Non credo che sia mai successo, ma se succedesse che un dirigente politico americano chiedesse l’abolizione della festa del 4 luglio, giornata a memoria dell’indipendenza americana, la reazione sarebbe quella di spedirlo in una casa di cura o a Guantanamo per un programma di rieducazione. Se il presidente Sarkozy non partecipasse ai festeggiamenti del 14 luglio, festa per la presa della Bastiglia dei rivoluzionari francesi, l’Eliseo sarebbe occupato dal popolo in rivolta.
L’Italia è uno strano Paese. Intellettuali e politici della destra amerebbero abolire la Festa della Liberazione del 25 aprile e non è detto che non ci provino a farlo. Il cavalier Berlusconi nei 14 anni di carriera istituzionale non ha mai partecipato a cerimonie di commemorazione del 25 aprile. Il sindaco di Alghero ha proibito alla banda municipale di eseguire Bella Ciao. La motivazione? E’ un canto che divide. Per esperienza personale posso assicurare al sindaco che Bella Ciao è cantata anche dai boy scout e dai bambini degli asili nido, anche quelli gestiti dalle suore.
Ma così va il mondo. Come per l’intelligenza anche per la stupidità non c’è confine. Ci sarebbe da ridere, ma è meglio non farlo. Le elezioni di aprile hanno riportato al potere una destra che non si riconosce nell’atto fondativo la Repubblica Italiana. La Resistenza italiana è stata, a livello europeo, uno dei movimenti di popolo contro il nazi-fascismo più vasti e significativi per il grado di partecipazione e di unità delle diverse sensibilità politiche presenti nella lotta di liberazione. Da questo processo unitario è nata la Costituzione Repubblicana che rappresenta nello spirito e nella lettera il complesso dei valori che costituiscono la Nazione.
Purtroppo tutti si sentono impegnati a modificare la Carta, anche i riformisti, invece di applicarla nelle parti più innovative, hanno dato il loro contributo a creare una costituzione materiale che entra in conflitto con quanto è stato scritto dai padri costituenti nel 1948. Un esempio per tutti. Quando Franceschini, vice segretario del PD, sostiene che bisogna introdurre il semi-presidenzialismo alla francese, non può che non considerare che questo è in aperto contrasto con il dettato costituzionale che prevede una repubblica parlamentare e non presidenziale. Così facendo legittima la volontà della destra berlusconiana che da anni lavora per un sistema politico plebiscitario in cui un Cesare moderno guida il Paese. E passi avanti in questa direzione sono stati fatti con le ultime elezioni. Aver sfidato Berlusconi nel suo terreno populista non ha dato grandi risultati nè a sinistra nè per il Partito Democratico. La vittoria della destra di quest’anno è molto più ampia di quella del 2001. La distanza percentuale era stata del 2,5% oggi questa percentuale è salita all’11%.
Nella mia giovinezza politica si usava “l’analisi del voto” come strumento per adeguare la linea politica del partito. Lo spostamento in negativo o positivo dell’uno per cento era uno stimolo a discussioni infinite per cercarne le motivazioni e per i responsabili locali e nazionali erano dolori.
Capisco che si attende l’esito del voto amministrativo di Roma, ma le prime analisi fatte da PD e sinistra non sembrano convincenti.
Ad esempio in Umbria i dirigenti del PD sembrano soddisfatti del risultato conseguito. Sbagliano. Nella nostra regione i partiti della disciolta Unione perdono il 10% e soltanto una parte della sinistra ha votato per il PD. Il voto utile c’è stato, ma non ha compensato le perdite del PD verso il centro e verso la destra.
Non c’è da essere molto allegri per i dirigenti democratici. Certo stanno molto meglio della sinistra e dei socialisti ormai scomparsi dalle aule parlamentari, ma se vogliono iniziare a costruire un’alternativa credibile al berlusconismo qualche riconsiderazione sulla linea politica e sul modello di partito da consolidare va fatta.
Nello smarrimento del dopo voto sembra emergere la volontà di costruire un rapporto con l’Udc di Casini e questo ha un senso nel lavoro di opposizione parlamentare. Ne ha meno se si ritiene di dover sostituire anche a livello locale l’Udc con quel che resta della sinistra. Anche perchè è convinzione di molti che analizzati i flussi elettorali una parte dei voti andati da sinistra al PD possono tornare verso sinistra. Questo dipende da ciò che si costruirà per recuperare l’elettorato che si colloca a sinistra del PD. E da questo punto di vista siamo al buio profondo o a proposte che definire bislacche è un complimento. La Sinistra-L’arcobaleno ha fallito perchè è apparso soltanto un contenitore elettorale utile per assicurare al ceto dirigente un seggio in Parlamento. Sarà un parere brutale, ma posso assicurare che molti la pensano così e, d’altra parte, anche questo è riscontrabile nel risultato elettorale. Pensare che, guidati dagli stessi dirigenti, si possa ritornare al passato con le vecchie sigle e con i vecchi simboli è una stravaganza. Sbaglierò, ma sono convinto che il 13 e 14 aprile si siano concluse due storie: quella di Rifondazione e quella del PSI. Non è il caso di cominciare a ragionare per realizzare senza pregiudizi un partito che ha come orizzonte la sinistra europea? Non è tempo di prendere atto che i simboli del lavoro sono ormai diversi dalla falce e martello? La sinistra non ha bisogno di reliquie ma di un bagno profondo nella realtà e nelle sue contraddizioni. Riscoprire l’umiltà nell’ascoltare la gente comune sarebbe cosa saggia per tutti. Tra un anno ci saranno le amministrative ed è buona cosa capire che per continuare a governare in Umbria, Pd e sinistra devono innovarsi nei gruppi dirigenti e nei progetti di governo. E’ stato sostenuto per anni che la destra non aveva in Umbria una classe dirigente credibile. Non è più così. Certo, sono di destra e, come il sindaco di Assisi, a volte fanno scelte di destra. Che nella città del Poverello sia proibito ai mendicanti di operare vicino alle chiese sembra paradossale, ma i tempi sono questi.