Micropolis ha sempre considerato la creazione del Partito Democratico come un’ altra fase dell’ americanizzazione della società italiana. Per questo siamo stati critici rispetto alla scelta di fondere i DS con la Margherita. Lo smottamento diessino verso il moderatismo era iniziato da tempo e la sua dissoluzione lascia pochi rimpianti per chi continua a ritenere che la democrazia italiana ha bisogno di una sinistra moderna quanto si vuole, ma che rappresenti il mondo del lavoro e mantenga aperta la speranza di un mondo diverso da quello imposto dal liberismo.
L’inconsistenza programmatica dei soci fondatori del PD ha fatto da pendant alla scelta plebiscitaria per l’elezione del segretario nazionale e di quelli regionali. Il già fragile governo Prodi ha subito colpi durissimi dalle improvvisazioni dei “coraggiosi” rutelliani. Le ripetute esternazioni programmatiche di Veltroni se hanno ricevuto l’apprezzamento di Montezemolo e certo hanno entusiasmato i redattori dell’organo del Partito Democratico, “La Repubblica”, hanno anche messo in fibrillazione la maggioranza.
Da fattore di consolidamento del quadro politico il PD rischia di essere fattore di crisi.
Nelle intenzioni dei promotori il nuovo partito doveva essere “la grande avventura” che salvava il Paese dalla decadenza. Con quello che sta succedendo è più corretto definire il processo in atto come puro avventurismo del riformismo senza riforme dei vari Fassino, Rutelli e via dicendo. Dopo una campagna durata mesi tesa a dimostrare che i problemi per Prodi nascevano dall’estremismo della sinistra al governo, anche Eugenio Scalfari ha dovuto ammettere che sono le varie forze del centro che brigano per ottenere la fine dell’Unione. Statisti del calibro di Dini, Mastella e Di Pietro sono al lavoro per rompere la maggioranza nella speranza di formare un centro politico capace di contrattare potere con la destra e con quel che rimane del centrosinistra.
Il quadro politico nazionale è in confusione totale, ma il disastro non si ferma a Roma.
Le demenziali dichiarazioni di alcuni sindaci (Cofferati in primis) non hanno certo aiutato la tenuta politica di una coalizione nata male e vissuta peggio ad ogni livello.
L’affair “lavavetri” è soltanto la punta di un iceberg destinato a far saltare nel futuro molti governi locali dell’Unione di centro-sinistra se non c’è una ripresa di intelligenza collettiva. E’ in atto, anche in periferia, il tentativo di annichilire la sinistra spostando sempre più a destra le priorità delle amministrazioni locali anche a rischio di consegnare alla destra il governo di città e regioni. Non è avventurismo questo?
Non siamo particolarmente legati ai comici che ci spiegano i problemi della politica. Grillo urla certamente troppo e le sue proposte non ci appassionano, alcune sono fesserie. Grillo descrive il mondo della politica in modo sbagliato? Urla e insulti a parte, il ceto politico non è dissimile da quello preso di petto dal comico genovese. E’ un mondo a parte quello della politica. Un mondo che non ha coscienza dello scarto che c’è tra il loro lavoro e il senso di sdegno che provoca un certo modo di essere degli addetti ai lavori nelle istituzioni pubbliche.
All’indignazione di massa verso la politica dell’avanspettacolo che ci propinano i leader e le oligarchie in campo si risponde gridando: qualunquismo. Se il prudente presidente Napolitano dice basta ai politici in TV il vaso è veramente colmo.
Libri di denuncia dei privilegi del ceto divengono best seller come gli scritti di Umberto Eco e gli inquilini del “palazzo” continuano nelle loro pessime performance come se la cosa non riguardasse tutti loro. Bisognerà pur far qualcosa con urgenza se non si vuole trasformare la rabbia in un moto popolare che travolge assieme alla cattiva politica anche la democrazia italiana.
La sinistra a sinistra del PD ha anche in questo la grande responsabilità di dimostrare una sua diversità . Nella finanziaria in discussione possono essere introdotte scelte di ridimensionamento delle spese per il funzionamento degli apparati politici. Cesare Salvi e Villone ci provarono senza successo nella finanziaria dello scorso anno. Costruiscano Rifondazione, Pcdi, SD e Verdi una piattaforma unitaria da presentare al dibattito in Parlamento e sfidino i riformisti sul terreno della riforma dell’agire politico. Il risultato potrebbe essere interessante. L’antipolitica si batte attraverso una buona politica e non con gli anatemi.
Bisogna scommettere sul rilancio della democrazia di massa.
E’ anche per questo che assume un rilievo fondamentale la manifestazione del 20 ottobre indetta da “Il Manifesto” e “Liberazione”. Soltanto la malafede della destra e di qualche riformista alla Blair può presentare la manifestazione come una riunione di estremisti.
Rivendicare l’applicazione del programma dell’Unione, migliorare l’accordo sulle pensioni e sul welfare, lottare con il precariato, rendere migliore la distribuzione del reddito, riproporre le questioni della pace e dei diritti civili. Sono questi gli obbiettivi della scesa in campo del popolo della sinistra. Non sono obbiettivi destabilizzanti per il governo e sarebbe bene che Prodi confermasse l’apprezzamento già dichiarato nelle scorse settimane. Potremmo sbagliare, ma senza la scesa in campo delle masse popolari, saranno le congiure di palazzo a prevalere.