La mossa del cavallo. La certa disponibilità di Walter Veltroni a candidarsi per la segreteria del partito democratico spariglia le carte. Testimonia la crisi del gruppo dirigente diessino costruito attorno a Fassino, mette in un angolo i dalemiani “certificati” (D’Alema è uomo di grande vitalità e di grande capacità di risalita), colpisce le aspettative dell’ambizioso Rutelli, scopre l’ala sinistra della coalizione dell’Unione. Prodi non può farci niente. Dopo aspre resistenze ha dovuto accettare che il primo segretario del “suo” partito non sia una sua controfigura, ma un leader di spessore. Molte aspettative di carriera personale saranno deluse dai processi che oggettivamente si produrranno in un PD ad impronta Veltroni, ma sono fatti personali che interessano poco. Interessa molto ciò che farà la galassia di partiti e movimenti alla sinistra del PD. Walter Veltroni può essere giudicato in molti modi, ma non è Sergio Cofferati. La giunta capitolina da lui guidata ha saputo costruire una unità seria tra “riformisti” e “antagonisti”. Anche a Roma le contraddizioni non mancano, ma la gestione del sindaco è stata sempre quella di ascolto anche delle sensibilità espresse dalla sinistra. Traducendo: anche a sinistra può esserci un affascinamento per un PD diretto dal sindaco di Roma. I leader delle forze politiche fuori dal PD, hanno l’urgenza di costruire un contenitore, plurale quanto si vuole, ma capace di superare gli orticelli personali, ammainare i vessilli di partito che non sventolano più, sapendo che la questione dell’unità e della semplificazione delle sigle sarà decisiva per tutti.
Perchè questa accelerazione dei diessini e margheritini dopo i tentennamenti dei mesi trascorsi? I bene informati parlano di sondaggi tremendi per i partiti della coalizione al governo. Il grado di apprezzamento per Prodi e il suo governo sono nettamente minoritari. E non si tratta di incapacità nella comunicazione. E’ proprio la qualità del governo che indispettisce il popolo.
Per dimostrare la improvvisazione dei nostri governanti basta un solo esempio. Sono passate soltanto due settimane da quando il ministro Tommaso Padoa Schioppa annunciava al Paese che l’emergenza dei conti pubblici era superata. Le tensioni interne e tra le forze sociali sono state su come ripartire le impreviste maggiori entrate che appunto, il ministro, non aveva previsto imponendo una finanziaria di lacrime e sangue per risanare il deficit pubblico. All’incontro del governo con i sindacati, tema le pensioni, lo stesso ministro di cui sopra annuncia che i soldi per abolire lo “scalone” non ci sono e, quindi, anche questo punto del programma dell’Unione non potrà essere soddisfatto. Oggi, sabato, viene comunicato che le entrate fiscali del primo quadrimestre sono aumentate di 6,6 miliardi di Euro. Da rimanere basiti per il grado di confusione.
Ha buon gioco, in questa situazione, il già pubblic relations man, Luchino Cordero di Montezemolo a continuare nelle sue esternazioni da grande leader del Paese. Questa volta il presidente di: Confindustria, Fiera Di Bologna, di Ferrari, di Frau, ecc.ecc.. se la prende con i sindacati, con il governo e con l’opposizione. Solo i Suoi organizzati stanno lavorando per il bene dell’Italia, gli altri fanno disastri. I sindacati ad esempio organizzano i “fannulloni”. Poi, il nostro iper presidente si è corretto, ma rimane l’impressione che di fronte alla debolezza della politica, vi sono forze intenzionate a condizionare pesantemente la democrazia italiana. Una democrazia già fragile che di tutto ha bisogno meno che di ricchi tromboni che aprono la bocca e gli danno fiato.
E’ la buona politica che deve riprendere forza. E’ questa una vera emergenza che non può essere risolta soltanto dalle leadership romane. Le leadership frutto di un plebiscito possono montarsi la testa e divenire autoritari senza autorevolezza. Le “leggendarie” primarie che hanno incoronato Prodi sono un esempio palmare del rischio che si corre.
sparigliare puà determinare un avanzaamento della qualità del gioco, ma anche la resa ad un senso comune determinato dalla forza dell’ideologia dominante che notoriamente considera la democrazia come un intralcio alla governabilità .