Non è una novità il fatto che la redazione di Micropolis non abbia
alcuna simpatia politica per Rutelli. Più volte abbiamo scritto
che l’ex radicale avrebbe fatto meglio a scomparire dalla scena
politica dopo la sconfitta subita alle elezioni politiche del 2001.
Purtroppo il ceto dirigente italiano è quello che è. Rutelli ha un
sogno: costruire il partito democratico. Propugna la democrazia
americana, ma non ne applica la regola fondamentale: chi perde
alle elezioni va a casa. Così è stato per Al Gore e da ultimo per
l’inconsistente Kerry. Il nostro continua a sacrificarsi per il
bene di tutti noi.
Rutelli è una dell’espressioni del trasformismo italiano. Ciò che
propone Rutelli non può che sollecitare la nostra più profonda
avversione politica. Detto tutto il male possibile del leader
della Margherita, ci sentiamo in dovere di affermare che la
responsabilità del disastro, che sta annichilendo il popolo del
centrosinistra, è anche di chi ha voluto inventarsi il listone e
la federazione dei riformisti e di chi, sperando in un tornaconto
elettorale che non c’è stato, non ha denunciato l’errore compiuto
da Prodi e Fassino. Ogni riferimento a Rifondazione è puramente
casuale.
Le giravolte rutelliane sono state possibili grazie ad un sistema
politico che premia le oligarchie e le oligarchie non sono
espressione soltanto dei riformisti. Sono il modo di essere di
tutta la classe dirigente politica in campo.
I partiti si sono trasformati in strutture a-democratiche al
servizio della carriera amministrativa dei miracolati di
Berlusconi: un ceto inossidabile e inattaccabile nella sua
insaziabilità di prebende e incarichi. Dietro la bandiera onorata
della identità di partito si nasconde la merce avariata della
spartizione di collegi elettorali e di posti ben pagati nella
struttura pubblica. Trovare un qualche residuo di identità in
raggruppamenti informi come i partiti attuali è impresa vana.
Prevale il vaniloquio sul riformismo.
In questi anni non c’è stata alcuna seria iniziativa volta a
combattere la deriva della democrazia rappresentativa italiana.
La stessa debole discussione attorno ai nodi del programma
dell’Unione per il futuro governo del Paese non ha mai contenuto
la questione della qualità del sistema politico consolidatosi in
questi anni. La leaderite acuta rimane la malattia infantile della
politica e il sistema maggioritario la bibbia dei fondamentalisti
dell’americanizzazione all’italiana.
Ne abbiamo avuto un piccolo esempio in Umbria nella discussione
dello statuto regionale. L’iper presidenzialismo previsto è stato
denunciato soltanto fuori delle aule di Palazzo Cesaroni da voci
flebili come la nostra. L’opposizione di Rifondazione ha ricordato
l’opposizione di sua maestà , senza lasciare il minimo segno
politico. La decisione della presidente di promulgare lo statuto a
prescindere da tutte le osservazioni di opportunità tecnica e
politica, non ha trovato contrarietà nelle componenti dell’Unione.
Le ultime vicende dell’elezione degli organi di direzione del
consiglio regionale hanno dimostrato come l’appetito dei partiti
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riformisti o della sinistra alternativa sia senza fondo. Si è
trattato di un vero arrembaggio all’incarico. Un assalto all’arma
bianca che ha determinato la scelta di costituire sette
commissioni permanenti per trenta consiglieri regionali.
Scandaloso è il minimo che si può dire. Conoscendo il movimento
legislativo della Regione Umbra degli ultimi dieci anni, siamo
certi che il sindacato dei presidenti non potrà rivendicare alcun
premio di produttività . Ci sarà risparmiato un qualche tiket a
copertura della spesa.
I feudatari piccoli e grandi sono stati tutti soddisfatti. Una
sistemazione non è stata negata a nessuno. La mitica “regione
leggera†degli anni ‘90 si va consolidando in una struttura
burocratica elefantiaca per staff e consulenze varie. La spesa per
la gestione degli amministratori cresce come il buco del bilancio
dello Stato senza alcun controllo da parte di alcuno.
L’opinione pubblica ci sembra annichilita e sempre più lontana
dalla politica, ma questo è un parere ininfluente. Lunga vita a
Berlusconi, gridano i leader gli amministratori umbri baciati
dalla fortuna. Fin che c’è Lui non ci tocca nessuno, dicono
sottovoce.
Micropolis maggio 2005