da Francesco Mandarini | Nov 19, 2012
Evidentemente, con qualche ragione, il ceto politico fa affidamento sulla scarsa memoria del popolo italiano. La discussione sulle prossime scadenze elettorali rientra nella categoria della mistificazione come metodo. Il centrosinistra ha sempre sostenuto la tesi dell’accorpamento delle elezioni anche al fine di evitare spreco di soldi. Il centrodestra ha sempre combattuto ogni ipotesi del genere. Addirittura denunciando l’attentato alla democrazia se alle elezioni politiche del 2006, svolte l’otto e il nove aprile, si fosse permesso il voto per il referendum costituzionale. Berlusconi e soci fissarono il voto per il referendum per il 25 e 26 giugno. Meno di tre mesi dopo. Costo di circa 400milioni di Euro. Certamente le elezioni per rinnovare i consigli regionali di Lazio e Lombardia, sciolti alla fine di settembre, hanno una certa urgenza, anche considerando che i consiglieri decaduti continueranno ad avere le indennità fino all’elezione del nuovo consiglio. La signora Polverini e il signor Formigoni restano presidenti per la normale amministrazione fino all’elezione dei nuovi presidenti. Mesi e mesi di paralisi amministrativa che non fanno certo bene alla democrazia nè alla spesa pubblica. Sembrerebbe urgente svolgere la tornata elettorale per le due istituzioni, ma nel Paese che produce più leggi al mondo, manca una legge che disciplina le scadenze elettorali per tutti gli enti elettivi in caso di crisi. Ogni presidente decide a sua convenienza. L’autonomia statutaria garantisce, dicono Formigoni e Polverini. La modifica del titolo quinto della Costituzione? Un disastro che rischia di rendere popolare e legittima la spinta a un nuovo centralismo e svuota di forza politica ogni protesta per i tagli alle autonomie locali. Forse nei programmi elettorali una riflessione su quella modifica costituzionale sarebbe utile che ci fosse, ma per adesso d’idee per il futuro non si parla. Non si parla nemmeno di quale Italia le diverse forze politiche vorrebbero ricostruire dopo il cataclisma prodotto dal berlusconismo diffuso a destra e a manca. L’impressione che la politica, in generale, vada da una parte e la realtà da un’altra. Mondi separati. Berlusconi ha decretato che il governo dei tecnici è stato un fallimento. Esagerato come sempre dimentica che Monti è divenuto capo del governo, quale ultima chance di una nazione considerata, a ogni latitudine, inaffidabile proprio a causa del governo Berlusconi, Tremonti, Bossi. In onesta bisogna però prendere atto che se il governo dei tecnici è riuscito a recuperare attendibilità internazionale, Monti e i suoi ministri non sono riusciti ad attivare meccanismi di un nuovo sviluppo. E’ poco un anno per risolvere problemi frutto di decenni di cattiva politica e di un ceto dirigente complessivamente inadeguato in molti settori? Forse sì, ma di fronte al tracollo delle condizioni di vita di parti vaste della popolazione la priorità doveva essere quella di innescare meccanismi di contrasto alla precarizzazione del lavoro e alla deindustrializzazione del Paese. Si è invece scelto di tagliare sul welfare, sulla scuola e sui servizi pubblici in genere. Possibile che, nonostante tutte le controprove, si continui con una politica dell’austerità riservata ai soliti ceti? Non funziona. E’ un abbaglio ideologico. Lo dicono in molti: senza investimenti pubblici nell’economia e nell’innovazione non si crea nuova ricchezza e nuovo lavoro. Di fronte alla crisi dell’auto, l’amministrazione americana è intervenuta massicciamente con finanziamenti che hanno consentito il rilancio del settore. Ne sa qualcosa Marchionne. Che cosa ha prodotto la riforma del mercato del lavoro della loquace Fornero? Nulla di più che un incremento della cassa integrazione e della disoccupazione giovanile. Aver mantenuto in vita quarantasette tipologie di contratto ha reso più flessibile l’uscita e meno probabile l’ingresso di donne e di giovani nel lavoro stabilizzato. Se ne potrebbe prendere atto? La tenuta sociale è a rischio e si vede dalle migliaia di manifestazioni che si svolgono in tutta Italia. L’Umbria ha subito una catastrofe “naturale” che rende ancora più precaria la sua economia. Rischiamo di tornare a essere sempre più la regione più al nord del meridione impoverito e sempre meno la regione più a sud del nord sviluppato. Per gli amministratori locali non sarà facile trovare la strada per impedirlo. Siamo una comunità piccola in cui convivono aree di sottosviluppo e zone di eccellenza. Complessivamente non abbiamo risorse proprie sufficienti a rendere autonomo il nostro sviluppo. Ed è per questo che abbiamo cercato sempre di utilizzare al meglio le risorse messe a disposizione dalla comunità europea. Risorse che vanno però scemando di anno in anno. Le multinazionali presenti in Umbria risentono dei problemi posti dalla globalizzazione dell’economia; la piccola impresa subisce la crisi dei committenti e spesso per mancanza di credito sono costrette alla chiusura. Il tracollo della domanda pubblica, unito alla difficoltà nei pagamenti ai fornitori è un altro grave fattore di crisi. E’ ripreso un processo di emigrazione. Non più la valigia di cartone, ma è lo zaino con il computer che accompagna verso il nord tanti giovani laureati umbri. Che fare? Responsabilità della classe dirigente è quella di riprogettare una nuova Umbria. Ciò riguarda la politica, spetta al ceto produttivo, è responsabilità anche delle forze culturali. Umbria regione dell’Europa, ma anche una comunità che salvaguarda le sue autonomie, innovandole. Mettere a leva tutte le energie per progettare un nuovo modo di produrre ricchezza e lavoro è la responsabilità primaria della politica, della buona politica.
Corriere dell’Umbria 18 novembre 2012
da Francesco Mandarini | Nov 19, 2012
Evidentemente, con qualche ragione, il ceto politico fa affidamento sulla scarsa memoria del popolo italiano. La discussione sulle prossime scadenze elettorali rientra nella categoria della mistificazione come metodo. Il centrosinistra ha sempre sostenuto la tesi dell’accorpamento delle elezioni anche al fine di evitare spreco di soldi. Il centrodestra ha sempre combattuto ogni ipotesi del genere. Addirittura denunciando l’attentato alla democrazia se alle elezioni politiche del 2006, svolte l’otto e il nove aprile, si fosse permesso il voto per il referendum costituzionale. Berlusconi e soci fissarono il voto per il referendum per il 25 e 26 giugno. Meno di tre mesi dopo. Costo di circa 400milioni di Euro. Certamente le elezioni per rinnovare i consigli regionali di Lazio e Lombardia, sciolti alla fine di settembre, hanno una certa urgenza, anche considerando che i consiglieri decaduti continueranno ad avere le indennità fino all’elezione del nuovo consiglio. La signora Polverini e il signor Formigoni restano presidenti per la normale amministrazione fino all’elezione dei nuovi presidenti. Mesi e mesi di paralisi amministrativa che non fanno certo bene alla democrazia né alla spesa pubblica. Sembrerebbe urgente svolgere la tornata elettorale per le due istituzioni, ma nel Paese che produce più leggi al mondo, manca una legge che disciplina le scadenze elettorali per tutti gli enti elettivi in caso di crisi. Ogni presidente decide a sua convenienza. L’autonomia statutaria garantisce, dicono Formigoni e Polverini. La modifica del titolo quinto della Costituzione? Un disastro che rischia di rendere popolare e legittima la spinta a un nuovo centralismo e svuota di forza politica ogni protesta per i tagli alle autonomie locali. Forse nei programmi elettorali una riflessione su quella modifica costituzionale sarebbe utile che ci fosse, ma per adesso d’idee per il futuro non si parla. Non si parla nemmeno di quale Italia le diverse forze politiche vorrebbero ricostruire dopo il cataclisma prodotto dal berlusconismo diffuso a destra e a manca. L’impressione che la politica, in generale, vada da una parte e la realtà da un’altra. Mondi separati. Berlusconi ha decretato che il governo dei tecnici è stato un fallimento. Esagerato come sempre dimentica che Monti è divenuto capo del governo, quale ultima chance di una nazione considerata, a ogni latitudine, inaffidabile proprio a causa del governo Berlusconi, Tremonti, Bossi. In onesta bisogna però prendere atto che se il governo dei tecnici è riuscito a recuperare attendibilità internazionale, Monti e i suoi ministri non sono riusciti ad attivare meccanismi di un nuovo sviluppo. E’ poco un anno per risolvere problemi frutto di decenni di cattiva politica e di un ceto dirigente complessivamente inadeguato in molti settori? Forse sì, ma di fronte al tracollo delle condizioni di vita di parti vaste della popolazione la priorità doveva essere quella di innescare meccanismi di contrasto alla precarizzazione del lavoro e alla deindustrializzazione del Paese. Si è invece scelto di tagliare sul welfare, sulla scuola e sui servizi pubblici in genere. Possibile che, nonostante tutte le controprove, si continui con una politica dell’austerità riservata ai soliti ceti? Non funziona. E’ un abbaglio ideologico. Lo dicono in molti: senza investimenti pubblici nell’economia e nell’innovazione non si crea nuova ricchezza e nuovo lavoro. Di fronte alla crisi dell’auto, l’amministrazione americana è intervenuta massicciamente con finanziamenti che hanno consentito il rilancio del settore. Ne sa qualcosa Marchionne. Che cosa ha prodotto la riforma del mercato del lavoro della loquace Fornero? Nulla di più che un incremento della cassa integrazione e della disoccupazione giovanile. Aver mantenuto in vita quarantasette tipologie di contratto ha reso più flessibile l’uscita e meno probabile l’ingresso di donne e di giovani nel lavoro stabilizzato. Se ne potrebbe prendere atto? La tenuta sociale è a rischio e si vede dalle migliaia di manifestazioni che si svolgono in tutta Italia. L’Umbria ha subito una catastrofe “naturale†che rende ancora più precaria la sua economia. Rischiamo di tornare a essere sempre più la regione più al nord del meridione impoverito e sempre meno la regione più a sud del nord sviluppato. Per gli amministratori locali non sarà facile trovare la strada per impedirlo. Siamo una comunità piccola in cui convivono aree di sottosviluppo e zone di eccellenza. Complessivamente non abbiamo risorse proprie sufficienti a rendere autonomo il nostro sviluppo. Ed è per questo che abbiamo cercato sempre di utilizzare al meglio le risorse messe a disposizione dalla comunità europea. Risorse che vanno però scemando di anno in anno. Le multinazionali presenti in Umbria risentono dei problemi posti dalla globalizzazione dell’economia; la piccola impresa subisce la crisi dei committenti e spesso per mancanza di credito sono costrette alla chiusura. Il tracollo della domanda pubblica, unito alla difficoltà nei pagamenti ai fornitori è un altro grave fattore di crisi. E’ ripreso un processo di emigrazione. Non più la valigia di cartone, ma è lo zaino con il computer che accompagna verso il nord tanti giovani laureati umbri. Che fare? Responsabilità della classe dirigente è quella di riprogettare una nuova Umbria. Ciò riguarda la politica, spetta al ceto produttivo, è responsabilità anche delle forze culturali. Umbria regione dell’Europa, ma anche una comunità che salvaguarda le sue autonomie, innovandole. Mettere a leva tutte le energie per progettare un nuovo modo di produrre ricchezza e lavoro è la responsabilità primaria della politica, della buona politica.
Corriere dell’Umbria 18 novembre 2012
da Francesco Mandarini | Set 24, 2012
Non esistono scorciatoie e le semplificazioni non servono. Il problema è come approfondire la conoscenza dei processi economici, sociali e culturali che hanno determinato lo stato del centro storico di Perugia. Forse più corretto sarebbe parlare dei problemi della città vecchia intesa come quel complesso dei borghi che supportano il centro. Con un’avvertenza: lo svuotamento dei centri storici è stato un lungo processo che ha riguardato gran parte dell’Italia e dell’Europa. Il modello di sviluppo incentrato sul trasporto privato e sulle aree “dedicate”, ha comportato una crescita che, anche quando non caotica (e non è il caso di Perugia), assegna ai centri storici principalmente la funzione di attrazione turistica e di “vetrine” commerciali per i grandi gruppi dell’industria della moda e di altri settori dell’economia di valenza nazionale o internazionale. Spazi per il piccolo commercio nelle aree pregiate della città ne rimangono pochi. Anche senza avere nessun pregiudizio ideologico, e non è il mio caso, nei confronti della rendita immobiliare non si può non intuire che il costo degli affitti per un’attività commerciale nella così detta acropoli, è tale da rendere problematica la sopravvivenza di chi non è in franchising. Una banale passeggiata per le strade che si congiungono a Corso Vannucci, e si ha l’impressione dell’impoverimento delle attività . Gli esperti pensano che il mercato sarà in grado di aggiustare il tutto: abbassandosi la domanda, il costo degli affitti si adeguerà . E’ possibile. Da molti anni, però, la quantità di locali vuoti è in aumento e i rentier non sembrano seguire le “leggi” del mercato. Di certo una questione di costo degli affitti c’è, ma non è l’unico problema. Un compagno carissimo, mi ha detto che in Porta Sant’Angelo vivono trentasei famiglie e il resto delle abitazioni o vuote o occupate da qualche studente italiano o straniero. Nella mia giovinezza in Corso Garibaldi i bambini erano così numerosi che si confrontavano due squadre di calcio giovanili e le strade erano piene delle loro grida. C’erano le sedi di diversi partiti e alla messa di Sant’Agostino, la domenica, i fedeli riempivano ogni spazio della chiesa. Nell’area del Carmine, Via della Viola, ecc., nonostante lo sforzo di giovani imprenditori che hanno aperto bar e ristoranti, continua l’esodo di abitanti. Anche l’ultimo fruttivendolo ha chiuso. Abbiamo appreso di un piano per il rilancio del centro che affronta dal punto di vista commerciale la questione. Annunciata la possibilità di trasformare il Cinema Turreno anche in un’area di commercio e si rende possibile l’apertura di spazi per nuove attività di vendita di abbigliamento in altre aree del centro. Si crede che il problema centrale sia l’offerta commerciale? Non sono un esperto, lo riconosco, domando a chi esperto è: perchè il supermercato “storico”, il mercato coperto, non ha avuto successo e i diversi progetti di ristrutturazione non hanno avuto fortuna? Non sarà che il problema decisivo, anche per le attività di commercio, sia stato l’esodo di abitanti e di tutti i centri direzionali dall’acropoli? Senza una comunità che abita nei borghi e nella città “vecchia”, non servono a nulla nè gli eventi nè favorire l’arrivo di nuovi loghi al centro di Perugia. Intendiamoci. Molte delle iniziative culturali portate avanti dalle amministrazioni pubbliche o dalla vivace rete di organizzazioni culturali private, sono di eccellente qualità . Ma ciò se è molto apprezzabile, non è sufficiente. La stessa proposta commerciale del centro storico può essere riqualificata. Ma come? Potete immaginare un’abitante di Madonna Alta che viene a fare la spesa all’ex Cinema Turreno per acquistare gli stessi prodotti che si possono trovare nei cento supermercati sparsi da Bastia a Corciano? Senza una politica amministrativa di lungo respiro che consenta il ritorno di residenti, non c’è speranza d’invertire la tendenza al degrado. Una settimana fa è stato chiuso uno dei caffè storici di Perugia, il Caffè Turreno. E’ stato detto che si tratta di un’attività imprenditoriale che è andata male. Peccato. Per me, che ho frequentato quel luogo per cinquantadue anni, la cosa ha altro significato. Non sono il solo: chi pensa che il futuro di una comunità si costruisca anche attraverso la difesa dei luoghi della memoria collettiva, ritiene che la chiusura del Turreno non sia soltanto il fallimento di un’attività commerciale. Quel luogo rimanda a una storia della vita democratica della città che è sbagliato ricondurre alla sola sinistra comunista. In quel caffè ho incontrato cattolici e socialisti, ma anche chi non aveva alcuna affinità politica con i “rossi” trovava il modo di dare un consiglio, di suggerire un libro da leggere o di avvertire sulle cose sbagliate che la sinistra faceva. Renato Locchi ha ragione nel ricordare come fosse naturale interloquire con un grande intellettuale o offrire da bere al “capo” venuto da Roma. Quando Michele Gargiulo, il vecchio proprietario, ti guardava con rimprovero per un atteggiamento settario, abbassavi gli occhi e chiedevi scusa. Mario, il figlio, era il primo a leggere l’Unità , così sapevi subito qual’era la linea del partito. Quando arrivava Ilvano Rasimelli o Gino Galli, ascoltavi le loro argomentazioni e/o i loro scontri sulla “linea” di Togliatti o Berlinguer. Nelle tenzoni del sessantotto la cosa più normale era un tavolo dove sedeva un dirigente del PCI, un’extraparlamentare e un cattolico del dissenso che discutevano animatamente ma con il massimo rispetto. L’anarchico Brenno Tilli, una delle figure più creative di Perugia, fu convinto a votare per la prima volta nel 1970. Si votava per il primo consiglio regionale. Si poteva contribuire a eleggere Pietro Conti a presidente. Il nostro entusiasmo trascinò al voto anche il vecchio anarchico. Il primo luogo dove portavi il figlio era il Caffè Turreno. Un gelato da Michele era garantito. Episodi, piccole storie forse. La nostalgia è un fatto personale, ma quando Vittorio Gargiulio mi ha informato della chiusura, ho sentito che una storia era finita. Non sempre il nuovo che avanza è migliore del passato. Per questo la nostalgia diviene a volte una salutare medicina.
Corriere dell’Umbria 23 settembre 2012
da Francesco Mandarini | Set 24, 2012
Non esistono scorciatoie e le semplificazioni non servono. Il problema è come approfondire la conoscenza dei processi economici, sociali e culturali che hanno determinato lo stato del centro storico di Perugia. Forse più corretto sarebbe parlare dei problemi della città vecchia intesa come quel complesso dei borghi che supportano il centro. Con un’avvertenza: lo svuotamento dei centri storici è stato un lungo processo che ha riguardato gran parte dell’Italia e dell’Europa. Il modello di sviluppo incentrato sul trasporto privato e sulle aree “dedicateâ€, ha comportato una crescita che, anche quando non caotica (e non è il caso di Perugia), assegna ai centri storici principalmente la funzione di attrazione turistica e di “vetrine†commerciali per i grandi gruppi dell’industria della moda e di altri settori dell’economia di valenza nazionale o internazionale. Spazi per il piccolo commercio nelle aree pregiate della città ne rimangono pochi. Anche senza avere nessun pregiudizio ideologico, e non è il mio caso, nei confronti della rendita immobiliare non si può non intuire che il costo degli affitti per un’attività commerciale nella così detta acropoli, è tale da rendere problematica la sopravvivenza di chi non è in franchising. Una banale passeggiata per le strade che si congiungono a Corso Vannucci, e si ha l’impressione dell’impoverimento delle attività . Gli esperti pensano che il mercato sarà in grado di aggiustare il tutto: abbassandosi la domanda, il costo degli affitti si adeguerà . E’ possibile. Da molti anni, però, la quantità di locali vuoti è in aumento e i rentier non sembrano seguire le “leggi†del mercato. Di certo una questione di costo degli affitti c’è, ma non è l’unico problema. Un compagno carissimo, mi ha detto che in Porta Sant’Angelo vivono trentasei famiglie e il resto delle abitazioni o vuote o occupate da qualche studente italiano o straniero. Nella mia giovinezza in Corso Garibaldi i bambini erano così numerosi che si confrontavano due squadre di calcio giovanili e le strade erano piene delle loro grida. C’erano le sedi di diversi partiti e alla messa di Sant’Agostino, la domenica, i fedeli riempivano ogni spazio della chiesa. Nell’area del Carmine, Via della Viola, ecc., nonostante lo sforzo di giovani imprenditori che hanno aperto bar e ristoranti, continua l’esodo di abitanti. Anche l’ultimo fruttivendolo ha chiuso. Abbiamo appreso di un piano per il rilancio del centro che affronta dal punto di vista commerciale la questione. Annunciata la possibilità di trasformare il Cinema Turreno anche in un’area di commercio e si rende possibile l’apertura di spazi per nuove attività di vendita di abbigliamento in altre aree del centro. Si crede che il problema centrale sia l’offerta commerciale? Non sono un esperto, lo riconosco, domando a chi esperto è: perché il supermercato “storicoâ€, il mercato coperto, non ha avuto successo e i diversi progetti di ristrutturazione non hanno avuto fortuna? Non sarà che il problema decisivo, anche per le attività di commercio, sia stato l’esodo di abitanti e di tutti i centri direzionali dall’acropoli? Senza una comunità che abita nei borghi e nella città “vecchiaâ€, non servono a nulla né gli eventi né favorire l’arrivo di nuovi loghi al centro di Perugia. Intendiamoci. Molte delle iniziative culturali portate avanti dalle amministrazioni pubbliche o dalla vivace rete di organizzazioni culturali private, sono di eccellente qualità . Ma ciò se è molto apprezzabile, non è sufficiente. La stessa proposta commerciale del centro storico può essere riqualificata. Ma come? Potete immaginare un’abitante di Madonna Alta che viene a fare la spesa all’ex Cinema Turreno per acquistare gli stessi prodotti che si possono trovare nei cento supermercati sparsi da Bastia a Corciano? Senza una politica amministrativa di lungo respiro che consenta il ritorno di residenti, non c’è speranza d’invertire la tendenza al degrado. Una settimana fa è stato chiuso uno dei caffè storici di Perugia, il Caffè Turreno. E’ stato detto che si tratta di un’attività imprenditoriale che è andata male. Peccato. Per me, che ho frequentato quel luogo per cinquantadue anni, la cosa ha altro significato. Non sono il solo: chi pensa che il futuro di una comunità si costruisca anche attraverso la difesa dei luoghi della memoria collettiva, ritiene che la chiusura del Turreno non sia soltanto il fallimento di un’attività commerciale. Quel luogo rimanda a una storia della vita democratica della città che è sbagliato ricondurre alla sola sinistra comunista. In quel caffè ho incontrato cattolici e socialisti, ma anche chi non aveva alcuna affinità politica con i “rossi†trovava il modo di dare un consiglio, di suggerire un libro da leggere o di avvertire sulle cose sbagliate che la sinistra faceva. Renato Locchi ha ragione nel ricordare come fosse naturale interloquire con un grande intellettuale o offrire da bere al “capo†venuto da Roma. Quando Michele Gargiulo, il vecchio proprietario, ti guardava con rimprovero per un atteggiamento settario, abbassavi gli occhi e chiedevi scusa. Mario, il figlio, era il primo a leggere l’Unità , così sapevi subito qual’era la linea del partito. Quando arrivava Ilvano Rasimelli o Gino Galli, ascoltavi le loro argomentazioni e/o i loro scontri sulla “linea†di Togliatti o Berlinguer. Nelle tenzoni del sessantotto la cosa più normale era un tavolo dove sedeva un dirigente del PCI, un’extraparlamentare e un cattolico del dissenso che discutevano animatamente ma con il massimo rispetto. L’anarchico Brenno Tilli, una delle figure più creative di Perugia, fu convinto a votare per la prima volta nel 1970. Si votava per il primo consiglio regionale. Si poteva contribuire a eleggere Pietro Conti a presidente. Il nostro entusiasmo trascinò al voto anche il vecchio anarchico. Il primo luogo dove portavi il figlio era il Caffè Turreno. Un gelato da Michele era garantito. Episodi, piccole storie forse. La nostalgia è un fatto personale, ma quando Vittorio Gargiulio mi ha informato della chiusura, ho sentito che una storia era finita. Non sempre il nuovo che avanza è migliore del passato. Per questo la nostalgia diviene a volte una salutare medicina.
Corriere dell’Umbria 23 settembre 2012
da Francesco Mandarini | Lug 22, 2012
I conti non tornano. Da un lato non c’è giorno senza che una dichiarazione di qualche leader europeo o del fondo monetario internazionale, confermi l’affidabilità di Mario Monti e della giustezza delle scelte del governo italiano. Dall’altro lato lo spread tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi sale settimana dopo settimana. Abbiamo avuto l’ennesimo venerdì nero delle borse e il differenziale è arrivato a cinquecento punti. Siamo stati contagiati, dice Monti. Il motivo? L’incertezza della situazione politica dice il capo dei tecnici. I mercati temono che con le elezioni del prossimo anno prevalgano forze politiche incapaci di formare un governo rigoroso quanto lo è quello degli specialisti che ci governano. L’argomento è di quelli che suggeriscono qualche approfondimento. E’ già in atto una campagna di stampa dei grandi giornali che sposano la tesi del grande accordo tra i principali partiti come panacea che tranquillizzerà i mercati. Domanda: il governo Monti è retto da una coalizione composta da tutti i partiti meno Lega e Idv. Quello di Monti, risulterà il governo che ha prodotto più decreti legge e ha avuto più voti di fiducia. Il ruolo del parlamento è esclusivamente quello di votare tutto ciò che decidono a Palazzo Chigi. I partiti continuano nei loro contorcimenti, ma non sembrano in grado di disturbare Monti che, rigorosamente, continua nella sua strada incentrata sull’austerità e sui tagli alla spesa pubblica. Eppure lo spread è continuato a salire. Tecnicamente, qualcosa non funziona. Si temono le elezioni prossime venture, dicono. Anche prima delle elezioni francesi si sosteneva che la vittoria di Hollande avrebbe provocato problemi ai mercati. Non è successo. E le elezioni in Grecia? Se avesse vinto la sinistra, sarebbe stato il disastro. Ha vinto la destra e il disastro è avvenuto puntualmente. In Spagna ha vinto Mariano Rajoy del Partito Popolare ma non è servito a nulla. I capitali spagnoli hanno continuato a trasferirsi in Germania. Che il turbo capitalismo fosse indifferente alla democrazia è cosa nota da qualche tempo. L’incognita è se i popoli possono o no continuare a pretendere di scegliere liberamente i propri governanti o se lo stato di emergenza creato dalla speculazione finanziaria non consiglia la sospensione della democrazia. Non si vuole prendere atto che la crisi della politica non può che trascinare con sè il peggioramento della democrazia. E in Italia la crisi della politica sta raggiungendo limiti estremi. In parlamento esistono due maggioranze. La prima sostiene il governo Monti ed è composta dal Partito Democratico, dai Pidiellini e dai centristi attorno a Casini e Fini. Poi si è riformata l’alleanza Bossi-Berlusconi che serve a impedire la riforma della legge elettorale e a stravolgere la Carta Costituzionale. La rincorsa di Di Pietro alle argomentazioni del Grillo nazionale, l’attacco ripetuto al Quirinale del capo dell’Idv, non può che comportare l’impossibilità di un’alleanza elettorale con il Pd. Casini prende atto che Bersani è una brava persona con cui sarà possibile governare a patto che Vendola e compagni stiano da un’altra parte. I montiani interni ai democratici esultano. Non sembra lo stiano facendo coloro che si sono iscritti o votano i democratici, convinti che sia un partito in cui essere di sinistra non sia un reato. Con Sel il Pd ha conquistato Milano, Napoli, Genova, Bari, Cagliari, eccetera. E con Casini? Un comune nelle Marche? Non ricordo altro di rilevante.
Quanta confusione sotto il cielo della politica. Per fortuna c’è la Corte Costituzionale. Al venerdì nero delle borse va aggiunto il venerdì felice per la democrazia italiana. Quante volte a referendum approvato da maggioranze rilevanti, era seguita la truffa di leggi che andavano esattamente contro il risultato referendario? L’elenco sarebbe lungo. Il referendum del 12 e 13 giugno del 2011 verteva sulla privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici. Ventisette milioni d’italiani hanno votato per impedire questa possibilità . Referendum vinto alla grande. Il governo Berlusconi con una legge ha in sostanza annullato il risultato e, a seguire, Monti con il decreto “Salva Italia” ha proseguito nella stessa strada. Lui è un fissato delle privatizzazioni: il pubblico gli provoca allergie. La sentenza della Corte ha dichiarato incostituzionali i provvedimenti voluti dai suddetti primi ministri. L’acqua e altri beni pubblici non possono essere privatizzati obbligatoriamente. La decisione della Consulta non legittima certo la cattiva amministrazione di servizi pubblici. Anzi impone agli amministratori un rigoroso esame del loro funzionamento dei loro costi e dei loro benefici per i cittadini. Da questo punto di vista anche in Umbria c’è un lavoro da fare. L’innovazione non è preclusa dalla sentenza della Corte Costituzionale, è invece divenuta obbligatoria in tutte quelle gestioni pubbliche che risultano inadeguate rispetto alle possibilità offerte dall’avanzamento tecnologico e/o dall’offerta presente nel settore privato. Una revisione della spesa intelligente sarebbe opportuna in una regione che, in altre stagioni, ha saputo trovare la strada per risparmiare risorse e aumentare i servizi al cittadino. Non è cosa facile. Troppe le incrostazioni e le nicchie di privilegio consolidatesi nel tempo. E’ richiesto coraggio politico e determinazione. Sono tempi questi in cui galleggiare non si può. I marosi sono di tale intensità da richiedere un cambio di passo rispetto al già noto.
Corriere dell’Umbria 22 luglio 2012
da Francesco Mandarini | Lug 22, 2012
I conti non tornano. Da un lato non c’è giorno senza che una dichiarazione di qualche leader europeo o del fondo monetario internazionale, confermi l’affidabilità di Mario Monti e della giustezza delle scelte del governo italiano. Dall’altro lato lo spread tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi sale settimana dopo settimana. Abbiamo avuto l’ennesimo venerdì nero delle borse e il differenziale è arrivato a cinquecento punti. Siamo stati contagiati, dice Monti. Il motivo? L’incertezza della situazione politica dice il capo dei tecnici. I mercati temono che con le elezioni del prossimo anno prevalgano forze politiche incapaci di formare un governo rigoroso quanto lo è quello degli specialisti che ci governano. L’argomento è di quelli che suggeriscono qualche approfondimento. E’ già in atto una campagna di stampa dei grandi giornali che sposano la tesi del grande accordo tra i principali partiti come panacea che tranquillizzerà i mercati. Domanda: il governo Monti è retto da una coalizione composta da tutti i partiti meno Lega e Idv. Quello di Monti, risulterà il governo che ha prodotto più decreti legge e ha avuto più voti di fiducia. Il ruolo del parlamento è esclusivamente quello di votare tutto ciò che decidono a Palazzo Chigi. I partiti continuano nei loro contorcimenti, ma non sembrano in grado di disturbare Monti che, rigorosamente, continua nella sua strada incentrata sull’austerità e sui tagli alla spesa pubblica. Eppure lo spread è continuato a salire. Tecnicamente, qualcosa non funziona. Si temono le elezioni prossime venture, dicono. Anche prima delle elezioni francesi si sosteneva che la vittoria di Hollande avrebbe provocato problemi ai mercati. Non è successo. E le elezioni in Grecia? Se avesse vinto la sinistra, sarebbe stato il disastro. Ha vinto la destra e il disastro è avvenuto puntualmente. In Spagna ha vinto Mariano Rajoy del Partito Popolare ma non è servito a nulla. I capitali spagnoli hanno continuato a trasferirsi in Germania. Che il turbo capitalismo fosse indifferente alla democrazia è cosa nota da qualche tempo. L’incognita è se i popoli possono o no continuare a pretendere di scegliere liberamente i propri governanti o se lo stato di emergenza creato dalla speculazione finanziaria non consiglia la sospensione della democrazia. Non si vuole prendere atto che la crisi della politica non può che trascinare con sé il peggioramento della democrazia. E in Italia la crisi della politica sta raggiungendo limiti estremi. In parlamento esistono due maggioranze. La prima sostiene il governo Monti ed è composta dal Partito Democratico, dai Pidiellini e dai centristi attorno a Casini e Fini. Poi si è riformata l’alleanza Bossi-Berlusconi che serve a impedire la riforma della legge elettorale e a stravolgere la Carta Costituzionale. La rincorsa di Di Pietro alle argomentazioni del Grillo nazionale, l’attacco ripetuto al Quirinale del capo dell’Idv, non può che comportare l’impossibilità di un’alleanza elettorale con il Pd. Casini prende atto che Bersani è una brava persona con cui sarà possibile governare a patto che Vendola e compagni stiano da un’altra parte. I montiani interni ai democratici esultano. Non sembra lo stiano facendo coloro che si sono iscritti o votano i democratici, convinti che sia un partito in cui essere di sinistra non sia un reato. Con Sel il Pd ha conquistato Milano, Napoli, Genova, Bari, Cagliari, eccetera. E con Casini? Un comune nelle Marche? Non ricordo altro di rilevante.
Quanta confusione sotto il cielo della politica. Per fortuna c’è la Corte Costituzionale. Al venerdì nero delle borse va aggiunto il venerdì felice per la democrazia italiana. Quante volte a referendum approvato da maggioranze rilevanti, era seguita la truffa di leggi che andavano esattamente contro il risultato referendario? L’elenco sarebbe lungo. Il referendum del 12 e 13 giugno del 2011 verteva sulla privatizzazione dell’acqua e dei servizi pubblici. Ventisette milioni d’italiani hanno votato per impedire questa possibilità . Referendum vinto alla grande. Il governo Berlusconi con una legge ha in sostanza annullato il risultato e, a seguire, Monti con il decreto “Salva Italia†ha proseguito nella stessa strada. Lui è un fissato delle privatizzazioni: il pubblico gli provoca allergie. La sentenza della Corte ha dichiarato incostituzionali i provvedimenti voluti dai suddetti primi ministri. L’acqua e altri beni pubblici non possono essere privatizzati obbligatoriamente. La decisione della Consulta non legittima certo la cattiva amministrazione di servizi pubblici. Anzi impone agli amministratori un rigoroso esame del loro funzionamento dei loro costi e dei loro benefici per i cittadini. Da questo punto di vista anche in Umbria c’è un lavoro da fare. L’innovazione non è preclusa dalla sentenza della Corte Costituzionale, è invece divenuta obbligatoria in tutte quelle gestioni pubbliche che risultano inadeguate rispetto alle possibilità offerte dall’avanzamento tecnologico e/o dall’offerta presente nel settore privato. Una revisione della spesa intelligente sarebbe opportuna in una regione che, in altre stagioni, ha saputo trovare la strada per risparmiare risorse e aumentare i servizi al cittadino. Non è cosa facile. Troppe le incrostazioni e le nicchie di privilegio consolidatesi nel tempo. E’ richiesto coraggio politico e determinazione. Sono tempi questi in cui galleggiare non si può. I marosi sono di tale intensità da richiedere un cambio di passo rispetto al già noto.
Corriere dell’Umbria 22 luglio 2012