Che fare? Alla crisi del governo di centrodestra non si accompagna alcuna ricomposizione di una coalizione democratica: l’alternativa al governo Berlusconi-Bossi non è ancora maturata e le scorciatoie non sembrano credibili. Perchè? Perchè sono prive di qualsiasi contenuto comprensibile e utile ad invertire la tendenza al degrado democratico. Si continua a discettare di come mettere insieme esangui forze politiche senza mai partire dai problemi materiali del popolo. Casini va bene al PD, ma non a Di Pietro, Veltroni vorrebbe un bell’accordo con Rutelli, ma Rutelli vuole il terzo polo e Veltroni no. Di Pietro accetta l’accordo con i vendoliani, ma Casini odia la sinistra. Una nuova alleanza simil vecchio Ulivo? Mai. Strepita la minoranza del PD. La legge elettorale fa schifo, ma Veltroni odia il proporzionale, preferisce il maggioritario. D’Alema vorrebbe il sistema elettorale alla tedesca, ma gli altri democratici amerebbero il sistema alla francese. Le primarie si fanno, ma nonostante quanto scritto nello statuto voluto da Veltroni, il candidato non dovrà essere per forza il Bersani.
Si potrebbe andare avanti per pagine e pagine a descrivere le divisioni del fronte anti Cavaliere.
Il problema rimane essenzialmente il permanere di una difficoltà del Pd nel costruire un punto di aggregazione politica capace di mettere insieme moderati e riformisti. Mentre la sinistra così detta radicale, priva di mezzi, di strumenti di comunicazione e di forze, non riesce ad aggregare i molti movimenti e le molte lotte che un Paese in difficoltà come il nostro continua a produrre in modo frammentato. Nella sua diaspora pluriennale non ha ancora trovato un punto di caduta per ricominciare un percorso politico che nasca dall’analisi della società che si vuol cambiare. Permangono le vecchie divisioni. Anche in mondi lontani dalla storia della sinistra si riconosce e si apprezzano le qualità del presidente della regione Puglie.
Vendola potrebbe costituire un punto di aggregazione su una piattaforma che non parte da antiche identità , ma da un progetto di società che sia alternativo a quello imposto dai liberisti.
Ad oggi le truppe sparse della sinistra non sembrano in grado di riconoscere questa possibilità .
L’Italia post – Berlusconi è un Paese privo di fiducia che sembra assistere attonito alle comiche finali di un leader che, dopo molti anni di governo, non è riuscito a dimostrare che è possibile governare l’Italia come un’azienda privata. Berlusconi avrà , se lo dice Lui, salvato le banche americane pressando Obama alla Casa Bianca e avrà impedito una guerra mondiale telefonando a Putin, ma non è riuscito a realizzare alcuna delle riforme promesse sedici anni or sono. Berlusconi è riuscito alla grande a impregnare la società italiana della sua visione della vita, dei suoi valori e della traduzione all’amatriciana della rivoluzione conservatrice. Parti consistenti del popolo si riconoscono nel berlusconismo come modo di gestire le istituzioni democratiche e di come rendere privato l’interesse pubblico. Un riconoscimento che non si ferma alla destra, ma che ha segnato anche parti significative del centrosinistra e in genere della classe dirigente del Paese. Intellettuali, imprenditori, sindacalisti, giornalisti, funzionari pubblici hanno assunto per convinzione o paura i valori del principe di Arcore. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti, basta un poco di attenzione a quanto ascoltiamo o leggiamo.
Aldo Schiavone ha scritto su Repubblica: “Nella notte del berlusconismo arranca un Paese in larga parte stremato. Il logoramento dell’Italia è in effetti impressionante. Compromessi quasi tutti i legami che tengono insieme sia le regioni, sia le classi. Degradato quasi ogni spazio pubblico. L’occupazione giovanile ai minimi europei. Eroso fino all’osso quel che resta del lavoro operaio, abbandonato a se stesso senza regole e senza quasi protezione. Nessun nuovo investimento sulle grandi infrastrutture tecnologiche, sulla scuola, sulla ricerca. Mentre i nostri rivali europei dirottano su questi settori risorse enormi”. Basta così per carità di patria.
Difficile capire quando, ma è certo che anche questa legislatura finirà presto. La legge elettorale truffaldina ha garantito a Berlusconi una maggioranza enorme. Eppure la crisi del governo è stata evitata perchè nessuno vuole le elezioni adesso. I sondaggi dicono che il partito più forte sarebbe oggi quello delle astensioni. Il PDL sotto il 30% e se pur la Lega guadagnasse qualche punto questo non assicurerebbe alcuna maggioranza berlusconiana.
Berlusconi è diventato un presidente, come dicono gli americani, “lame duck”, un’anatra zoppa. Non basterà accordarsi con Bossi per imporre al parlamento le sue leggi ad personam. Senza i finiani non ha più una maggioranza. Un vero successo politico della sua campagna monegasca. A primavera saremo chiamati a votare? E’ probabile. Che fare? Per il centrodestra c’è da cominciare a riflettere sul come giustificare il fallimento dell’esperienza di governo, per il centro e per la sinistra si tratta invece di conquistare una credibilità come forze di cambiamento. Non è soltanto questione di scelte, ma di mettere insieme donne e uomini affidabili e non bruciati dal teatrino della politica di questi anni. Ma le scelte dovranno essere fatte a partire dalle priorità del Paese. La priorità è il lavoro che manca. Quando una donna su due non lavora, quando decine e decine di fabbriche chiudono, quando la maggioranza dei nuovi lavori è precaria. Quando il quadro è questo, mettere in moto un processo economico che produca lavoro è obbligatorio se si vuol salvare la democrazia. La politica non vive una bella stagione. Troppe volte appare affare della casta e dannosa per il popolo. Riconquistare la fiducia dei cittadini non sarà cosa facile,ma sappiamo che senza una buona politica i problemi del Paese non si risolvono. E’ arrivato il tempo di mettere in campo coloro che hanno in testa l’interesse generale e non quello delle consorterie o dei loro feudatari.