da Francesco Mandarini | Apr 5, 2014
Sono uno di quei “professori” che blocca da trent’anni le riforme costituzionali? — sorride Stefano Rodotà dopo avere appreso il giudizio del ministro per le riforme costituzionali Maria Elena Boschi – Credo che la ministra mi attribuisca una sensazione di onnipotenza che non corrisponde alla realtà dei fatti. Mi sembra inverosimile il fatto che i «professori», da soli, siano riusciti a bloccare le riforme di Craxi, Cossiga, Berlusconi o D’Alema. Chiunque abbia una minima nozione di storia sa che le riforme della bicamerale furono fatte cadere da Berlusconi. E quando quest’ultimo fece la sua riforma, fu respinto da 16 milioni di italiani con un referendum. Mi piacerebbe molto avere avuto la possibilità di esercitare un potere così radicale, ma questo non corrisponde allo stato dei fatti e dimostra che una politica incapace di effettuare riforme oggi cerca di rifugiarsi in questi argomenti».
Anche la ministra Boschi sostiene che lei nel 1985 ha proposto una riforma del Senato. Ha cambiato idea?
A parte il fatto che non c’è nulla di male nel cambiare idea, ma questo riferimento è del tutto inappropriato perché Renzi e Boschi dovrebbero sapere – e purtroppo non lo sanno – che la proposta presentata 29 anni fa dalla Sinistra Indipendente, con me Gianni Ferrara e Franco Bassanini, andava in senso opposto alla loro. Allora ci opponevamo al tentativo di Craxi di concentrare i poteri del governo, esattamente come vuole fare oggi Renzi.
In cosa consisteva quella riforma?
Intendeva rafforzare il parlamento e i diritti e aveva uno spirito che si ritrova nella sentenza della Corte Costituzionale sul «Porcellum» che non garantisce la rappresentanza. Avanzammo quella proposta quando c’era una legge elettorale proporzionale, i deputati venivano scelti con il voto di preferenza, i regolamenti riconoscevano un potere alle minoranze parlamentari, non c’erano ghigliottine né limiti agli emendamenti. L’ostruzionismo della sinistra indipendente fece cadere il decreto Craxi sulla scala mobile, da quell’esperienza nacque anche la commissione d’inchiesta sulla P2. In quel clima si voleva concentrare il massimo potere in una sola camera, rafforzandolo però con la sua massima rappresentanza. Proponevamo di ridurre a 500 i parlamentari, ma per avere un contraltare al governo. Cosa che invece Renzi non vuole con l’Italicum. Renzi e Boschi non sanno di cosa parlano. Denotano ignoranza istituzionale. È un fatto grave, oltre che moralmente una cattiva azione.
Il governo, e non solo, sostiene che la sua proposta sul Senato permetterà di risparmiare 1 miliardo di euro ai cittadini. Sembra una proposta allettante.
La trovo una concessione all’antipolitica. Si tratta di un argomento che può portare in qualsiasi direzione. Più che alla logica, risponde alla peggiore ricerca del consenso. Basterebbe la riduzione dei parlamentari e delle retribuzioni per ottenere questo risparmio senza rovinare gli equilibri costituzionali.
Ritiene che i renziani stiano reagendo all’appello che lei ha firmato insieme a Gustavo Zagrebelsky e altri giuristi contro la «svolta autoritaria» del governo?
Abbiamo ritenuto di introdurre con determinazione queste argomentazioni nel dibattito pubblico. Ma non ci viene data risposta e si attaccano le persone. Ancora in tempi recenti ci sono state un’infinità di proposte da parte dei «professori» a dimostrazione che sono del tutto alieni dal difendere o dal conservare. Su Il Manifesto c’è stata la proposta di Villone o di Azzariti, ad esempio. Vorrei anche ricordare che avevamo indicato una soluzione con la manifestazione della «Via Maestra» nell’ottobre 2013. Sull’articolo 138 e la modifica voluta dal governo Letta, abbiamo proposto di modificare il numero dei parlamentari e riformare il Senato, ma in un modo assai lontano dalla proposta attuale. Chiedevamo al governo Letta di iniziare subito. Se fosse stato seguito questo consiglio avremmo già una riduzione dei parlamentari e un Senato come camera delle garanzie che è assolutamente necessaria.
Cosa le rispose Letta?
Mi invitò a Palazzo Chigi, ne parlammo. Il risultato di quella conversazione fu il referendum confermativo sulle proposte di riforma. Per quanto criticabile fosse Letta, non aveva la posizione di chi procede come un rullo compressore. Io non mi voglio fare schiacciare e per questo alzo la voce.
Da quello che dice ci troviamo in una situazione peggiore della «legge truffa» proposta da Scelba nel 1953…
Rispetto all’Italicum, non la si dovrebbe più chiamare in questo modo. Anzi, quella era un modello di garanzia. Pensi che per contrastarla si usava l’argomento che non si poteva mettere nelle mani di maggioranze costruite artificialmente il destino delle istituzioni. Aggiungo, a beneficio di chi ci insulta, che quella legge non passò perchè alcuni professori come Calamandrei, Jemolo, Codignola, Parri, si riunirono nel gruppo «Unità popolare» e insieme ad altri la bloccarono. Oggi, invece, si consegna il destino della democrazia nelle mani di maggioranze costruite artificialmente. Quanto alla riforma del Senato non ha nulla a che vedere con le camere rappresentative delle autonomie locali come in Germania. È più che altro un’esercitazione da studenti che crea pasticci infiniti.
Che peso ha il patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi?
Questo patto è stato una scelta infausta. Viola il programma elettorale sul quale il Pd ha ricevuto milioni di voti.
Ma rispetta le intenzioni di Renzi…
C’è una bella differenza tra un programma elettorale e le primarie di un partito, che sono consultazioni importanti ma sono del tutto private. Quello di Renzi è un altro modo per delegittimare il voto e la volontà dei cittadini. Per legittimare un’impresa così grave è stata fatta un’alleanza con Berlusconi, esclusa dal programma del Pd.
La vostra battaglia è dunque contro le geometrie variabili delle larghe intese?
Non pensavo di essere eletto a presidente della Repubblica, ma quella candidatura era per cercare una maggioranza diversa dalle larghe intese che sarebbero state disastrose. Il fallimento di quelle intese hanno provocato gli esiti attuali e hanno cancellato l’impegno di Renzi sul reddito ai lavoratori o sulle unioni civili.
Dopo gli appelli organizzerete una mobilitazione?
Vediamo. Non corriamo troppo. L’appello era un passo necessario e non saranno gli insulti a fermarci. Le reazioni cominciano ad emergere: ci sono i 22 senatori del Pd che hanno presentato un’eccellente proposta. Non voglio prendermi meriti, ma credo che esprimano un minimo di ragionevolezza.
intervista al Manifesto del 5 aprile 2014
da Francesco Mandarini | Mar 29, 2014
Domani, 30 marzo, Pietro Ingrao compie 99 anni. Questo è il messaggio di auguri del presidente del CRS Mario Tronti.
99 anni. La quercia Ingrao sfida le intemperie del tempo. I venti della storia, o meglio della cronaca, spirano in senso contrario a tutto quanto Pietro Ingrao ha depositato nel suo pensare e nel suo agire. Pensiero e azione che si riscoprono andando a riprendere il suo passato che non passa: come documentano gli scritti e gli atti, che riemergono dall’Archivio Ingrao, gelosamente custodito dalla Fondazione Crs. I testi delle sue Carte, tematicamente raccolti dal prezioso lavoro intrapreso da Maria Luisa Boccia e da Alberto Olivetti, tornano a circolare, a interrogare, a far discutere. Tornano a ricordare che da quella postazione, e su quella strada, un’altra storia sarebbe stata possibile per questo Paese e per l’Europa.
La quercia Ingrao tuttora ci protegge. E ci rassicura che quelle solide radici niente e nessuno potrà mai sradicare. Esse affondano in una storia più grande, lunga, contrastata e gloriosa, cha va al di là di ognuno di noi, che non è finita, è forse solo interrotta. Riprendere quel filo, riannodarlo alle nuove generazioni, riadattarlo ai tempi nuovi, ai nuovi bisogni, a nuovi soggetti, questo è il compito che il pensiero vissuto di Pietro ci lascia. La sua lunga vita di combattente non domato è un evento simbolico da prendere come modello. L’idea comunista è dura a morire. Questo ci dicono questi novantanove anni. Non sappiamo come e non sappiamo quando: ma l’esistenza di Pietro afferma che, con questa idea, ci dovranno ancora fare i conti i padroni del mondo. Malgrado tutti gli smemorati che sono corsi al loro seguito.
Mario Tronti
da Francesco Mandarini | Mar 29, 2014
La storia economica (dopo la crisi del ’29), e la teoria economica moderna (cioè la Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta di J.M. Keynes, del ’36), mostrano e dimostrano che la vecchia teoria economica (la teoria neoclassica dei primi anni del Novecento, ma ancora oggi egemone) non fornisce ricette efficaci per i nostri problemi. Il livello dell’occupazione non si determina sul mercato del lavoro: il mercato del lavoro non è come il mercato del pesce.
Il prezzo e la quantità del pesce venduto e comperato è determinato dall’incontro tra domanda e offerta, dove è bene che non vi siano impedimenti artificiali; mentre una maggiore “flessibilità” del mercato del lavoro, che non è una merce come le altre, si traduce in più bassi salari e dunque in un aumento dei profitti e delle rendite, ma non anche in maggiore occupazione.
Tuttavia nella premessa al decreto sul Jobs Act (chi sa perché in americano) si dice: «Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di semplificare le modalità attraverso cui viene favorito l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro ecc.».
Perché non si studia un po’ di più?
Condizione necessaria affinché cresca l’occupazione (condizione sì necessaria ma oggi non anche sufficiente) è invece che cresca la produzione. Su questo punto c’è ormai ampio consenso, anche se da più di dieci anni si era già avvertito che il problema dell’economia italiana è un problema di crescita; però si indica soltanto nei vincoli europei l’impedimento a una maggiore spesa pubblica; e si invocano provvedimenti quali la beneficenza e i tagli delle prebende come possibile soluzione. Beneficenza e tagli sacrosanti, ma conditi con la demagogia della solidarietà e dell’equità.
Iniqua è invece la distribuzione del reddito oggi in Italia, e questa è una delle cause della crisi. Tuttavia l’aliquota marginale massima dell’Irpef è oggi pari al 43% per i redditi oltre i 75 mila euro, mentre è noto a tutti che molti e di molto sono i redditi più elevati: il 5% dei contribuenti più ricchi concentra il 22,7% del reddito complessivo; e tuttavia l’elusione e l’evasione fiscale non vengono combattute con gli strumenti che in realtà sono disponibili.
Secondo il sobrio articolo 53 della Costituzione: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
Perché non si rispetta la Costituzione?
dal Manifesto Giorgio LUNGHINI
da Francesco Mandarini | Mar 26, 2014
Le prossime elezioni europee saranno un momento importante per decidere quale tipo di Europa vogliamo. Si scontreranno infatti due concezioni entrambe inaccettabili. Da un lato quella fondata sull’austerità e sul rigore finanziario che ha dominato la politica europea in tempo di crisi, determinando una grave recessione e il drammatico impoverimento di interi Paesi e di ampi settori della società. E’ stata una politica miope, asservita alle esigenze dei mercati finanziari, quegli stessi che sono stati all’origine della crisi, che ha prodotto crescenti disuguaglianze sociali, una disoccupazione ormai insostenibile (che colpisce 27 milioni di persone), e ha assestato duri colpi al Welfare europeo e alle istituzioni democratiche della stessa Unione Europea e dei Paesi sottoposti al controllo della Troika (Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale, Commissione europea). D’altro lato vi è la concezione antieuropeista di chi propone l’uscita dall’euro, il superamento dell’Unione, il ritorno ad un nazionalismo chiuso ed egoistico. Si tratta di una posizione conservatrice e di destra, che è stata alimentata dalla politica di austerità, ma che non è in grado di dare nessuna risposta seria per uscire dalla crisi e anzi propone soluzioni demagogiche che aggraverebbero la situazione di alcuni Paesi, compresa l’Italia.
Occorre sfuggire all’alternativa tra due posizioni entrambe inaccettabili e che convergono nel mettere in crisi l’idea stessa di un’Europa unita. Occorre tornare all’idea dei padri fondatori che immaginavano un’Europa sociale e democratica, fondata sulla garanzia dei diritti civili e sociali, la pari dignità, la protezione delle fasce più deboli, la valorizzazione di un patrimonio artistico e culturale che non ha eguali al mondo. Alle prossime elezioni questo è possibile perché fra le due concezioni distruttive dell’Europa esiste una terza via, rappresentata dalla lista “L’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS”, nata da un appello di intellettuali europeisti, che propone come candidato alla presidenza della Commissione europea Alexis Tsipras, il giovane leader del partito Syriza che i sondaggi danno oggi come primo partito della Grecia. Il programma lanciato da Tsipras propone un’Europa più solidale, che aiuti i Paesi in maggiore difficoltà e le fasce sociali più colpite dalla crisi, l’abbandono della austerità per sostenere una politica di rilancio e di investimenti, rispettosa dell’ambiente e della dignità delle persone, una Unione più democratica che dia maggiore forza al Parlamento europeo e alla volontà politica manifestata dai cittadini europei. E’ questa una prospettiva che non accetta subalternità e compromessi al ribasso come quelli che hanno caratterizzato negli anni della crisi la politica europea di molti partiti socialdemocratici e in Italia del PD. Il successo de “L’altra Europa” rappresenta l’unica via per proporre una politica diversa e innovativa con la quale i partiti socialisti e democratico-progressisti siano costretti a misurarsi. Per questa ragione invitiamo quanti sono critici verso l’attuale politica europea di austerità e di recessione, ma non vogliono ricadere nelle spire di quel nazionalismo statalistico che ha prodotto due guerre mondiali, di votare alle prossime elezioni europee per “L’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS”.
da Francesco Mandarini | Gen 21, 2014
I Berluscones e i Berluschinis hanno fatto l’accordo. Finalmente dopo la catastrofe democratica provocata dalla legge porcata imposta dal centrodestra di proprietà di Berlusconi avremo una nuova legge elettorale. Il Berlusconi, dopo essere stato espulso dal Senato della Repubblica, ha scoperto affinità elettive con il prode Renzi: sindaco di Firenze e super votato alle primarie del PD che, come è noto,lo hanno incoronato segretario del solido Partito democratico. Profonda consonanza con Forza Italia nella “riforma” della Costituzione e in quella della legge elettorale, ha dichiarato Renzi. Ottimo e abbondante il tutto. Non c’è da meravigliarsi più di tanto. Ci troviamo di fronte a personaggi che hanno molto in comune. Uno ha dominato la scena politica italiana per venti anni ed è stato capace di tener fede al suo essere Unto dal Signore: chi altri avrebbe potuto resistere agli attacchi concentrici di magistratura, comunisti e l’odiosa stampa nazionale ed estera? E’ vero che alla fine è diventato un pregiudicato in attesa di sapere se andrà agli arresti domiciliari o ai servizi sociali, ma la cosa in Italia non ha importanza, Lui rimane il leader massimo della destra italiana e quindi l’interlocutore privilegiato del Capo assoluto del PD. Se non è un miracolo questo, che cosa è? Da parte sua il Renzi non ha dichiarato di essere ancora Unto dal Signore, ma è sulla buona strada. Non ha soltanto resuscitato un morto “politico” ma rischia di farlo diventare un Padre della Patria. Nel pantheon dei costituenti la Repubblica accanto a De Gasperi,Togliatti, Calamandrei, Terracini, Moro ecc…ecc. ci sarà Lui, presidente dell’A.C.Milan, noto nel mondo per la passione del cabaret fatto in casa e per aver portato l’Italia al tracollo finanziario. Per intanto, anche Renzi sembra che abbia ottenuto la proprietà piena del partito. A differenza di Berlusconi non lo ha comperato con i propri danari, ma attraverso un voto popolare. Ci assicura il sindaco che quei due milioni di voti ottenuti alle primarie volevano la fine della contesa con la destra berlusconiana. E’ difficile contestare la sua tesi e anche se c’è chi sostiene che immaginare di riformare l’Italia con chi ha contribuito a renderla un Paese alla deriva sembrerebbe problematico. Ma quello che sostiene il Capo era da tempo indiscutibile per la destra adesso lo è anche per il centrosinistra. Certo per chi ha una certa età può meravigliare un segretario di un partito che si auto definisce democratico, che dichiara nella direzione e nei gruppi parlamentari che una proposta da Lui fatta deve essere accettata senza se e senza ma altrimenti tutti a casa, ma è una meraviglia arcaica da rottamare. Il Verbo non si discute. Anche Lui, inteso come il sindaco-segretario, risponde soltanto al popolo che lo ha votato. Renzi vuole abolire il senato e le province per risparmiare. Fa benissimo. Forse potrebbe iniziare a risparmiare eliminando la direzione del PD, tanto sembra un organismo inutile come un frigorifero al polo nord. Un uomo solo al comando non ha bisogno di perdere tempo in oziose discussioni. Possiamo stare comunque tranquilli: i prossimi parlamentari continueranno ad essere nominati dai segretari dei partiti, ma adesso i capi partito sono altra cosa rispetto al passato. Vuoi mettere il Renzi con i vecchi segretari del PD.
da Francesco Mandarini | Gen 3, 2014
Con l’urgenza derivante da un situazione politica e sociale da brividi, il segretario Renzi ha fatto conoscere le sue idee rispetto alla inevititabile modifica della legge elettorale porcata imposta a maggioranza dalla destra berlusconiana otto anni or sono, Soltanto dopo la sentenza della Corte costituzionale il ceto politico ha capito che deve riformare il sistema elettorale. Quale è lo scopo delle elezioni? Consentire ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti in parlamento secondo i valori e le esigenze concrete di ciascuno e contribuire a scegliere un governo, Quindi ci vuole una legge elettorale che consenta questo bisogno di essere rappresentati e favorisce nel contempo aggregazioni per il governo del Paese. Sommessamente sottolineo che nessuna delle tre ipotesi formulate da Renzi soddisfa entrambe le esigenze. Il “Mattarellum”, riformato con un premio di maggioranza, conserva alle segreterie nazionali dei partiti la scelta degli eletti. Chi sceglie chi candidare nei collegi? Le segreterie nazionali. Questo è stato il meccanismo che ha consentito, ad esempio, a Di Pietro (abruzzese) di essere eletto nel collegio del Mugello “rosso” (Toscana) o al prode Adornato di ottenere il posto in parlamento con l’elezione nel collegio di Perugia dove, ne sono testimone, era un perfetto sconosciuto. Nelle segrete stanze romane di compensazione si decidevano i collegi da assegnare di là da ogni considerazione dei rapporti del candidato con il territorio. Utile sarebbe per Renzi rileggere ciò che intellettuali e opinion maker dicevano del “Mattarellum” vigente. Eleggere il sindaco d’Italia? A mia conoscenza soltanto in Israele si elegge il primo ministro. Posso essere in torto ma in tutte le democrazie evolute il capo del governo è eletto dal parlamento. La nostra carta costituzionale prevede appunto che l’incarico di capo del governo è dato dal presidente della repubblica e soltanto dopo la fiducia del parlamento il governo assume pieni poteri. Il sistema spagnolo dei piccoli collegi? Se si vuole il bipartitismo e non il bipolarismo la scelta è giusta ma il criterio della rappresentanza viene a cadere completamente. La democrazia italiana è malata e molti sono i segnali che ci dicono che sta montando nel popolo l’idea dell’uomo solo al comando sia la risposta alla decadenza dei partiti, Purtroppo nella nostra storia ne abbiamo fatto esperienza prima con il ventennio mussoliniano poi con il ventennio berlusconiano. Dalla tragedia alla farsa.