Il bar dello sport

Settimana politicamente piena per la nostra regione. Pezzi da novanta e anche da quarantacinque, hanno allietato le nostre genti nelle diverse piazze dell’Umbria. Impegnato in un congresso molto articolato, il PD ci ha proposto i leader massimi di quel partito, da ultimo Veltroni a Bastia per un’iniziativa dei commercianti.
Il PDL non è stato da meno.
Nelle giornate di Gubbio, per la scuola di formazione del partito al governo, tutto il gotha del partito è stato impegnato in una discussione non proprio tranquilla. Se il Presidente della Camera Fini cerca di smarcarsi dal “monarca” chiedendo una svolta democratica nella gestione del PDL, il Presidente del Senato, Schifani, sposa la tesi berlusconiana di una magistratura impegnata in disegni politici e non a fare il suo dovere.
Dopo un’estate caldissima la ripresa dell’attività  politica non sembra introdurre elementi di novità . Siamo il Paese dei bar dello sport e le barzellette continuano a farla da padrone a settembre come è stato a luglio ed agosto. Alcune gag non fanno ridere affatto. Ad esempio, sentir dire dal Capo che il novanta per cento della stampa sia in mano ai cattocomunismi ci sembra un’esagerazione: i giornali di sinistra non arrivano a vendere, tutti assieme, quanto “Il Giornale”. A parte “Repubblica”, i grandi quotidiani nazionali sono alquanto cauti rispetto all’azione del governo e del suo presidente. Non lo sa nessuno, la televisione rigorosamente non ne parla, ma per gran parte dell’informazione estera, di tutti gli orientamenti politici, suona scandalo la prudenza con cui il mondo dei giornali italiani tratta alcune vicende. Possedendo direttamente tre televisioni, scegliendo i direttori di altre due reti, apprestandosi a conquistare anche il “fortino” della terza rete Rai e sapendo che il popolo si orienta con ciò che “dice” la Televisione, il Capo dovrebbe stare tranquillo. Ancor più dovrebbe esserlo avendo dichiarato a tout le monde di essere il più bravo capo di governo nei centocinquanta anni di storia italiana. Perchè tanto nervosismo per qualche voce sulle sue frequentazioni femminili e maschili? Convinto che tutti gli italiani vorrebbero essere come Lui, la tranquillità  dovrebbe essere conseguente. O no?
La ragione del nervosismo, l’ha spiegata Bossi: lo scandalo delle escort è stato prodotto dall’azione della mafia. E’ un complotto mafioso dice il leader della padania e con la mafia non si scherza, avverte il padron della Lega. Della serie la sai l’ultima?
Purtroppo non c’è niente da ridere.
Il Paese non può che continuare ad essere in confusione. Che la crisi non sia frutto dell’azione del governo è cosa certa come è certo che i provvedimenti presi in Italia per contrastare il disastro del liberismo non siano tutti inefficaci. La questione è come affrontare il futuro di una comunità  gravata da distorsioni e da inceppamenti storici che la rendono più fragile di altre nazioni con un governo impegnato principalmente a supportarle sparate del Capo contro i comunisti. L’ossessione di Berlusconi per i comunisti dovrebbe essere frutto di un trauma giovanile. Scomparsi dal Parlamento nazionale ed europeo, presenti in giunte locali  e regionali in posizione assolutamente minoritaria, i comunisti non dovrebbero far paura a nessuno.
Il maggior partito del centro-sinistra non sembra costituire pericolo. E’ impegnato a scegliere il nuovo segretario e non sembra costituire minaccia per il centrodestra. La campagna è tutta interna e non consente distrazioni del tipo quelle di occuparsi della catastrofe in atto nella democrazia repubblicana. (altro…)

Un vecchio maestro

Umberto Bossi ha avuto un grande maestro: Bettino Craxi. E’ da Lui che Bossi ha appreso l’arte di come condizionare un governo pur rappresentando meno del 10% del corpo elettorale.
Bettino Craxi, segretario del PSI, per buona parte degli anni ’70 e per tutti gli anni ’80, segnò la qualità  dei governi guidati dalla DC, per un breve periodo da Spadolini e poi dal segretario socialista. Come è noto quei governi venivano chiamati di pentapartito e il “corsaro” Craxi aveva il nome di Ghino di Tacco. Non sappiamo se lo sarà  anche per altri motivi, certo è che quella alleanza entrerà  nella storia repubblicana come madre dell’esplosione del debito pubblico italiano. Primato mondiale conquistato a partire da quegli anni. C’è chi sostiene che il degrado del Paese iniziò in quella fase politica e che Tangentopoli rappresentò lo sbilenco tentativo di bloccare una classe dirigente corrotta ed incapace.
Al di là  di tutto, certo fu che Bettino Craxi esercitò un potere di interdizione al di là  della sua propria forza elettorale. Esattamente il ruolo che sta svolgendo la Lega in questa fase.
Bisogna saper cogliere le differenze. La storia si ripete, ma non allo stesso modo. La differenza tra Bossi e Craxi sta forse nel fatto che il leader socialista riusciva nella sua azione a condizionare un grande partito di massa come era, nonostante tutto, la Democrazia Cristiana. Umberto Bossi si trova a contraddire un accrocchio di partito, il Partito della Libertà  composto da dipendenti e nominati per diversi meriti soltanto da Berlusconi. Il PDL infatti non ha bisogno di svolgere congressi: ha un solo padrone e molte rumorose comparse. E’ sufficiente una cenetta ad Arcore e i dipendenti di Berlusconi si mettono subito in ossequioso omaggio ai desideri della Lega bossiana. Altra differenza di sostanza è rappresentata dal fatto che il suo progetto, quello di Craxi, si scontrava con una forza di sinistra, il PCI, che rappresentava una parte sostanziale del mondo del lavoro e poteva contare su una stratificata presenza in tutta la società  italiana. Dal punto di vista elettorale una forza di una volta e mezzo superiore al PSI craxiano. Umberto Bossi ha di fronte una sinistra allo sbando. Gli spezzoni a matrice comunista rimangono uno spezzatino indigeribile, il Partito Democratico nessuno sa cosa esso sia. La ricerca ad una identità  rassomiglia ad una sorta di caccia al tesoro che appassiona, poco, i soli addetti ai lavori. In questa estate torrida l’agenda politica è stata imposta da Bossi. Non è una grande agenda. Ad esempio, il voler imporre l’insegnamento del dialetto in un Paese in cui il problema è tornato ad essere la conoscenza della lingua italiana, sembrerebbe una bizzarria certificante l’ignoranza crassa dei proponenti. I proponenti sono al governo del Paese e sarebbe sbagliato sottovalutare questa politica da Bar dello Sport. L’intolleranza per il diverso cresce assieme allo smarrimento di pezzi decisivi della società  italiana. Soltanto un dio ci può salvare?

Rinnovare, rinnovar bisogna

Perdere una tornata elettorale rientra nelle possibilità  della lotta politica senza che ciò costituisca l’obbligo di cambiare le idee e i valori essenziali di un partito. Il problema diviene drammatico quando un partito non ha alcuna piattaforma politica condivisa dal suo gruppo dirigente e magari comprensibile agli elettori. E’ questo il caso sia del partito democratico sia, per diverse ragioni, della sinistra frantumata. Quest’ultima, dopo essere stata espulsa dal parlamento nazionale, ha continuato imperterrita a dividersi e oggi è fuori anche dal parlamento europeo. Milioni di elettori di sinistra non hanno alcuna rappresentanza nelle massime istituzioni democratiche per responsabilità  dello sbarramento imposto da Berlusconi e dal PD ma anche per la protervia dei gruppi dirigenti incapaci di trovare una forma di unità . Lo spezzatino resta in vita nelle amministrazioni locali. L’impegno prevalente delle leadership locali sembra essere quello di essere visibili nelle giunte, ognuno con la propria bandierina, magari a discapito dell’altro pezzetto della sinistra, concordando il tutto con il PD. Spettacolo per molti versi raggelante. Ancora non hanno capito? Se alle prossime elezioni regionali non si arriverà  con un radicale mutamento nel modo di fare politica, le prospettive per il centrosinistra non saranno entusiasmanti neanche in Umbria. Di nuovismo in nuovismo gli eredi dell’estinto PCI sono riusciti ad ottenere lo stesso risultato elettorale che il partito guidato da Natta ottenne, da solo, nelle elezioni per la Camera dei deputati del 1987. Furono le ultime elezioni politiche cui partecipò il PCI. Poi iniziarono “le cose”. La cosa uno, due, ecc. L’ultima “cosa” è il partito democratico. Qualcosa non ha funzionato nella costruzione di questo contenitore politico nato per unire tutti i riformisti d’Italia. L’amalgama non sembra funzionare ma tornare indietro non è possibile dicono tutti. Bisogna andare avanti e a questo dovrebbe servire il prossimo congresso di ottobre. Le norme dello statuto vigente sono, anche qui concordano quasi tutti, paradossali. Non a caso l’onorevole Rosi Bindi rivendica il suo voto contrario a norme adatte alla costruzione di plebisciti piuttosto che alla formazione di gruppi dirigenti di un partito. Si fanno sotto i candidati e lo show ha inizio. Non è stato fino ad oggi un grande spettacolo. Ancora il nuovo che avanza contro gli apparati e la distribuzione delle etichette, la fa da padrona nei giornali e nelle TV. La simpatia diviene una categoria della politica e sembra più importante della competenza. Mi viene in mente che se fosse stato per la simpatia, Togliatti avrebbe percorso poca strada e De Gasperi non avrebbe guidato la ricostruzione dell’Italia. E quanto a simpatia, Berlusconi ha la stessa dell’italiano illustrato tante volte da Alberto Sordi. Comunque, Franceschini è impegnato a lottare contro le consorterie e promette: nessun accordo con i vecchi apparati. Non si faranno prigionieri insomma. Sarà  necessario un giurì d’onore per stabilire chi è il vecchio e chi è il nuovo? Perchè la cosa è abbastanza controversa. E’ il vecchio Bersani perchè ha già  svolto ruoli rilevanti nella pubblica amministrazione o è il nuovo Franceschini candidato segretario del PPI nel 1999? Difficile etichettare a priori. La confusione è frutto di un lungo periodo in cui il ceto politico di centrosinistra è stato in pratica mono generazione. Vuoto sopra, vuoto sotto. (altro…)

Le strade del vino

Il referendum meno votato in tutta la storia repubblicana, soltanto il 23% degli aventi diritto hanno partecipato alla competizione. Berlusconi, Franceschini e Fini uniti nella botta si potrebbe dire. La bastonata del fallito quorum del referendum elettorale voluto da tanti addetti ai lavori, ad iniziare da Berlusconi, e stato votato da pochi. Bisogna intenderci: l’astensionismo non è dovuto soltanto alla crisi dello strumento “referendum”. La crisi c’è, ma l’astensionismo è stato causato principalmente dall’irresponsabilità  della scelta dei promotori di indire un referendum assurdo. Il risultato sarebbe stato che, vincendo il Sì, si sarebbe peggiorata una già  orrenda legge elettorale. Il popolo questa volta è stato più saggio dei leader politici e non ha votato.
Per Berlusconi e Fini il Sì era coerente con la loro posizione presidenzialista, per Franceschini la scelta è stata fatta perchè il PD è, dalle sue origini, vittima di una sorta di “sindrome di Stoccolma”. Anche in questa circostanza il partito democratico ha fatto la scelta sbagliata per mancanza di una qualsiasi idea su come riformare le istituzioni e per quale tipo di democrazia impegnare le proprie forze. L’illusione del partito a vocazione maggioritaria è ancora ben presente in una parte consistente del gruppo dirigente del PD, con tutto ciò che ne consegue.
Si potrebbe gioire per l’insuccesso di chi voleva dare un altro colpo micidiale alla democrazia rappresentativa prevista dalla Costituzione repubblicana imponendo per legge un bipartitismo da repubblica delle banane. La pervicacia dei promotori e dei sostenitori del Sì lascia di stucco. Sono gli stessi che assieme ad Occhetto, in nome dell’antipartitocrazia, imposero altri referendum elettorali all’inizio degli anni “˜90. Referendum tutti vinti che hanno si distrutto i partiti di massa, ma hanno anche aperto la strada per costruire il berlusconismo e infiacchito la democrazia italiana. Potremmo esultare per il risultato del referendum, non lo facciamo perchè continuiamo a esser immersi, tutti immersi, in un pantano politico che rischia di travolgere ogni speranza di rinnovamento del Paese.
Referendum a parte, la tornata elettorale è stata disastrosa. In Italia come in Umbria la destra ha vinto sia alle elezioni europee sia alle amministrative. Ci si può consolare per l’arretramento di Berlusconi rispetto alle elezioni politiche dello scorso anno, ma anche al parlamento europeo non ci sarà  parlamentare della sinistra italiana. Non c’è stato lo sfondamento voluto dalla destra e la tenuta di amministrazioni del nord, del centro e del sud è molto importante. Berlusconi avrà  certo esaurito la sua spinta propulsiva, ma i quattro milioni di voti persi dal partito democratico non sono bazzecole. Lo spostamento a destra dell’Italia è coerente con quanto successo in Europa ma ciò non ciò consola per nulla.
Il centrosinistra non è confinato soltanto in qualche area del centro del Paese e dove si era unito, in genere, ha continuato a vincere.
In una crisi delle dimensioni di quella che anche l’Italia attraversa, rimaniamo senza parole di fronte al disastro della sinistra politica ma va registrata, in Italia e in Europa, l’afonia di un sindacato incapace di una reazione di fronte al fallimento dell’ideologia liberista delle classi dirigenti.
Anche il voto di giugno ci conferma che un ciclo politico- amministrativo si è concluso. Anche in Umbria.
L’Umbria non è più rossa da molto tempo. Colpisce il dato delle elezioni Europee, dove per la prima volta nel dopoguerra il partito più votato, non è un partito di sinistra ma il PDL, il partito di plastica creato da Berlusconi. Induce a riflessione il fatto che un asse che va da Perugia a Foligno vede tutte amministrazioni di centrodestra. Con l’aggiunta di Orvieto, le strade del vino, orgoglio regionale, saranno governate da uomini e donne del centrodestra. A noi di sinistra non ci resta che bere il vino del Trasimeno e di Amelia? E bere l’acqua di Sangemini, visto la fine di Gualdo Tadino?
L’eredità  costruita in tanti decenni di lotte e lavoro del movimento operaio umbro, è stata allegramente scialacquata da un ceto politico inossidabile e inamovibile che ha fatto della propria carriera personale la priorità  per cui lavorare. Una sua parte è stata rimossa per volontà  degli elettori e chissà  che questa non sia la volta buona per un discorso di verità  sulle cause del disastro.
Arrivano a bilancio conclusivo le sciocchezze del nuovo che avanza. Quello che ci si presenta è un deserto politico in cui non si può parlare di gruppi dirigenti ma di accrocchi d’interessi personali e territoriali. Gruppi che nel prossimo futuro dovranno affrontare una crisi generale e i vincoli di una spesa pubblica in contrazione. Una crisi che impedirà  il mantenimento di quel limitato welfare costruito nei decenni precedenti rischia di non reggere proprio nel momento in cui aumenterà  il disagio sociale che scaturisce dalla crisi economica. La stessa tenuta sociale è a rischio. Ed è da questo dato che dovrebbero partire PD e sinistra-sinistra per adeguare programmi, comportamenti e priorità  se si vuole invertire la tendenza al degrado politico che dura da anni, ma che ha avuto una bella accelerazione dal voto di giugno.
Non sarà  facile. Il PD, anche in Umbria, rimane un non partito e anche nella vicenda elettorale ha pesato la mancata fusione dei resti della Margherita con i resti dei DS. Il preannunciato congresso di ottobre sarà  l’occasione per capire di cosa si tratta e cosa vuole questa sorta di agglomerato politico senza anima? Speriamo per il meglio. La così detta sinistra alternativa sembra per adesso soddisfatta della riconquista di qualche strapuntino nelle giunte in formazione. Proposte intelligenti volte alla ricostruzione di un tessuto unitario non se ne sentono. Pazientiamo.
La società  civile non ha strumenti ne voci autorevoli capaci di influire nelle discussioni del ceto politico.
Si muovono, quasi sottotraccia, gruppi d’interesse politico che riescono a parlare un linguaggio che può diventare interessante per giovani e meno giovani non impegnati direttamente nel mercato della carriera politica. Spesso sono diretti da giovani ed è specialmente a loro che va richiesto in questa fase difficile un contributo d’idee e di proposte.
Come Micropolis, vorremmo rappresentare uno degli strumenti di riflessione sull’Umbria e sulle possibilità  di ridare una prospettiva di sinistra alle genti della nostra terra. Abbiamo sempre sollecitato contributi esterni alla redazione.
Sentiamo ora l’urgenza di aprire una discussione senza rete che coinvolga certo il ceto politico dei partiti, ma principalmente le intelligenze e le culture presenti nelle articolazioni della società  regionale. Quelle forze che le formazioni politiche in campo non riescono a organizzare o meglio, non sono state in questi anni interessate a organizzare o ascoltare. Ci proviamo?

Merce avariata

Pessima la partecipazione popolare al referendum elettorale voluto dai soliti noti e appoggiato da Berlusconi, Fini e Franceschini. Con il 23% dei partecipanti entrerà  nella storia come l’ultimo referendum? Gli esperti si sbizzarriscono con le loro dotte analisi per convincere gli italiani che, visto il fallimento di molti referendum, o si elimina il quorum o e meglio fare a meno dello strumento. Come al solito sotto c’è l’inganno. Sarebbe meglio per tutti se non si mistificasse la realtà  e si facesse un discorso di verità . E la verità  è che il mancato raggiungimento del quorum è frutto dell’assurdità  dei quesiti proposti all’elettorato. Se vinceva il sì la legge risultante, sarebbe stata peggiore della porcata calderoniana. Esattamente due anni or sono, il 25 e 26 giugno, si svolse in Italia un referendum costituzionale, concernente l’approvazione della controriforma della Carta Costituzionale voluta dal centrodestra. Non ci fu in pratica campagna elettorale. Il centrosinistra non mobilitò grandi masse di popolo per contrastare un provvedimento che avrebbe stravolto la democrazia italiana. Non avendo avuto i due terzi dei voti in Parlamento, la legge doveva essere approvata attraverso un referendum confermativo. Non era previsto quorum. Presi a litigare tra loro, i leader del centrosinistra non si affaticarono più di tanto. Ricordo ad esempio che a Perugia, le poche iniziative furono gestite dalla sinistra “radicale” e la più riuscita fu indetta dal mensile Micropolis. Il PD era impegnato anche allora in organigrammi. Per fortuna che Silvio c’era, si potrebbe dire. Infatti, il 22 giugno Berlusconi con il solito stile dichiarò al Corriere della Sera: “Non credo che possa sentirsi degno di essere italiano chi domenica e lunedì non sarà  andato a dare il suo sì all’ammodernamento della nostra Costituzione, a una riforma che darà  a questo Paese più democrazia e libertà “. Parole sante che portarono al voto il 53,6% degli elettori. Vinse il no con il 61.7% dei voti. Come spesso succede il centrosinistra non fece tesoro di quella vittoria e riprese a sfiancarsi per rendere l’attività  del governo Prodi una fatica di Sisifo. Tutto quanto sopra per dire che lo strumento referendum è in crisi quando i promotori sbagliano le domande da sottoporre al voto. Il popolo è a volte più saggio dei propri leader e, un’altra volta, il PD ha fatto la scelta sbagliata nel momento sbagliato invitando a votare sì. Le amministrative sono terminate con la netta vittoria del centrodestra. Negarlo è una stupidaggine. Sostenere, come ha fatto Franceschini, che i risultati elettorali sono stati l’inizio del declino della destra non sta nè in cielo nè in terra. Non è nemmeno consolatorio. Berlusconi non ha sfondato alle europee ed ha dimostrato di dare i numeri con il suo 45% di consensi preannunciato. (altro…)

Merce avariata

Pessima la partecipazione popolare al referendum elettorale voluto dai soliti noti e appoggiato da Berlusconi, Fini e Franceschini. Con il 23% dei partecipanti entrerà  nella storia come l’ultimo referendum? Gli esperti si sbizzarriscono con le loro dotte analisi per convincere gli italiani che, visto il fallimento di molti referendum, o si elimina il quorum o e meglio fare a meno dello strumento. Come al solito sotto c’è l’inganno. Sarebbe meglio per tutti se non si mistificasse la realtà  e si facesse un discorso di verità . E la verità  è che il mancato raggiungimento del quorum è frutto dell’assurdità  dei quesiti proposti all’elettorato. Se vinceva il sì la legge risultante, sarebbe stata peggiore della porcata calderoniana. Esattamente due anni or sono, il 25 e 26 giugno, si svolse in Italia un referendum costituzionale, concernente l’approvazione della controriforma della Carta Costituzionale voluta dal centrodestra. Non ci fu in pratica campagna elettorale. Il centrosinistra non mobilitò grandi masse di popolo per contrastare un provvedimento che avrebbe stravolto la democrazia italiana. Non avendo avuto i due terzi dei voti in Parlamento, la legge doveva essere approvata attraverso un referendum confermativo. Non era previsto quorum. Presi a litigare tra loro, i leader del centrosinistra non si affaticarono più di tanto. Ricordo ad esempio che a Perugia, le poche iniziative furono gestite dalla sinistra “radicale” e la più riuscita fu indetta dal mensile Micropolis. Il PD era impegnato anche allora in organigrammi. Per fortuna che Silvio c’era, si potrebbe dire. Infatti, il 22 giugno Berlusconi con il solito stile dichiarò al Corriere della Sera: “Non credo che possa sentirsi degno di essere italiano chi domenica e lunedì non sarà  andato a dare il suo sì all’ammodernamento della nostra Costituzione, a una riforma che darà  a questo Paese più democrazia e libertà “. Parole sante che portarono al voto il 53,6% degli elettori. Vinse il no con il 61.7% dei voti. Come spesso succede il centrosinistra non fece tesoro di quella vittoria e riprese a sfiancarsi per rendere l’attività  del governo Prodi una fatica di Sisifo. Tutto quanto sopra per dire che lo strumento referendum è in crisi quando i promotori sbagliano le domande da sottoporre al voto. Il popolo è a volte più saggio dei propri leader e, un’altra volta, il PD ha fatto la scelta sbagliata nel momento sbagliato invitando a votare sì. Le amministrative sono terminate con la netta vittoria del centrodestra. Negarlo è una stupidaggine. Sostenere, come ha fatto Franceschini, che i risultati elettorali sono stati l’inizio del declino della destra non sta nè in cielo nè in terra. Non è nemmeno consolatorio. Berlusconi non ha sfondato alle europee ed ha dimostrato di dare i numeri con il suo 45% di consensi preannunciato. (altro…)