L’Umbria e le pretese di Rutelli

Francesco Rutelli oltre ad essere Sindaco di Roma e parlamentare europeo
ha tempo anche per essere uno dei leader del Partito dei Democratici
(Prodi, Di Pietro, ecc”¦.). In una intervista ha posto ai Democratici di
Sinistra (Veltroni e D’Alema) le condizioni per l’ingresso di ministri
prodiani nel governo D’Alema, Cossutta, Cossiga.
Tra queste condizioni colpisce una anche perche’ interferisce con le
vicende politiche di casa nostra (l’Umbria). Dice Rutelli: “Poi le
elezioni regionali e la scelta dei candidati a presidenti. Qui occorre un
profilo altissimo. Nessuno puo’ pensare di cavarsela, dove è maggioranza
relativa proponendo il proprio segretario regionale. Occorre mettere in
campo grandi sindaci, imprenditori di primo piano, qualche ministro,
perche’ no? Qualche presidente uscente, se ha fatto bene, anzi molto
bene.” In questa scaletta sta tutta l’arroganza antidemocratica di un
ceto politico che ha fatto fortuna vendendo fumo, chiedendo agli altri
qualita’ o supposte qualita’che il suddetto ceto spesso non ha. In
conformità  a quale criterio, d’interesse generale, un sindaco (sempre
definito grande) è migliore di un buon segretario regionale di un partito
di massa? Il sistema che ama Rutelli, quello anglosassone, presuppone che
il leader di un partito è anche leader del governo o dell’opposizione.
Perche’ non dovrebbe valere anche in Italia? Dove sta scritto che un
grande imprenditore è a priori un buon amministratore di cosa pubblica?
Chi stabilisce che un presidente uscente ha fatto bene? Rutelli o gli
organi di partito o dei partiti della coalizione che si assume l’onere e
la responsabilita’ della candidatura? La democrazia diviene un optional.
Ci sono quelli che hanno le virtu’ necessarie ad evitare che la politica
sia frutto della partecipazione di tanti e non proprieta’ di coloro che
sono nati senza dover mai rendere conto di quello che fanno per il bene
collettivo.
Si pesca ancora una volta nella società  civile come luogo della virtù
contro la societa’ politica sempre luogo dell’incompetenza. Si badi bene
che i tipi come il Sindaco di Roma hanno sempre avuto poco a che fare con
la societa’ civile: sono quasi tutti professionisti della politica, da
sempre. Non ho niente contro la politica fatta da professionisti, anzi.
Consiglierei a costoro, per igiene mentale, ogni tanto di tornare ad
esercitare altre professioni che non dipendano dalla politica. In ogni
caso cessare di presentarsi come gli alfieri della critica dei partiti:
sono i partiti che hanno assicurato a molti di questi inamovibili
farfalloni della politica italiana carriere che nella società  civile non
avrebbero mai potuto avere. Un poco di riconoscenza non farebbe male.
E’ indubbio che l’andamento del dibattito per la scelta del candidato a
presidente della giunta regionale dell’Umbria è stato e sara’ molto
travagliato. Non deve meravigliare. Questa che si chiude è stata una
legislatura molto difficile in cui non era facile azzeccare una linea di
politica amministrativa adeguata ai problemi della nostra comunita’. Le
premesse ideologiche erano piegate alla critica immotivata di una
stagione amministrativa ricca d’intuizioni e di concrete realizzazioni.
Dare voti sarebbe scorretto e non è il nostro mestiere. Nella vivace
discussione dei diesse umbri, si è parlato di luci ed ombre. Forse
definizione piu’corretta sarebbe quella del prevalere di una tonalita’ di
grigio intenso su sprazzi di colore più vivace.
La discussione continua e il dato piu’rilevante è la differente
valutazione tra la maggioranza dei diessini dell’Umbria rispetto al
rappresentante del centro dei DS. Cosa non da poco se si considera che,
poi, la campagna elettorale la dovranno svolgere anche quelli che non
sono d’accordo con le scelte di Roma.E’ la prima volta che succede? No,
anche nel passato differenti valutazioni ci sono state tra i dirigenti
della nostra regione e la Direzione nazionale, figuriamoci. Soltanto,
pero’, nel 1991 il presidente della regione fu “scelto” a Roma. Prima di
allora, sempre, fu il gruppo dirigente umbro ad indicare il capo del
governo regionale.La leggenda metropolitana di un centro del PCI che
decideva tutto è da considerarsi, appunto, una leggenda. La stagione
politica e’ radicalmente diversa e diverso deve essere l’atteggiamento di
ciascuno. Credo però che rimanga valida l’esigenza di andare a una scelta
che dia il segno di una ritrovata responsabilità  collettiva dei dirigenti
delle forze politiche che governano l’Umbria. L’elezione diretta del
presidente della giunta ne cambia in parte anche la natura per il ruolo
ancora più monocratico che dovrà  avere. L’affidabilità  politica e
amministrativa e’ qualità  richiesta. Organizzare il governo dell’Umbria
con autorità , ma senza autoritarismo. Utilizzare al meglio le risorse
umane e territoriali, non e’ cosa facile senza intensi rapporti politici.
Il candidato dovrà , quindi, essere un leader capace di guidare una
compagine di giunta oltre che necessariamente svolgere un ruolo politico
nel senso più ricco del termine. Non si ha bisogno di un altro manager,
ma di un riferimento non solo per il centrosinistra.
Giornale dell’Umbria 18 ottobre 1999

La sinistra e la guerra

Bisogna guardare ai fatti con molta freddezza e con molto rigore. La
sconfitta a livello continentale (Europa) delle forze del centro destra,
proprio nel momento di maggiore credibilità  del neoliberismo, è seguita
all’affermazione di Clinton sui repubblicani in Usa. Queste vittorie non
hanno spostato di una virgola i processi di costruzione di un’economia e
conseguentemente di società  completamente sottomesse alla ferrea logica
del mercato “libero”.
Non era mai successo nella storia, che le forze politiche di
centrosinistra governassero globalmente il mondo occidentale. Va
sottolineato il fatto che ciò è avvenuto nel decennio del crollo di tutto
ciò che era riconducibile al così detto “socialismo reale”. Sono
scomparsi Stati, Partiti, Movimenti politici che avevano segnato la
storia di questo secolo e di quest’implosione ne hanno tratto forza le
socialdemocrazie di vecchia tradizione, nuove formazioni di sinistra
(NewLabour) e i nuovi Partiti postcomunisti tipo PDS/Ds. in Italia.
Nel nostro Paese, però, la sinistra non è stata mai, nel dopoguerra, così
debole sia dal punto di vista organizzativo che da quello elettorale.
Tutti i Partiti riconducibili a qualche forma di sinistra (di governo,
alternativa, ambientalista e via dividendo), non raggiungono la
percentuale di voti del disciolto PCI. Gli iscritti pochi, strumenti
d’informazione inesistenti, riferimenti sociali sconosciuti, movimenti di
massa annichiliti.
Debolezze strutturali rese più gravi dovendo gestire un potere
straordinario: governo del Paese, governo di gran parte delle
amministrazioni regionali e locali, gestione di tutti gli apparati
pubblici. Legame forte con l’internazionale socialista, consonanza con
l’Amministrazione Clinton.
La consonanza è stata tale che”¦.. si è iniziata una guerra.
Al peggio non c’è mai fine. Così si potrebbe iniziare una riflessione
sulla sinistra e sulla politica in genere. Ci stavamo quasi abituando al
fatto che la politica avesse lasciato il posto all’economia, adesso la
politica ha lasciato il posto alle portaerei, ai missili, alle bombe
intelligenti che, nel caso specifico, sono comandate da quel generale
Clark che ci comunica di non aver timore della terza guerra mondiale. La
poderosa macchina da guerra della NATO di Clinton è invincibile.
Pazzesco? No, la cronaca quotidiana di un linguaggio militarista che ha
reso commentatori e intellettuali, professionisti dei bollettini di
battaglie che si commuovono quando arriva in Italia qualche Generale
della Nato e ci propinano ciò che la NATO vuole. Ci si vuol convincere
che esistono anche i missili”¦Umanitari e che se non ci piacciono siamo
imbelli, incapaci di capire le esigenze della guerra “umanitaria”. Il
fatto, poi, che l’obiettivo di difendere le popolazioni del Kosovo sia
miseramente fallito e che i bombardamenti abbiano invece accelerato la
pulizia etnica, lascia i nostri commentatori fermi nelle loro convinzioni
sulla guerra giusta. Kissinger, lo stesso Ministro Dini, affermano che a
Rambouillet si è proposto un accordo truffa per Miloseivic, queste
affermazioni non alimentano sospetti nelle reali intenzioni di Clinton.
Nessun dubbio, mai, rispetto alla poderosa propaganda degli alleati che
trasforma le povere vittime serbe o kosovare, in effetti collaterali
delle bombe. Vogliono toglierci anche la dignità  d’indignarci, con una
mistificazione continua e martellante dei fatti e delle responsabilità .
Nessuno di noi, soltanto poche settimane fa, avrebbe immaginato di
trovarsi nel pieno di una guerra non dichiarata ma che ha già  prodotto
morti, distruzioni a poche centinaia di chilometri da noi.
Una guerra cercata e voluta da Clinton, ma accettata da tutte le
socialdemocrazie europee unite alla destra politica in questa scelta
scellerata di una guerra “etica” teorizzata dagli integralisti
angloamericani, ma ben accettata dal segretario dei Democratici di
Sinistra.
L’Europa diviene colonia americana nel momento in cui si festeggiava la
“vittoria” dell’EURO che nasceva. Clinton ordina l’attacco, gli europei
si accodano ubbidienti.
Non so quando e come finirà .
So per certo che oltre le macerie fisiche, ci saranno da rimuovere quelle
di una sinistra che ormai ha smarrito qualsiasi capacità  di guardare alle
cose del mondo con occhi diversi da quelli dell’Amministrazione
americana. Una sinistra che ha smarrito ogni capacità  di critica dello
stato di cose esistente L’americanizzazione ha raggiunto e plasmato
totalmente il senso comune di dirigenti, intellettuali, sindacalisti, ma
anche il comune sentire di gran parte del “popolo” della sinistra
europea, incapace come non mai di manifestare un dissenso efficace
rispetto alle scelte dei propri leader. Completamente annichiliti dalla
violenta propaganda di tutti i mezzi d’informazione, ci si sta
cominciando ad abituare ad essere un Paese in guerra. Si, in una guerra
che produrrà  nuovi morti, nuove distruzioni, nuove miserie economiche,
altre pulizie etniche.
Una guerra gestita direttamente anche da uomini e donne della sinistra
europea.
Spesso abbiamo parlato di una deriva della sinistra. La deriva è finita.
Oggi siamo di fronte ad una catastrofe in cui si sono smarriti tutti i
referenti di un movimento che voleva cambiare il mondo e che alla fine si
è ritrovato smarrito, frastornato, senza più parole per descrivere la
propria diaspora ideale.
Sembrerebbe non ci siano più ragioni per la sinistra se non quelle delle
solitarie testimonianze di diversità  rispetto all’onda lunga del
conformismo.
Non si tratta di subalternità  nei confronti della potenza USA.
Si tratta, bisogna capirlo di una totale consonanza, di un comune sentire
che non inizia oggi con la guerra, ma ha avuto tappe, occasioni in cui
dirigenti della sinistra italiana ed Europea hanno accettato l’arroganza
americana come la giusta medicina per il governo del mondo.
Non tutti hanno detto si a questo dominio e così minoranze, non solo
riconducibili alla sinistra comunista, hanno continuato ad argomentare e,
in certe occasioni, a lottare contro. Ma con quali limiti!
Esemplare da questo punto di vista e ciò che non è successo in Umbria. La
nostra terra è stata protagonista per decenni (tutto inizia nel lontano
settembre del 1960 con Capitini) di lotte per la pace in tempi in cui era
difficile schierarsi contro la guerra fredda per le rigidità  dei campi
avversi.
Eppure tante volte si sono mobilitate masse significative contro la
guerra, qualsiasi guerra. Oggi le forze istituzionali e di associazioni
che si sono date l’esclusiva dei movimenti per la pace, non hanno trovato
il modo di andare oltre generiche e flebili iniziative. Ancora oggi, al
momento in cui scrivo, ad un mese dall’inizio dei bombardamenti, non si è
avuto il coraggio di indire un’iniziativa generale di mobilitazione come
una marcia straordinaria “Perugia Assisi”. Com’è possibile? Quale
credibilità  si potrà  avere nel futuro? E’ previsto dal regolamento
dell’Associazione per la Pace che le marce si fanno a ricorrenza fissa?
Capisco l’imbarazzo, quando si deve passare dal buonismo alla dura realtà 
che si entra in conflitto con il Governo di Centrosinistra, è più
semplice l’inerzia. Anche ciò rende ancora più laceranti le divisioni
della sinistra e con le forze democratiche in Italia e nel continente.
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Non poteva essere altrimenti anche perchè in Europa la guerra della Nato
ha trovato l’accordo di tutti i governi di centrosinistra e poche,
beffeggiate, aggredite dalla quasi totalità  dei mass media, sono state le
forze politiche e intellettuali che hanno cercato di dire il loro no alla
guerra. Il tentativo è stato quello di presentare i dissidenti come
complici della pulizia etnica o come gli imbelli delle democrazie
occidentali che permisero l’ascesa di Hitler, provocando la seconda
guerra mondiale.
Non basta ripetere quasi ossessivamente il rifiuto netto e forte della
politica di Milosevic: se non si è d’accordo con i bombardamenti della
NATO, si è automaticamente responsabili delle sofferenze dei profughi.
Lo sforzo di mistificazione della propaganda non ha ancora prodotto
un’assuefazione totale. Manifestazioni continuano a svolgersi in tutta
Italia pur con evidenti limiti di partecipazione quantitativa e
qualitativa, anche se è palpabile il disagio di vedere soltanto pezzi
della sinistra, c’è chi continua a dire no alla guerra. Mi ha colpito
vedere la sede nazionale dei DS, in Via Botteghe Oscure, difesa dalla
polizia contro i manifestanti per la pace. Sta forse anche in questi
fatti emblematici, il segno di una sorta di parabola della forza politica
che si è dichiarata erede del più grande Partito Comunista
dell’occidente, parabola che giunge a conclusione proprio con la guerra.
Dopo, niente sarà  più come prima, la mutazione si completa.
Così, alla tragedia della Yugoslavia, bisogna aggiungere la lacerazione
tra donne e uomini che hanno per tanti anni condiviso, pur scegliendo
strade e percorsi organizzativi diversi, progetti d’emancipazione e di
liberazione dei ceti più deboli della società  italiana e mondiale.
Dalla consapevolezza piena di questa lacerazione si dovrà  ripartire per
ricostruire un’analisi e una capacità  d’aggregazione politica che si
faccia protagonista di una nuova stagione della sinistra.
Arrivano i risultati del referendum elettorale, bene. I demagoghi
all’Occhetto e alla Di Pietro, l’invito, scorretto, di D’Alema di votare
Si, non ha funzionato se non per alzare la percentuale dei votanti:
prendono tutti una bella sberla.
Noi non festeggiamo, non sono questi i tempi, ma certo guardiamo con
attenzione anche a questi segnali di crisi del regime del maggioritario
che si voleva imporre.
Giornale 1 ottobre 1999

Auto blue e privilegi

La consuetudine, un tempo (credo che almeno questo non sia cambiato
molto) era quella di un uso morigerato dell’auto di rappresentanza.
Gli amministratori, di ogni livello, in Umbria non amavano andare in
giro con l’auto blue e, quando potevano, l’evitavano come se fosse un
segno del distacco dai cittadini. Si preferiva camminare per strada
senza impacci formali. Era quello anche un modo per ascoltare i pareri
e i giudizi degli amministrati. C’erano anche allora delle eccezioni.
Ricordo un assessore regionale che, tanti anni fa, si permise di
andare allo stadio con l’auto dell’Ente: fu sottoposto a così salaci
critiche che pensò bene di cambiare andando alla partita successiva,
come tutti, con la propria auto.
Una particolarità  dell’Umbria? Credo di si. Siamo una piccola regione
e il controllo sociale ha sempre funzionato per evitare a tutti di
abusare delle proprie posizioni di potere, cercando di avere un
atteggiamento sempre sobrio anche quando l’incarico è di rilievo.
Con le dovute eccezioni, si può affermare che questo è stato ed è il
modo di essere della stragrande maggioranza degli amministratori
umbri. Coloro che, anche recentemente, hanno pensato di evitare il
diretto contatto con gli amministrati, teorizzando il distacco come se
fossero “Priori” della Perugia del cinquecento, sono stati rinviati
nei luoghi di lavoro originari.
In Umbria l’amministrare o il dirigere un Ente o un Partito, è sempre
stato facilitato da una società  molto segnata da una tolleranza e un
rispetto reciproco. Certo anche qui qualche mascalzone scriveva e
scrive lettere anonime e chiacchiera a vanvera. Erano eccezioni.
Indubbiamente la qualità  della vita, che tanti ci invidiano,
condizionava anche la società  politica che in generale tendeva a
sollecitare, da parte dei dirigenti, comportamenti non arroganti.
Un atteggiamento di sobrietà  non si è affermato per caso. L’Umbria è
segnata dalla storia di grandi movimenti di massa e da organizzazioni
sociali e politiche che ne hanno organizzato lo sviluppo economico, ma
anche civile. Anche i movimenti religiosi, in Umbria, hanno questo
segno della tolleranza e della modestia “francescana” come valore in
se.
Un Partito, un Associazione sociale o culturale è anche una comunità ,
piccola o grande non importa, in cui sono previsti comportamenti di
solidarietà  e di lavoro comune, un comune sentire si potrebbe dire,
che esclude arroganze anche nelle forme esteriori: l’auto blue è
utilizzata quando non è possibile farne a meno. Essa non deve essere
uno status symbol, pena il ridicolo.
Anche per tutto ciò, colpisce che amministratori umbri sono costretti
a girare con la scorta della polizia. Nemmeno negli anni terribili del
terrorismo furono, in Umbria, necessari provvedimenti simili.
Al momento in cui scrivo, non si sa perchè, non si sa chi, ha colpito
il VicePresidente della Giunta Regionale Monelli. E’ chiaro però che
si voleva intimorire.
La storia è di rilevanza anche perchè per la nostra comunità  questo
tipo di violenza è l’eccezione non la consuetudine, a differenza di
tante altre parti del Paese.
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Ci stiamo abituando forse a quella violenza minore fatta di scippi, di
furti in casa, di aggressioni che ormai fanno parte della cronaca anche
delle nostre città ?
Non credo. E mi sembrerebbe sbagliata qualsiasi sottovalutazione di
questi segnali sempre più forti anche nella nostra comunità . La tenuta
sociale è un bene prezioso che purtroppo non rientra sempre nelle
statistiche, ma conta molto. L’insicurezza aumenta anche nella nostra
comunità  e a quella derivante dalla mancanza di lavoro si va aggiungendo
anche quella dovuta alla criminalità .
Non siamo stati mai un’isola felice, molti i problemi strutturali che non
siamo riusciti a risolvere. Nel complesso, però, rimaniamo una regione
che non vuole arretrare sul terreno della qualità  della vita.
La violenza contro Monelli è inaccettabile prima di tutto perchè essa si
è rivolta a una persona mite. Ma principalmente perchè, il VicePresidente
,è persona impegnata a portare avanti interessi collettivi sia nella
ricostruzione sia nella gestione del territorio. Non è un fatto di
violenza qualsiasi. Esprimere solidarietà  non è solo giusto, ma
necessario proprio perchè si è voluto colpire qualcuno che sta lavorando
con serietà  e senso del dovere. Si può essere d’accordo o no con le
politiche dell’Ente Regione, si può dissentire. Ciò che non ci è
consentito è lasciare solo Monelli e gli altri amministratori costretti
alla scorta.
Chi pensa che l’essere scortati costituisca un privilegio sbaglia. Certo
c’è stato (ci sono ancora?) qualche arrogantone al potere che pretendeva
oltre l’auto blue anche una bella scorta, magari con la sirena accesa
sempre, ma queste sono altre storie. Proviamo ad immaginarci nel mirino
di qualcuno e si capirà  che è meglio poter camminare a piedi in Corso
Vannucci o in Corso Tacito.
Giornale dell’Umbria 6 settembre 1999

IL DOPO ELEZIONI

Per i dirigenti ds le vittorie sono solo
Terni e Foligno. Sbagliano, è Perugia

La discussione post elettorale ha avuto come principale protagonista il Partito dei Democratici di Sinistra. In
Italia per l’evidente sconfitta di cui Bologna rappresenta il dato più significativo, ma che a mio parere è minor
cosa rispetto al dato elettorale delle elezioni Europee dove i Ds stanno sotto al 20% e, insieme a Pcdi e
Rifondazione, non raggiungono i voti di Forza Italia. I diessini non sono i soli in Europa ad avere così pochi
voti. In altri cinque Paesi i socialdemocratici sono sotto quella soglia (Belgio, Danimarca, Irlanda, Olanda,
Finlandia). In Francia con il 23% va un pò meglio. La cosa è grave, con un così basso consenso devono
governare una fase difficile della costruzione europea.
In Umbria la discussione si sviluppa a partire dall’indubbio successo, nelle amministrative, delle coalizioni
incentrate sui Ds: il centro destra tiene Nocera Umbra e Assisi forse perchè non si è votato per quelle
amministrazioni. La “ricchezza” delle alleanze (definite Arcobaleno) è stata tale che al fondo le divisioni a
sinistra… hanno fatto vincere in ogni Comune. Sull’andamento dei singoli Partiti è stato scritto molto. A me
sembra che i dati significativi sono per il centro sinistra: il risultato mediocre dei Democratici, la pochezza
confermata dei Verdi, il buon risultato dei cossuttiani che prendono voti a Rifondazione e ai Ds, la crisi del
centro ex Dc, l’inesistenza dei diniani, il buon andamento dei socialisti democratici. Per il centro destra la cosa
è ancor più chiara: ridimensionamento di Alleanza Nazionale a vantaggio di Forza Italia, ma nel complesso
risultato scadente per tutto il Polo.
E’ una discussione a molte facce che non sta facendo fare un passo in avanti rispetto al problema dei
problemi, quello della crisi del sistema politico italiano. La frantumazione dei Partiti e Movimenti non sembra
placarsi e tutto sembra incentrarsi su chi sarà  candidato a leader per il centro sinistra e chi per il centro
destra. Il fatto che sempre meno gente partecipi alle elezioni non sembra preoccupare più di tanto i nostri
dirigenti politici nazionali e locali.
Certo, anche nella partecipazione al voto l’Umbria è in contro tendenza, ma anche nella nostra regione i
fenomeni di non voto vanno assumendo caratteri che dovrebbero allarmare.
Il probema, invece, è rimosso a vantaggio di analisi del voto un poco settarie: una parte dei dirigenti diessini,
collocati in altissime posizioni istituzionali, definiscono come un successo, soltanto il risultanto di Terni e di
Foligno.
E’ ben strano che sia sottovalutato il risultato di Perugia. Fino a pochi mesi fa nessuno avrebbe scommesso
una lira sulla riconquista, da parte del centro sinistra, di questa amministrazione! Altro che Bologna: il distacco
dei cittadini dall’amministrazione Maddoli era così palpabile da far temere un vero tracollo. Non ci si deve
dimenticare che la “carta” Locchi fu giocata soltanto quando fu chiaro a tutti che altre candidature sarebbero
state perdenti. Gli stessi che contrastarono dentro i Ds (a Roma e a Perugia) quella scelta, oggi fanno finta di
niente. Volutamente ignorano quel 59% dei voti della coalizione di centro sinistra a Perugia e quel 4% in più
dell’alleanza, conquistati da Locchi.
Certo è rilevante il risultato di Foligno. Esso è dovuto ad un’amministrazione Salari efficace nel rapporto con i
cittadini; finalmente si riconquista Terni al centro sinistra in questa circostanza meno diviso del passato e
favorito dalla difficile esperienza della giunta Ciaurro (killerato dai suoi).
Come si fa a far finta che Perugia costituiva un risultato acquisito? Non metto in discussione la buona fede.
Dico che sottovalutare il rischio corso anche in Umbria, prepara un futuro incerto. Si continuano i consueti
giochi di gruppi che, a prescindere dal merito dei problemi, si contrappongono e negano l’evidenza per
garantirsi la conferma di un posto al sole nel 2000 per le regionali o nel 2001 per il Parlamento. Ciò porterà 
soltanto a rimandare il declino della sinistra umbra. Poco responsabile.
Le giunte si sono fatte. Che dire? Ognuno (è un poco come con la Nazionale di calcio) ha in testa una sua
formazione. Chi decide, poi, com’è giusto sono i Sindaci e i Presidenti con le delegazioni dei Partiti. Non
sempre si può avere in squadra Del Piero o Ronaldo, ma a volte si potrebbe prescindere delle pressioni e dai
personalismi che spesso con la politica centrano ben poco.
Sabato 10 Luglio 1999

Nuovisti d’Italia

Il primo fu Occhetto con il suo grido di battaglia “il nuovo
inizio”. Per questo fu eletto Presidente onorario di tutti i
nuovisti d’Italia. Uomini e donne di destra, di sinistra, di
centro alzarono il vessillo del nuovo che avanza e della lotta
contro il vecchio regime. Molti di questi erano stati terze o
quarte file del regime denunciato, ma in tempi in cui tutti si
vive in un eterno presente, senza memoria e senza futuro, si è
fatto conto della dimenticanza dei più rispetto al ruolo svolto
nel passato.
Fu così che per 10 anni la parola più usata nel gergo politico è
stata il “nuovo”. Nuovo inizio, nuovo partito, nuova politica,
nuovo sistema elettorale e si potrebbe continuare per pagine e
pagine con la sloganistica dei professionisti del nuovo.
E si, c’è chi fa l’impiegato in banca e chi, come professione, fa
l’innovatore in politica.
Fino ad oggi i risultati di questi innovatori non sono un gran che
e, basta guardare al rapporto cittadino cosa pubblica, niente di
buono è venuto alla democrazia italiana da quest’innovazione senza
contenuti e senza che mai si sia fatto un bilancio dei risultati
portati a vantaggio della collettività, dall’amministrare la cosa
pubblica.
Il gioco del chi è il più “nuovo” continua a dispetto
dell’esplodere dell’astensionismo nel voto e dal vero e proprio
collasso della partecipazione dei cittadini, come iscritti o
simpatizzanti, ai Partiti politici. Così si continua a prescindere
dal merito delle cose. Non sei d’accordo con una certa scelta
amministrativa? Denunci le difficoltà nel rapporto con gli
elettori? E’ perché sei il vecchio. Fai notare che un certo
comportamento è poco opportuno? Non sei moderno, non conosci il
valore dell’innovazione nel rapporto con gli elettori.
Quanto della discussione politica è falsificato da questo binomio
vecchio e nuovo?
Si dovrebbe essere più espliciti e più comprensibili quando si
ritiene che una proposta a candidato Sindaco di Perugia sia
sbagliata bisogna farlo capire con nettezza. Non è chiaro, per
esempio, cosa vuol dire la Signora Maria Prodi, esponente di primo
piano del nuovo Partito dei Democratici, quando dice: “Il
rinnovamento dei partiti dall’interno deve diventare operante
anche in Umbria dove il dibattito ristagna su nomi o sigle o
formule che non evocano più all’opinione pubblica alcun segno di
cambiamento reale”. Sembrerebbe che sia avversa alla candidatura
di Locchi.
Non si sa perché una candidatura espressa dal maggior partito
umbro e, a quanto sembra, apprezzata da uno schieramento politico
che alle elezioni amministrative del 1995 ha preso quasi il 60%
dei voti è giudicata…..la vecchia politica, senza alcun appeal,
dalla rappresentante di un Partito che, per adesso, è soltanto
virtuale non avendo mai partecipato ad elezioni. Tanta è la
contrarietà che i Democratici, sembrerebbe, almeno al primo turno,
vorrebbero votare un altro candidato a Sindaco di Perugia in
alternativa a Locchi.
Essendo attorno ai 50 anni il candidato Locchi non è
anagraficamente vecchio.
Sono molti anni che fa l’amministratore, ma in giro (non parlo,
non potrei farlo, in nome dell’opinione pubblica) si dice che
abbia dato in questi anni buona prova di se, ha fatto bene il suo
lavoro, è rispettato da amici e avversari per la sua competenza
amministrativa. Potrebbe essere un buon Sindaco. Non è così? Si
proponga un altro nome, senza tante storie di vecchio e di nuovo.
La fase dell’ora del dilettante, mi auguro, è finita e tornano a
valere criteri antichi nella scelta degli uomini e delle donne da
eleggere nelle assemblee democratiche.
Vogliamo cominciare ad introdurre il binomio capace o incapace?
Vogliamo tornare a considerare che, com’è stato ricordato su
queste pagine, la politica è un servizio reso per la “cura e
tutela degli interessi generali”?
Se il terreno rimane quello del chi è più alla moda, certamente la
polemica rimane di bassissimo profilo. E come fare a capire chi e
per cosa è utile alla città senza conoscere i programmi dei
candidati e delle coalizioni?
Nazione 7 aprile 1999