A chi toccherà spegnere la luce del governo Prodi? Saranno i “diniani”, toccherà ai “mastelliani” o ai “dipietrini? Quello che è ormai evidente è che Prodi è destinato a passare la mano a causa dell’estremismo e l’appetito dei moderati e non per quello della sinistra. Anche l’organo ufficiale del Partito Democratico, la “Repubblica”, ha dovuto prendere atto che non è Bertinotti il killer dell’amato Romano. Saranno le forze del moderatismo impegnate a costruire un centro politico. Un agglomerato che sia capace di contrattare potere e posti con il centrosinistra e con il centrodestra. Al miglior offerente. Spetterà loro certificare la fine dell’esperienza di governo dell’Unione.
Quando il destino politico di un Paese è nelle mani di figure dello spessore di Mastella, Di Pietro e Dini, la democrazia qualche problema sembrerebbe averlo. E il “grillismo” c’entra poco. Pagine e pagine di giornali, dichiarazioni su dichiarazioni per denunciare il rischio per la democrazia conseguente all’antipolitica portata avanti da Grillo nel suo blog e nei suoi comizi. In genere aborrisco gli insulti e le urla mi irritano, anche quelle dei tifosi. I miei comici di riferimento sono di un’altra generazione rispetto a quella di Grillo, ma rimango convinto che la fucina vera dell’odio per la politica non è quella alimentata dall’enfatico comico genovese. Non c’è politico che non riconosca che esiste il problema del costo della politica e che non veda l’intollerabilità di prebende e privilegi del ceto addetto ai lavori. Concretamente non si è fatto nulla per invertire una tendenza al carrierismo e al familismo di casta.
Si è consentito la stratificazioni di un sentimento di massa contro la politica praticando ad ogni livello una pessima politica e in genere guardando più al proprio interesse che a quello generale. Le oligarchie imperano.
Il meccanismo propulsore del disprezzo per tutto ciò che riguarda l’agire politico è certamente la TV. L’ avanspettacolo che ministri, senatori, deputati, presidenti, sindaci e governatori ci propinano quasi ogni sera nei vari salotti e contenitori televisivi accumula la linfa del disprezzo. Uno dei meriti, apprezzati, di Walter Veltroni è stato quello di evitare negli anni passati le baruffe televisive. Recentemente si è lasciato prendere la mano e una sorta di iper presenzialismo sembrerebbe tentarlo. Lasci perdere. E’ meglio centellinare dichiarazioni e apparizioni.
Difficile pensare che sia possibile un autoriforma del mondo della politica. Una classe dirigente non la si inventa da un giorno all’altro e un sistema politico ingessato come quello italiano richiederebbe uno scatto ed una presa di coscienza resi difficoltosi dalla fragilità delle strutture istituzionali. E ciò è un dramma per la democrazia. Lo scarto tra esigenze del Paese e priorità dei dirigenti politici è divenuto abissale. Alla crisi della democrazia rappresentativa l’unica risposta è stata quella del plebiscito, dell’appello al popolo. Che altro è il meccanismo scelto dell’elezione diretta dei vertici del PD? La strada del plebiscito come forma di rapporto con la gente si sa come comincia, ma non sempre se ne vedono gli sbocchi. Berlusconi sono quindici anni che propone plebisciti sulla sua persona e Beppe Grillo non utilizza lo stesso dispositivo dell’appello al popolo?
Grande è la confusione sotto il cielo, ma la situazione non è ottima. Il quadro politico è ampiamente sconquassato sia nella destra che nel centrosinistra. Nonostante tutto Berlusconi non è certo di ottenere a breve le elezioni anticipate e sia Fini che gli altri alleati non gridano di gioia al pensiero che sia nuovamente il Cavaliere il candidato a leader. Nessuno ha intenzione di rimanere con il cerino in mano e ad ogni imboscata parlamentare che va male, i berluscones perdono la fiducia in una rapida riconquista del potere. I sondaggi sono ottimi per la destra, ma non sono ancora voti.
Se Atene piange, Sparta certamente non ride. Evidenti le difficoltà della sinistra stretta tra l’esigenza della difesa della sua partecipazione al governo e l’urgenza di ottenere un’inversione di rotta rispetto all’attuazione del programma elettorale con cui si sono chiesti i voti. Senza una seria accelerazione verso una qualche forma di unità , la sinistra a sinistra del PD rischia l’estinzione o divenire esperienza di una testimonianza ininfluente.
Ogni giorno si tocca con mano l’avventurismo del riformismo italiano. Siamo l’unico caso al mondo in cui ci si può, come ha fatto Dini, dimettere da un partito, quello democratico, che ancora non c’è. Sempre più si profila il rischio che il Partito Democratico sia essenzialmente la fusione dei gruppi dirigenti diessini e margheritini ad ogni livello. Si è smarrito così procedendo l’obbiettivo della costruzione di un contenitore capace di attrarre energie diverse dai soliti noti.
Un governo nato debole ha vissuto pericolosamente per diciotto mesi cercando l’avversario da battere nelle “pretese” della sinistra ed oggi si ritrova ricattato da raggruppamenti politici privi di un significativo consenso elettorale, ma con un potere di ricatto decisivo nella tenuta del governo. Che capolavoro!
E non è una meraviglia ciò che sta succedendo in Umbria con le liste per le primarie del 14 ottobre? Fioccano le liste pro-Veltroni, ma pezzi importanti dei gruppi dirigenti diessini non riescono a trovare una collocazione accettabile e si rifugiano nei propri feudi.