Molto rumore per nulla? Non direi. Dopo la direzione del Pd di questi giorni gli esperti sostengono che i veltroniani, dopo le reazioni aspre di parti consistenti di iscritti ed elettori del PD, abbiano ridimensionato le loro aspettative accontentandosi delle aperture di Bersani all’esigenza di una discussione per rilanciare il partito. Invece di votare contro, si sono astenuti. Bene. Bravi. Il Paese è loro grato. Coloro che esperti non sono continuano a non capire che cosa significasse l’ennesima discesa in campo di Veltroni. Gli intendimenti dei settantasei parlamentari che hanno firmato un documento che segue altri documenti di altri pezzi del PD, hanno ballato una sola estate? No: essi rappresentano una corrente che si è formata rompendo la corrente di minoranza uscita dall’ultimo congresso che, attraverso le primarie, ha eletto Bersani alla segreteria del PD. Non condivido la tesi che tutto questo è utile per garantire che, con le elezioni alle porte, sia necessario organizzarsi al fine di garantirsi posti nelle liste in nome delle varie sensibilità  del partito. Una cattiveria questa detta da chi non accetta discussioni?
Discutere in genere è buona cosa quando esistono tesi contrapposte rispetto alle esigenze che si vogliono esplicitare. C’è qualcuno che può spiegare almeno a grandi linee quali sono le idee di un partito che dovrebbe rappresentare il fulcro di un’alternativa al berlusconismo? Si dice lavoro al primo posto, ma poi ha ragione Marchionne o la CGIL? E chi lo sa. Un partito non è un’accademia di filosofi che discutono sui destini dell’uomo, ma uno strumento la cui missione è quella di contribuire alla crescita di una società  aiutando le forze sociali e culturali a risolvere i problemi che si presentano. Non si può essere credibili se non si ha la capacità  di scegliere quali interessi rappresentare e contro quali interessi combattere. Non è questione di lotta di classe, quella è già  in atto da tempo, è questione di decidere se la crisi deve continuare ad essere pagata dagli stessi che la pagano da decenni o è tempo che anche coloro che si sono arricchiti in questi decenni contribuiscono, secondo il dettato Costituzionale, al bene dell’Italia.
La politica in Italia sembra essersi ridotta a una sorta di guerra di bande il cui scopo è quello di annichilire il proprio avversario. Sia esso interno al partito o esterno l’importante è rafforzare il proprio potere favorendo i propri clientes. L’esplosione della crisi del centrodestra è sotto gli occhi di tutti e i suoi aspetti grotteschi non fanno che renderla più pericolosa. Un Paese appeso alla lite per il condominio di Montecarlo è un Paese a cui le classi dirigenti prospettano un pessimo futuro. Se anche la presidente della Confindustria è arrivata a concludere, dopo mesi di pensamenti, che l’Italia è messa peggio di tanti altri le prospettive, nonostante il parere del giulivo Ministro Sacconi, non sembrano brillanti. Richiedere che la politica svolga diversamente il proprio compito non sembra essere una forzatura da estremisti e se lo richiede anche la Marcegaglia, qualcosa di vero dovrebbe esserci.
Che con i chiari di luna che attraversiamo, ancora oggi non ci sia il Ministro allo Sviluppo economico è una sorta di barzelletta da non raccontare ai bambini.
Siamo l’unico Paese in Europa che non ha uno straccio di politica industriale e pensare che, superata la crisi finanziaria, si ricomincerà  a produrre come prima gli stessi beni è semplicemente da irresponsabili.
Eppure il ceto politico continua imperterrito a svolgere i suoi riti e baruffa dopo baruffa si accelera il processo di degrado della democrazia e dell’economia italiana.
Con l’autunno arrivano gli aumenti di tutte le tariffe per i servizi pubblici. Cosa scontata visti i tagli di Tremonti ai bilanci delle amministrazioni territoriali. Ciò che scontato non sarebbe dovuto essere è la mancanza di una campagna d’informazione e di mobilitazione dell’opinione pubblica rispetto al degradarsi di tutto ciò che è pubblico. Un amico amministratore sconsolato mi ha raccontato della difficoltà  che incontra nel cercare di spiegare alla gente lo stato della finanza comunale e dell’esigenza di aumentare le tariffe pur tagliando servizi.
La reazione più diffusa è quella contro la “casta”. Il siete tutti uguali è l’affermazione più diffusa. Assieme alla richiesta di colpire gli sprechi nella pubblica amministrazione, c’è un astio e un rancore che non nasce dal qualunquismo sparso a piene mani da tanti. La delusione è dovuta principalmente dal fatto che anche nel centrosinistra è prevalsa per anni la tesi che il privatizzare era bello e la gestione pubblica di per sè faceva schifo. Invece di scommettere sulla riqualificazione della spesa e sull’innovazione del rapporto tra cittadino e amministratore, si è ottusamente seguita l’ideologia liberista del ridimensionamento della presenza pubblica anche nella gestione di beni che non possono che essere collettivi. Quanto patrimonio si è venduto in questi anni per far quadrare i bilanci? Sarebbe da sciocchi non considerare utile vendere strutture che non hanno alcun interesse generale, ma quando di tratta di società  che gestiscono pezzi di città  o beni come l’acqua, la cosa assume altro significato. Amministrare oggi un Comune o una Regione è molto difficile. Lo si può far meglio se si riesce a recuperare un rapporto di fiducia con la popolazione sulla base di concrete svolte nel modo di comunicare le difficoltà  ma anche le possibilità  di salvaguardare il ruolo dei servizi al cittadino assieme a stimoli che combattono la pesante crisi economica dell’Umbria. Non sono un esperto, ma quanto sarebbe apprezzato da artigiani o altri fornitori se i pagamenti del settore pubblico fossero accelerati? Non ne trarrebbe beneficio l’economia complessiva?
Per fortuna che Berlusconi c’è. Un’altra bella notizia, proprio ieri ci ha promesso che il disegno di legge contro le intercettazioni riprenderà  il suo iter legislativo. Allegria, siamo tutti salvi.

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