Il nuovo governo Berlusconi si appresta a diventare il governo dei record.  La rapidità  con cui si è formata la compagine che guiderà  il Paese nei prossimi anni, è il segnale più evidente della capacità  del cavaliere nel mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa quando si tratta di fare bella figura. In questo caso nell’interesse di tutti. Favorito da un risultato elettorale esaltante, Berlusconi ha proposto la “sua” squadra stabilendo un primato storico.
Un record mondiale è invece il fatto che non esiste nel governo Berlusconi un ministero della sanità . Si dirà  un ministro in meno? Bene. Non ne sarei così sicuro. Il diritto alla salute è stabilito dall’articolo 32 della Costituzione è deve essere garantito a prescindere dal luogo di residenza dei cittadini. Non può quindi mancare una politica nazionale sanitaria volta alla soddisfazione di questo diritto costituzionale. Chi ci garantisce, un sottosegretario?
Che le regioni gestiscano il Servizio Sanitario Nazionale è un fatto positivo, ma senza un luogo di compensazione nazionale, quale è stato fino ad oggi il Ministero della Salute, le disparità  tra aree diverse dell’Italia diventeranno ancora più drammatiche. Senza compensazioni nazionali, frutto di parametri che tengono conto delle singole realtà , integrando finanziariamente le aree di maggior disagio, il sistema non funzionerà . La transumanza verso i migliori ospedali si accentuerà  e il divario nel Paese diventerà  insostenibile.
Ne sappiamo qualcosa noi umbri che riceviamo risorse aggiuntive ad esempio a causa del tasso di invecchiamento molto alto o per la presenza di centri di eccellenza per la ricerca sanitaria e in ragione di altri parametri fissati nazionalmente e, non da ultimo, anche grazie ad una gestione assennata degli stanziamenti del fondo nazionale.
Se prevarrà , anche per la tutela della salute, il federalismo fiscale che vuole la Lega non basterà  la buona amministrazione per far tornare i conti. Sarà  il tracollo.
Speriamo che il governo ombra, voluto e nominato da Veltroni, affronti anche questa tematica. Anche il governo ombra ha costituito motivo di discussione all’interno del Partito Democratico. Dopo la catastrofe elettorale si vanno precisando le aree di confronto interno. Non sono convinto che la questione sia quella dei dalemiani contro i veltroniani. La storia, quando si ripete, rischia di diventare una farsa indigeribile. Meglio non personalizzare e andare al merito delle questioni. Non si torna indietro, gridano con enfasi alcuni dirigenti democratici. Indietro è difficile tornarci. Il problema è come andare avanti in presenza di un governo forte nei numeri e con un consenso popolare che in molte aree del Paese è plebiscitario. Il Partito Democratico sembra trovarsi nella stessa situazione del PCI dopo l’esperienza dei governi di solidarietà  nazionale. Con qualche radicale differenza. Il PCI alla fine degli anni ’70, uscito dalla idea del compromesso storico, non riuscì a darsi una linea di alleanze credibili e tornò all’opposizione in Parlamento e nel Paese. Ma il PCI di Berlinguer aveva un forte insediamento sociale, forti legami internazionali e continuava ad esercitare una egemonia culturale di grande spessore sia tra i lavoratori che tra fette importanti di ceto medio. Per adesso il PD non ha alcuna di queste caratteristiche. Se vuol essere apprezzata dalla gente la sua identità  deve essere radicalmente costruita in termini programmatici e valoriali. Per adesso è fragile, non credibile.
E’ bene che sia cominciata una discussione al di là  dei “duellanti”. Per fare qualcosa di utile bisogna discutere di come è andata veramente la tornata elettorale e cercare i motivi veri della sconfitta. Continuare a pensare che la causa essenziale sia stato il fallimento dell’esperienza prodiana coglie soltanto una parte di verità . Il PD è sostanzialmente insediato nei vecchi confini delle antiche “regioni rosse”. Con presenze a macchia di leopardo in altre parti del Paese non si costruisce un partito di valenza nazionale. L’idea del partito leggero non ha funzionato. L’americanizzazione della politica italiana ha premiato e continuerà  a premiare la destra populista. Non capirlo significa essere destinati alla sconfitta nonostante la vocazione maggioritaria del PD.
La Lega ha costruito un partito di massa con leader legati ai territori, Alleanza Nazionale ha strutture organizzative ramificate, mentre Forza Italia utilizza al meglio la forza mediatica del cavaliere. Il PDL non ha bisogno di tenere congressi: il carisma di Berlusconi è sufficiente ad ottenere consenso tra la gente. Un partito di centrosinistra ha bisogno di gruppi dirigenti che siano espressione di interessi e di valori diversi da quelle della destra. Fare affidamento sugli errori del governo Berlusconi non sarebbe cosa saggia. Meglio riflettere su quali alleanze politiche e sociali si vogliono costruire per sperare in una futura rivincita.
Certo se prevale nel PD la tesi dell’eroico Franceschini di modificare in accordo con Berlusconi la legge elettorale per le Europee in modo da escludere la sinistra anche dal parlamento europeo, siamo alla irresponsabile provocazione nei confronti di quel popolo di sinistra che continua ad esistere e che in parte ha votato PD accettando la tesi del voto utile. In parte sono voti “prestati” al partito di Veltroni. Non ha capito il vice segretario che il voto utile ha funzionato perchè c’era Berlusconi, ma non funzionerà  più perchè Berlusconi ha già  vinto?
Pensa l’onorevole Franceschini di andare alle prossime elezioni amministrative sventolando le sole bandiere del PD o assieme al solito affidabile Di Pietro? Tanti auguri.

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