Si conclude il terzo lustro della defatigante transizione italiana. Quindici anni che hanno come filo conduttore il degrado della democrazia repubblicana e l’affermarsi del berlusconismo come categoria della politica e del senso comune. Non si vede ancora un punto di approdo e l’impressione è quella di un galleggiare a vista dei partiti:la precarietà riguarda anche i vari progetti politici messi in campo.
Sicuramente incerta e problematica è la costruzione del partito democratico. La scelta sembra essere quella di un partito all’americana. Apparati strutturati come staff del leader nazionale o locale e una democrazia interna che si eserciterà esclusivamente nei momenti elettorali.
Questo sembra emergere in questi primi atti e dichiarazioni dopo il plebiscito di ottobre che ha nominato Walter Veltroni a leader del nascituro partito. Al momento non è dato sapere se e quando ci sarà un congresso fondativo del PD dove si eleggono gruppi dirigenti e si presenta un programma politico che vada al di là delle molteplici esternazioni di Veltroni. Per adesso i dirigenti vengono nominati dal segretario sulla base di un’idea leaderistica della gestione di un partito. Esemplare quanto successo in Umbria. La segretaria Bruscolotti ha scelto una quindicina di persone, nominandoli generali. Non si conoscono i criteri della scelta, ma dalle reazioni interne sembrerebbe che l’unico vincolo sia stato quello dei volti nuovi per il cinema. Questo giornale ha ripetutamente polemizzato con il ceto politico consolidato da decenni di gestione del potere amministrativo in Umbria. Abbiamo definito il sistema come un sistema feudale guidato da principesse, feudatari e vassalli interessati esclusivamente alla propria riproduzione. Siamo pervicacemente convinti che un processo di rinnovamento sia obbligatorio: dopo tanti sacrifici per la comunità , sarebbe tempo di mettere a riposo una parte consistente della oligarchia al potere. Non siamo convinti che il metodo del “levati tu che mi ci metto io” sia la strada giusta per rinnovare la democrazia di un partito. Non si sconfigge così il carrierismo politico e la personalizzazione della politica imperanti da molti anni. Non abbiamo alcuna attrazione politica per il PD e abbiamo valutato come avventurista la scelta di sciogliere i DS in un contenitore indefinibile politicamente e idealmente. Banale la previsione che il già precario governo Prodi sarebbe entrato in fibrillazione ulteriore e che i moderati alla Dini avrebbero tratto stimoli per le loro posizioni ricattatorie. Queste valutazioni non ci impediscono di valutare con preoccupazione un working progress che rischia di portare al disastro la fragile creatura che ambisce di essere capace di vincere da sola, ma che per adesso non sa bene cosa farà da grande.
Insicura e faticosa è la prospettiva della sinistra. Gli Stati Generali dell’8 e 9 dicembre a Roma sono risultati molto più positivi di quanto ci aspettassimo. Le varie sigle della sinistra si sono ritrovate in un segno grafico (così è stato definito il simbolo della sinistra plurale) che potrebbe rappresentare politicamente le varie e frantumate sensibilità delle forze a sinistra del PD. La partecipazione alla due giorni romana è stata di qualità anche per una presenza inaspettata di giovani. Palpabile era l’esigenza di una unità politica più avanzata di quella prevista dai singoli partiti. E’ un passo in avanti che necessità di urgenti accelerazioni. In quale direzione? Decisive sono certo le scelte organizzative, ma senza un lavoro programmatico serio non si andrà oltre un cartello elettorale.
Non si parte da zero e il lavoro unitario che si è svolto in questi mesi in Parlamento è stata buona cosa. Si tratta di individuare alcune priorità su cui impegnare energie e intelligenze per un progetto politico che non si esaurisce nel come stare nel “palazzo” del potere, ma dall’analisi delle contraddizioni che il trionfo del liberismo ha prodotto nella società italiana. Apprezzabile sarebbe un discorso di verità rispetto ai rapporti di forza tra la sinistra e coloro che hanno in mente soltanto la salvaguardia dello stato di cose esistente. Senza piangersi addosso e valorizzando ciò che si ottiene partecipando al governo del Paese, la sinistra popolare deve saper distinguere ciò che costituisce un passo avanti e l’ambizione di un orizzonte di mutamento radicale della società italiana attrezzandosi per un lavoro di lunga lena. Per far ciò servono poco gli orridi salotti televisivi. E’ necessario un duro lavoro di analisi della realtà e un rinnovato rapporto diretto con le masse popolari. Servono strumenti di comunicazione e di formazione politica. Abbiamo già , senza pregiudizi, offerto Micropolis per aiutare questo processo. Siamo pochi e abbiamo poche risorse, ma possiamo rappresentare per l’Umbria uno degli strumenti per far crescere una nuova classe dirigente della sinistra che non si adegua e ancora lavora per un altro mondo possibile. Assieme si possono individuare le priorità nel lavoro da fare nelle assemblee elettive dove la sinistra è forza di governo decisiva per la tenuta del quadro politico. Un altro impegno diviene decisivo. Che cosa porre come priorità nell’impegno di ricerca e organizzazione?
Come non partire dalla questione del lavoro?
La tragedia di Torino alla Thyssen Krupp ha permesso anche al buon Fassino di scoprire che in Italia esiste un mondo dove si lavora anche quindici ore al giorno per un salario di 1300 Euro. Un mondo rimosso dalla politica e che anche il sindacato confederale non riesce più a rappresentare adeguatamente.
Una realtà fatta di uomini e donne che non si riconoscono in nessuna formazione politica e guardano con angoscia ad un futuro di precarietà economica e sociale. La sinistra non può che ripartire dalle condizioni materiali dei lavoratori delle fabbriche, ma anche di quelle dei call center, dei cantieri edili o dei supermercati.
Certo sarebbe più facile continuare ad esaurire il tutto nella continua corrida dei dibattiti interni al ceto politico. Ma ciò non servirebbe a combattere l’antipolitica. Ritrovare una buona politica è possibile soltanto recuperando all’agire politico coloro che non rinunciano a cambiare l’esistente. Anche Veltroni alla fine capirà che senza l’esercito della sinistra popolare vincerà ancora una volta la destra berlusconiana.