L’autorevole quotidiano “New York Times” ha dedicato all’Italia un’inchiesta di prima pagina. Utilizzando l’ultima ricerca Censis, parlando con leader politici e imprenditori, il giornalista americano, Ian Fisher, dopo una lunga e corretta analisi ha definito il nostro Paese come una nazione povera e vecchia. Un Paese infelice, il più infelice d’Europa. Esagera il giornalista d’oltreoceano? Non credo. Negli ultimi quindici anni l’Italia è arretrata non tanto e soltanto economicamente. Sono tutti i parametri della convivenza civile e della crescita a collocarci in fondo a tutte le graduatorie europee. Dalla scuola alle grandi infrastrutture tutto sembra assegnarci un futuro incerto e precario. E’ una crisi di lunga durata.
Il tracollo politico e istituzionale della prima repubblica non ha ancor oggi prodotto una classe dirigente apprezzabile e capace di modernizzare un Paese che sembra incentivare soltanto l’arte di arrangiarsi. L’innovazione e i momenti di eccellenza nel settore produttivo sono sempre più a macchia di leopardo che non fanno sistema. Il Made in Italy si concentra sempre più in settori maturi e poche sono le imprese capaci di confrontarsi nel mondo nei settori della tecnologia e dell’innovazione di prodotto. Intere zone, il mezzogiorno innanzi tutto, continuano a degradarsi ed è ripresa un’emigrazione di massa che riguarda anche giovani ad alto livello di scolarizzazione.
Siamo diretti da una classe dirigente che ogni tanto scopre l’acqua calda. L’ultima scoperta è stata quella del permanere di un mondo del lavoro operaio. Saggi, ricerche, elaborazioni dotte, ci avevano convinto che gli operai non c’erano più, erano residuali rispetto agli altri lavoratori. La tragedia di Torino ha spiattellato d’avanti a tutti una condizione di lavoro degna del terzo mondo. Giovani operai che, per raggiungere una paga mensile di mille e trecento Euro, sono costretti a lavorare anche quindici ore al giorno in condizioni di massima insicurezza.
I quattro operai morti lavoravano da dodici ore. Una barbarie. Indignarsi è giusto, ma non basta. Non è esclusiva competenza della sinistra popolare farsi carico dell’esigenza di assicurare una vita dignitosa a milioni di italiani impoveriti da uno sviluppo economico che ha spostato nettamente la ricchezza del Paese verso ceti diversi dai lavoratori e pensionati e che assicura ai giovani principalmente un lavoro precario. E’ interesse di tutti che il governo e le forze sociali operino una svolta radicale rispetto alla ripartizione del prodotto interno lordo. Continuare a tassare il mondo della produzione e del lavoro almeno il doppio della ricchezza derivante da rendite e dalle speculazioni finanziare è un errore non soltanto dal punto di vista della giustizia sociale. Se si vuole favorire uno sviluppo economico più virtuoso all’Italia, bisogna cambiare strada. Insigni economisti di ogni scuola, concordano sul dato che senza una ripresa della domanda interna è difficile far decollare l’economia italiana. Milioni e milioni di lavoratori sono in attesa del rinnovo del contratto di lavoro. I metalmeccanici ad esempio chiedono un aumento contrattuale di centodiciotto Euro lordi mensili. E’ estremista la FIOM o la sordità delle imprese rasenta l’irresponsabilità ?
Come facciamo a non essere un Paese infelice in presenza di un quadro come quello che ci offrono i nostri leader politici di ogni latitudine e longitudine?
La sinistra ottiene con la manifestazione di Roma un risultato d’immagine positiva. Unitevi e presto, ha gridato Pietro Ingrao dal palco della Fiera di Roma domenica scorsa. Applausi scroscianti, lacrime e impegni d’onore ad avanzare nel processo di unificazione dei “coriandoli” della sinistra multicolore.
Martedì il PCDI assieme a Verdi, PSI, Mastella e non so chi altro, emettono un comunicato in cui si minaccia la non approvazione della finanziaria in mancanza di un accordo sulla legge elettorale. I partiti suddetti accusano Veltroni e Bertinotti di voler fare un accordo con Berlusconi sulla pelle delle loro formazioni politiche. Vogliono una legge elettorale che conservi la loro identità . Allegria. Il sospetto dei cattivi è che non si tratta soltanto di identità politiche, ma che piuttosto prevalga l’interesse per le identità personali.
Che inciuciare con Berlusconi sia una pessima idea è opinione diffusa, meglio evitare. Pretendere di eleggere il Parlamento con il sistema elettorale regionale è sbagliato. La solita ripartizione romana degli eletti da parte dei soliti noti non va bene. Tutti i sistemi regionali sono di carattere presidenziale. Il governo della Repubblica è invece espressione del Parlamento. Il presidente di regione, purtroppo, è eletto direttamente dal popolo. Il capo del governo è incaricato dal presidente della Repubblica ed eletto dai parlamentari. Una differenza radicale.
Come si fa a non essere depressi quando si esamina come si va costruendo il Partito Democratico? Leggo sul Corriere dell’Umbria di mercoledì: “No, il problema più grosso è capire con quale metodo governare il partito. L’elezione diretta del segretario non può mettere in naftalina la vita democratica di un partito. C’è un dibattito molto articolato nel PD”¦.non si può andare avanti per forzature”¦.Gli strappi non servono.”. La denuncia è stata fatta da Wladimiro Boccali, vice segretario regionale del PD, in polemica con la scelta della segretaria Bruscolotti di nominare la “sua” squadra di direzione del nascituro partito senza sottoporla a nessun voto di consenso. Confesso che ho da sempre una sorta di prevenzione ideologica contro gli staff. Quando sento dire da un politico “faccio la mia squadra” mi vengono i brividi. Ma sinceramente non riesco a capire come si possa immaginare un partito”¦.democratico senza che gli organi di questo non siano espressione di una volontà collettiva. Non conoscendo i “nominati” dalla segretaria a dirigere il PD non posso esprimere pareri.
Sono certo che nella scelta, la segretaria, si sarà ricordata che in Umbria la sinistra ha sempre avuto la maggioranza dei consensi elettorali. Anche al “nuovo” partito i voti potrebbero servire. Sbaglio?