticket il deterioramento è certo. Invece anche un buon welfare potrebbe aiutare un nuovo sviluppo, basterebbe uscire dalle ideologie ottocentesche.

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