Il candidato, anzi la candidata a segretario del Partito Democratico dell’Umbria c’è. Al momento in cui scrivo non se ne conosce il nome. E’ certo che sarà una donna espressa dalla Margherita. La cosa è stata decisa a Roma e ai diessini nostrani non è rimasto che chinare il capo e ubbidire a Fassino, Rutelli e Veltroni. Non c’è molto da meravigliarsi. Niente di nuovo sotto il sole. Sono ormai molte le occasioni che da Roma vengono imposte candidature, incarichi e quanto d’altro in dispregio di qualsiasi rispetto dell’autonomia regionale che, sposato il federalismo, dovrebbe essere assicurata nella formazione di liste o organismi.
E’ noto che nel 2005 furono addirittura imposti da Roma assessori regionali sulla cui qualità qualche dubbio persisteva in molti, ma il Capo romano aveva le sue esigenze da soddisfare.
Vizio antico la subalternità dei gruppi dirigenti locali umbri al Centro. Chi non ricorda l’imposizione di Adornato come parlamentare dell’Umbria? Chi non rammenta il parlamentare verde collocato nell’Alta valle del Tevere in dispregio di qualsiasi rispetto delle volontà della comunità locale?
Nelle ultime elezioni politiche tutti e diconsi tutti i membri del Parlamento furono scelti dalle oligarchie romane senza che gli elettori potessero far altro che votare il simbolo di partito. Anche in presenza dell’orrenda legge elettorale voluta da Berlusconi, l’Unione poteva inventarsi qualche meccanismo di consultazione. Non lo fecero e decisero tutto tra loro.
Il rapporto tra periferia e Roma è sempre stato complesso, ma sperare che il “nuovo” partito in formazione scegliesse metodologie diverse dal passato aveva una sua logica. Ed è vero che una fusione a freddo quale è quella tra DS e Margherita richiede uno sforzo ed un equilibrio tra gli sponsali. Pensare ad un DS “pigliatutto” era un errore. La questione è molto banale: l’Umbria è considerata da tempo un serbatoio di voti governata da una classe dirigente il cui unico destino sembra essere quello di rapportarsi all’oligarca romano di turno nella gestione del partito. Tutti occhettiani, poi dalemiani, poi veltroniani e poi dalemiani e poi ancora veltroniani. Comunque sempre con chi comanda. Un gioco dell’oca che è servito a garantire carriere politiche infinite, ma che ha annichilito qualsiasi autonomia dei gruppi dirigenti locali. D’altra parte la feudalizzazione della politica comporta un principe, dei feudatari e dei vassalli. L’autodeterminazione non rientra nello schema della politica personalizzata: è il Centro che sceglie linee politiche e protagonisti della gestione. Così, da molti anni, il dissenso nei diessini umbri viene esercitato da qualche anima bella e in genere non lascia traccia. La politica come carriera personale richiede qualche sacrificio. E cambiar opinione e leader di riferimento non è un delitto.
Qualche perplessità nasce in chi ha considerato la scelta di sparigliare il sistema politico italiano attraverso un partito con nuove idealità .
Purtroppo se nella scelta dei candidati per le primarie del 14 ottobre si è proceduto con una bella spartizione romana, la linea politica che sembra prevalere nei protagonisti del nuovo partito non provoca alcuna perplessità . Il giudizio di molti osservatori della politica è netto: uno spostamento marcato verso il centro, con alcune fughe verso destra.
Con piacere si osserva che non tutti i sindaci del centrosinistra vogliono diventare degli sceriffi come Cofferrati e Dominici. Riformisti alla Chiamparino e alla Cacciari preferiscono affrontare la questione della sicurezza delle città con un minimo di intelligenza e sensibilità .
Inseguire la destra non porta da nessuna parte, sostengono in molti e non solo a sinistra. Fini ha ragione quando sostiene che law and order è una slogan prerogativa della destra. Dimentica di dire, l’onorevole Fini, che se si sceglie quella strada, la repressione non riguarda soltanto i lavavetri ma incide anche sulle libertà di tanti che, senza lavar vetri, non vogliono piegarsi al senso comune e al perbenismo imperante.
Non si capisce nemmeno l’innamoramento di alcuni leader riformisti per il ciarliero Luca Cordero di Montezemolo. A quale bacino elettorale vorrà far riferimento il nuovo Partito Democratico? Sposare la campagna confindustriale contro le tasse è una fesseria politica che contrasta con gli impegni programmatici con sui si sono chiesti i voti e non aiuta affatto ad affrontare la crisi economica e la precarietà del lavoro.
Anche economisti liberal sostengono da tempo che l’emergenza italiana è dovuta essenzialmente alla caduta del potere di acquisto di una parte consistente del popolo italiano. Vi è stato un processo di proletarizzazione che ha riguardato anche il ceto medio e pur in presenza dei più bassi salari d’Europa, la competitività del sistema Italia non migliora. Senza una ripresa della domanda interna non si va da nessuna parte. Deve essere Mario Monti a ricordare che la pressione fiscale non è il primo problema? Il Paese ha bisogno di infrastrutture e di servizi pubblici più efficaci come motore di un nuovo sviluppo. Il risanamento della spesa pubblica è questione essenziale, ma è decisiva la sua riqualificazione e non il suo ridimensionamento a vantaggio magari di un’ulteriore allargamento dei consumi dei ceti più ricchi. Personalmente in città trovo più fastidiosa la prepotenza di qualche possessore di SUV che un povero cristo che, al semaforo, mi vuol pulire il parabrezza. Questione di gusti.
ricordare le logiche dei vecchi partiti di massa serve a poco. In testa c’è il modello “americano”. Nonostante che la nostra costituzione non lo permetta si vuole una repubblica presidenziale e quindi un solo uomo al comando.
fa schifo