da Francesco Mandarini | Dic 15, 2009
Da sempre, quando viaggia all’estero, Berlusconi dà il meglio di sè. Questa volta aveva una sala amica come il congresso del partito popolare europeo, così il mattatore ha sciorinato tutta la sua sapienza politica di grande comunicatore nel presentarsi come vittima di un complotto ordito dalle toghe rosse che gli impediscono di governare in Italia. Tranquilli però, per fortuna ha dalla sua il popolo che gli consentirà di cambiare la Costituzione eliminando tutti i contrappesi al suo potere. Corte Costituzionale e Presidenza della Repubblica hanno, secondo Lui, i mesi contati.
Basta con una Costituzione vecchia e arcaica. Facciamone una che consenta al Capo di comandare senza alcun vincolo. E’ vecchia la Costituzione del 1948? Quella vigente negli Stati Uniti d’America è datata 1787, è stata emendata nei due anni successivi ed ha mantenuto inalterato il suo impianto originale fino ai giorni nostri. Quella Tedesca è del 1949 ed è stata corretta nel 2006 senza modificare gli equilibri tra i poteri. La questione è molto semplice. Una democrazia può essere parlamentare (la nostra) o presidenziale (quella americana) ma i poteri che devono essere previsti sono sempre tre: il potere esecutivo, il potere legislativo, il potere giudiziario. Senza pesi e contrappesi la parola democrazia è una mistificazione. Barak Obama ha proposto una riforma sanitaria all’inizio dell’estate. Sono mesi che il presidente deve contrattare con il Senato e la Camera dei Rappresentanti ogni articolo del provvedimento. Se vuole che la legge sia approvata, il presidente del più potente stato del mondo deve concordare con i rappresentanti eletti dal popolo. Non può decidere lui solo.
Che differenza con l’Italia. Già oggi il parlamento italiano ha perso ogni capacità di fare leggi o meglio le leggi sono scritte dal governo, ai parlamentari spetta solo il compito di approvarle. A Berlusconi non basta questa subalternità del potere legislativo, vuole annichilire anche il potere giudiziario. (altro…)
da Francesco Mandarini | Dic 10, 2009
La straordinaria, inaspettata e per molti entusiasmante vittoria di Barak Obama nella corsa per la presidenza degli Stati Uniti, ha avuto come motore essenziale l’utilizzo di una nuova metodologia della comunicazione politica. Internet e i suoi blog. Gran parte delle risorse necessarie alla campagna elettorale sono venute da piccole sottoscrizioni effettuate da milioni di internauti. Migliaia di blogger hanno diffuso il messaggio di speranza di Obama e organizzato manifestazioni a sostegno del primo afroamericano candidato alla presidenza. Se Hilary Clinton aveva dalla sua la struttura burocratica del partito democratico, Obama ha potuto contare sulla creatività possibile grazie alla rete, ed ha vinto.
Ricordo questo a conferma del fatto che la politica non può non guardare con interesse ai nuovi modi di comunicazione del pensiero e delle idee del popolo. Il politicismo imperante nei palazzi del potere non può risolvere la grave crisi della democrazia italiana. C’è bisogno d’altro.
Se è ancora vero che gli elettori vengono orientati nella scelta di voto dalla televisione, è anche sempre più evidente che quello che può apparire un gioco, navigare con il computer, assume un enorme rilievo anche per la politica. L’esempio l’abbiamo avuto ieri.
A Roma una manifestazione, rilevante per numero e per qualità delle adesioni, è stata possibile perchè un gruppo di giovani, di cui non si conoscono nemmeno tutti i nomi nè la loro militanza politica, hanno indetto, attraverso un appello in rete, l’incontro romano. In poche settimane l’appello per il No B-day è stato sottoscritto da oltre 350 mila persone. Così tante da sollecitare l’interessamento dei partiti. All’adesione immediata di alcuni partiti ha corrisposto il liberi tutti del PD. Come partito non aderiamo, ma se qualcuno vuole andarci, libero di farlo. L’area ex Veltroni annuncia la partecipazione, la presidente del partito alla fine aderisce anch’ella. Per sottolineare la diversità dei democratici, il PD ha indetto per la prossima settimana mille manifestazioni in tutta Italia. Una scelta giusta? Che un grande partito voglia fare manifestazioni su piattaforme chiare e limpide è cosa legittima. Che un grande partito non comprenda che quella di Roma poteva essere l’occasione di far transitare le proprie idee tra il popolo in piazza sembrerebbe un errore. Proprio per come è stata costruita la manifestazione romana, non aveva una piattaforma definita, poteva essere l’occasione per andare oltre la denuncia del disagio rispetto ad una situazione sempre meno tollerabile per tanta gente. La caduta di Berlusconi non risolverà alcun problema se non si creano le condizioni minime per far respirare una democrazia stremata da troppi anni di pessima politica.
Personalmente non amo le semplificazioni. In ogni caso in Italia gli slogan dovrebbero essere in italiano. Come sembrò provinciale il Family Day della destra, anche il No B-day sembrerebbe un’americanata. Ma la sostanza è diversa. Anche se Berlusconi non cadrà per il No B-day i problemi rimangono gravissimi. Efficace è stato Napolitano quando ha ricordato che i governi cadono quando non hanno una maggioranza in parlamento. Il Paese è bloccato da mesi attorno al modo più efficace per bloccare le disavventure giudiziarie di Berlusconi. Il diritto a governare della destra e di Berlusconi non può bloccare il diritto-dovere della magistratura ad applicare le leggi della repubblica. Il consenso popolare non elimina l’esigenza della legalità .
Il principio di legalità vincola tutti al rispetto delle leggi. La possibilità della magistratura di svolgere il proprio lavoro è essenziale in una democrazia degna di questo nome. Esattamente come il diritto a governare. L’idea di Letta, vice di Bersani, che è legittimo per Berlusconi difendersi dai processi nega questa possibilità . Un’idea sbagliata che dimostra lo stato confusionale di troppi dirigenti del PD. Come ha dimostrato Giulio Andreotti è giusto difendersi nel processo e non dal processo.
Che l’elezione del segretario non avrebbe risolto i problemi del PD era cosa scontata. Che Bersani avrebbe avuto un’agenda fitta di impegni e scadenze da far tremare i polsi, era ovvio. Sarebbe ingeneroso pretendere dal segretario la soluzione immediata di problemi che si trascinano sin dalla fondazione del partito. Ma l’impressione è che i democratici non riescano a cambiare le priorità del loro agire. C’è uno scarto tra le emergenze del Paese e le scelte quotidiane del principale partito di opposizione.
Prendiamo ciò che emerge dall’attività politica nella nostra terra. Il centrodestra e il centrosinistra passano da una riunione all’altra per decidere chi e come candidare alle prossime elezioni regionali. Il centrodestra attorcigliato per trovare il candidato presidente, il centrosinistra avviticchiato per sciogliere il nodo del terzo mandato per la presidente in carica. Nei territori la lotta si fa dura per la scelta del consigliere regionale. La stagione degli organigrammi sembra essere senza fine.
Nel frattempo la situazione economico-sociale in Umbria non sembra dar segni di miglioramento. Anzi. L’emergenza occupazione non dà segni di indebolimento e per molti giovani e donne anche un lavoro precario appare un sogno. Dalla discussione della finanziaria emerge un ulteriore restringimento dei trasferimenti dallo Stato alle regioni e alle altre autonomie locali. Insomma poche occasioni di lavoro e meno servizi al cittadino. Che la destra pensi che questo sia responsabilità del centrosinistra locale, è scontata propaganda. Che il centrosinistra non si senta già impegnato alla costruzione di un quadro programmatico d’insieme per la prossima legislatura regionale, è da irresponsabili. Rinnovatori di tutto il mondo unitivi si potrebbe dire. Ma al di là delle persone, ciò che ha urgente bisogno di rinnovamento è il modo di agire e di pensare di una classe dirigente che appare troppo innamorata di se stessa.
da Francesco Mandarini | Dic 1, 2009
Dallo spettro delle elezioni anticipate della scorsa settimana, a quello del rischio della guerra civile di questa settimana. In Italia è impossibile annoiarsi quando si segue la vita politica nell’era del berlusconismo trionfante. Ogni giorno c’è una novità . L’ultima è una proposta dei leghisti. Di fronte all’esplodere del ricorso alla cassa integrazione, in presenza di una spesa pubblica irrefrenabile, bisogna trovare il modo di risparmiare. Come? Semplice se in una fabbrica in cassa integrazione vi sono lavoratori extracomunitari. Per essi la cassa integrazione deve durare soltanto sei mesi mentre per i lavoratori italiani questo tetto non deve esistere. Così, Said, extracomunitario che lavora in Italia da cinque anni e per cinque anni ha pagato le tasse, non avrà gli stessi diritti del suo collega Paolo, italiano doc. Se pensate che sia una barzelletta vi sbagliate. Si tratta di un emendamento leghista alla finanziaria in discussione in Parlamento. Indifferente al diritto internazionale e alle leggi della Repubblica, la Lega continua nel suo percorso xenofobo e razzista nel silenzio imbarazzato del resto della destra al potere. All’ultimo momento, di fronte all’indignazione del mondo cattolico e di ampi settori della società , la Lega ha ritirato l’emendamento. Il fatto rimane in ogni caso esemplare per l’ideologia che ha prodotto la proposta. Aspettiamoci altre iniziative simili. La Lega ha dalla sua il rapporto privilegiato con il Capo ed ha costruito il suo consenso attraverso la paura dell’immigrato ma forse bisogna capire quale Italia si costruisce se il lavoro dell’extracomunitario viene penalizzato. Non è solo questione di badanti. Una parte significativa del prodotto interno lordo è frutto del lavoro di mano d’opera straniera. Ed è una mistificazione sostenere che gli immigrati portano via il lavoro agli italiani. Basta pensare al settore agricolo o al lavoro nella piccola impresa del nordest. Senza la presenza di stranieri non ci sarebbe produzione perchè, è accertato, gli italiani certi lavori non sono più disponibili a farli. (altro…)
da Francesco Mandarini | Nov 24, 2009
Dichiarazione del consigliere regionale Dottorini del 18 novembre:”Un patto trasversale all’interno della Commissione sta portando alla costruzione di una legge elettorale che prevede l’introduzione di un listino di nominati dai partiti, togliendo agli elettori la possibilità di scegliere i propri rappresentanti nelle istituzioni. E’ un fatto della massima gravità che non ci vedrà corresponsabili, dal momento che siamo contrari a qualsiasi ipotesi di liste bloccate o listini.
Si fa sempre più concreto il rischio che in Umbria si vari una legge elettorale che assomiglia nella sua filosofia al tanto criticato Porcellum, con consiglieri nominati dai partiti in un listino bloccato, senza dare la possibilità agli elettori di esprimersi su quei nomi. Il fatto che oggi il Pd nonostante le enunciazioni ufficiali sia a livello nazionale che regionale, abbia posto questo come punto irrinunciabile, ci fa temere il peggio. Con il placet dell’opposizione e tra silenzi imbarazzati, si sta confezionando un pacco ai cittadini che assomiglia molto a quello del famigerato Porcellum.”
Ci eravamo illusi. Si fanno congressi, si indicono primarie per leggere il segretario del partito ma il ceto politico vuol salvaguardare se stesso al di là di un minimo di coerenza rispetto a quanto urlato in questi anni contro la legge elettorale imposta da Berlusconi nel 2006 per ingannare gli elettori. Così nelle regioni dove governa il centrosinistra si confermano leggi elettorali che consentono alle oligarchie di nominare i consiglieri regionali senza alcun mandato del popolo? Sembra proprio di sì. Con buona pace di Bersani il cui primo impegno da segretario, sarebbe stato quello di modificare anche con legge di iniziativa popolare, l’obbrobrio dei nominati in parlamento.
E dei nominati in consiglio regionale niente da dire? Silenzio agghiacciante di Bersani e dei leader locali e nazionali della sinistra riformista, radicale, alternativa e via elencando.
Si sono svolte grandi feste per il ventennale della caduta del muro di Berlino. Segnò la fine del socialismo reale e dei suoi regimi. Bene. Sapete come funzionavano le elezioni nelle così dette democrazie popolari della Polonia, dell’Urss o dell’Ungheria? Per tutelare gli uomini e le donne degli apparati, il partito, con la p maiuscola, metteva in lista i candidati alle cariche pubbliche e l’elettore metteva una croce sul simbolo di partito senza mai poter scegliere chi eleggere nell’assemblea. Liste bloccate. Ricordi di gioventù rinverditi dai listini dei nostri sistemi elettorali bipartisan. Cadono i muri ma gli apparati resistono. Inossidabili.
La filosofia della governabilità e il presidenzialismo hanno prodotto danni enormi alla democrazia rappresentativa senza aver prodotto alcuna sostanziale modifica alla qualità del governo locale o nazionale che sia. Ancora non se ne sono resi conto? No. Continua a prevalere l’autoconservazione di un ceto politico che non ha nemmeno il coraggio di farsi eleggere dal popolo, preferisce la nomina.
Pessima stagione quella che viviamo. Molti sostengono che siamo entrati nel crepuscolo di Berlusconi. E’ possibile, ma rimango convinto che il berlusconismo sia ben presente nella società italiana al di là del destino del Cavaliere di Arcore.
Una società la nostra, in cui i fattori negativi derivanti dalla crisi economica sono aggravati da una politica incapace di trovare la strada per impedire un arretramento non solo della ricchezza materiale che si produce. Non è solo questione di PIL.
Significativa la settimana che si chiude oggi. Uno spettro si aggira per l’Italia: quello delle elezioni politiche anticipate. Si dirà , ma come il centrodestra ha una maggioranza schiacciante in parlamento, il Capo si autodefinisce il più bravo primo ministro della storia italiana, la legislatura è all’inizio e a destra si minaccia il ricorso alle urne? Che succede? Chi ha agitato il pericolo? L’ala dura e pura del PDL e la seconda carica dello Stato. Il presidente del Senato, Schifani, è colui che sostituisce il Capo dello Stato in caso di impedimento.
E’ quindi una figura istituzionale al di sopra delle parti che dovrebbe star lontano dalle schermaglie della politica. Schifani è certamente edotto che soltanto Napolitano ha il potere di sciogliere il Parlamento e indire elezioni. Perchè tornando dalla sua Sicilia si spericola ad invocare il ricorso al popolo se cade Berlusconi? Invade un campo che non è suo e commette uno strappo istituzionale grave in ossequio al Capo.
Di strappi sembra vivere una democrazia in affanno e la nostra lo è da molti anni. Sotto i colpi di un’egemonia politica e culturale in cui è scomparsa ogni idea di progetto di salvaguardia collettiva dell’interesse generale, la deriva è inevitabile.
Come è possibile che nel pieno di una crisi economica epocale un Paese rilevante come l’Italia, il parlamento sia bloccato nella sua attività dall’affannosa ricerca di come impedire che la magistratura eserciti i suoi poteri come da Costituzione vigente? Che senso ha contribuire, come fa anche il centrosinistra, a costruire una pubblica opinione partendo dall’avanspettacolo dei dibattiti televisivi? Che l’agenda politica del Paese sia scritta nel salotto di Bruno Vespa o in quello di Santoro è assolutamente insopportabile.
Si invocano riforme come panacea ma l’unico risultato è l’esplodere di conflitti istituzionali incomprensibili anche perchè ininfluenti rispetto alle concrete preoccupazioni di un popolo che non vede un futuro positivo per se e per le nuove generazioni. Se è vero che al peggio non c’è mai fine è anche vero che la speranza è l’ultima a morire, ma quanta pazienza ci vuole
per continuare ad avere fiducia nel Bel Paese.
da Francesco Mandarini | Nov 16, 2009
Alla fine del prossimo marzo si svolgeranno le elezioni per il rinnovo di molti consigli regionali. La scadenza ha assunto un valore politico che va al di là dell’oggetto della competizione che è, appunto, quello di elezioni parziali che riguardano enti diversi dal parlamento.
Sia il centrodestra che il centrosinistra sono alla ricerca di candidati forti per la presidenza delle diverse regioni. Non si discute affatto dei programmi da sottoporre agli elettori, ciò che appassiona è la ripartizione del potere all’interno degli schieramenti, tra le diverse forze politiche e non da ultimo, di quale equilibrio realizzare all’interno dei singoli partiti.
Per tradurre, il Partito della Libertà ha al suo interno diverse “anime”, tutte rivendicano visibilità e la Lega di Bossi pretende ciò che gli spetta in numero di presidenti della padania libera mettendo, così, in ambasce Berlusconi. Come è noto, il Capo è in ben altri problemi affaccendato. Avrebbe bisogno di tranquillità e non delle beghe causate della spartizione del potere locale tra Bossi, Galan o Formigoni.
Il PD è ancora in costruzione, ha anche esso al suo interno sensibilità diverse che non possono non essere considerate nell’indicare i candidati alle leadership delle regioni.
E’ pur vero che con il lungo congresso il PD ha rimescolato le carte, i franceschiniani non sono tutti ex Margherita e Bersani non organizza tutti gli ex diessini. Ma ancora l’amalgama non sembra concluso e la scadenza elettorale non aiuta a trovare la quadratura del cerchio. Ciò che resta della sinistra non riesce a darsi, non dico un contenitore unico, ma nemmeno a trovare una linea comune. Si contratta qualche posto nei listini, si invoca la promessa di qualche assessore. Il pallino è ben saldo nelle mani del PD. Anche l’ultimo tentativo, in ordine di tempo, di Sinistra e Libertà implode con l’uscita della componente dei Verdi e proprio ieri di quella socialista. L’esperienza di governo di Vendola in Puglia corre il rischio di esaurirsi sotto le macerie di quello che a dicembre doveva divenire un nuovo partito della sinistra italiana.
Essendo poi la politica diventata un mestiere, la carriera del singolo assume rilievo e condiziona molto la discussione interna alle coalizioni e ai partiti. Una discussione che è confinata nel mondo a parte del ceto politico. Non può affascinare il popolo. Ormai tramortita da una politica invadente quanto inconcludente, la democrazia italiana non sembra più in grado di reagire.
Studiosi italiani e non solo guardano con allarme lo stato delle istituzioni repubblicane. L’equilibrio tra i poteri è sottoposto ogni giorno a invasioni di campo che hanno trasfigurato la democrazia italiana. La nostra è una repubblica parlamentare che si va trasformando in una repubblica presidenziale alla sudamericana anni ’50 nell’indifferenza di molti. Sostenere ad esempio che gli italiani hanno eletto capo del governo Berlusconi è una mistificazione. Gli italiani hanno votato dei partiti i quali hanno scelto chi nominare in parlamento. Il capo dello stato ha indicato Berlusconi come premier, il parlamento ha votato la fiducia al governo Berlusconi. Il potere di eleggere il capo dell’esecutivo è anche oggi formalmente nelle mani del parlamento e non direttamente in quelle della volontà popolare. D’altra parte nelle democrazie occidentali soltanto Israele elegge il primo ministro e lo fa sulla base della sua Costituzione. La nostra non lo prevede, con buona pace del ciarliero Senatore Gasparri.
Con qualche ragione si dirà che nella stagione della cultura berlusconiana il senso comune intende Berlusconi come il Capo, espressione della volontà popolare e quindi autorizzato a confliggere con quei poteri non democraticamente eletti dal popolo. Ma questo comune sentire ha poco a che fare con la democrazia liberal-democratica. E’ questo il risultato dell’egemonia esercitata da una destra illiberale unica in Europa, quella italiana, e delle balordaggini istituzionali del centrosinistra. Aver imposto l’elezione diretta dei sindaci poteva avere un senso, aver modificato la Costituzione per eleggere direttamente il presidente di regione invece ha aperto la strada alla volontà plebiscitaria di Berlusconi. Anche una parte del popolo non berlusconiano può essere affascinato dall’elezione del Sindaco d’Italia. Se poi questo sarà Berlusconi anche formalmente, ogni lamentazione sarà fuori luogo.
E c’è poco da meravigliarsi se anche in Umbria la discussione politica è tutta condizionata dagli organigrammi degli enti pubblici. Tutti parlano della gravità della crisi, non passa giorno che un presidio produttivo non entri in difficoltà , ma non c’è luogo in cui la politica affronta nel concreto i nodi strutturali della nostra terra. Innovare o conservare è un falso problema se non si ha la consapevolezza della realtà e non se ne conoscono le debolezze e le potenzialità . Che niente sarà più come prima della crisi economica esplosa nel 2008 anche in Umbria è cosa certa, il problema è come costruire qualcosa di diverso dal conosciuto e dal già fatto. Il ruolo dell’intervento pubblico non può che modificarsi sia per la crisi della finanza pubblica, sia per le mutate aspettative delle forze produttive. Un solo esempio. Il governo centrale ha tagliato in finanziaria gli stanziamenti per la realizzazione della banda larga. Dell’infrastruttura necessaria a velocizzare la trasmissione dei dati senza la quale difficile immaginare una comunità capace di competere in un mondo reso più piccolo proprio dalla velocità resa possibile dalle nuove fibre ottiche. Il governo commette un errore, ma qui in Umbria che si fa? Si protesta contro il taglio o si mettono in campo provvedimenti e idee per procedere nell’informatizzazione della pubblica amministrazione? Si creerebbe quel mercato senza il quale le imprese innovative non possono crescere. E’ noto che la maggior parte del prodotto interno regionale è dovuta al settore pubblico. Se il pubblico non investe in innovazione come si salvaguardano e si fanno crescere le punte di eccellenza?