Domanda: è più grave “l’esproprio proletario” compiuto da un gruppo di
giovani romani in una libreria ed un supermercato romano o “l’esproprio
proprietario” teorizzato da Berlusconi quando ha definito morale l’evasione
fiscale se le tasse sono considerate troppo alte?
Le reazioni alla vicenda dei “Disobbedienti” romani sono state praticamente
concordi. Anche la sinistra radicale, Bertinotti in testa, ha giudicato sbagliata e
inammissibile la forma di lotta dell’esproprio. Le opposizioni alla dichiarazione
del cavaliere non hanno avuto la stessa unanimità . E si capisce il perchè. La
questione del peso fiscale è tutta affrontata con un’ottica liberista. I riformisti
dell’Ulivo accusano Berlusconi di non rispettare gli impegni presi nel boudoir di
Porta a Porta. E hanno ragione, ma non basta per chiarire alla gente quello che
il centrosinistra vorrebbe fare nel campo del rapporto tra cittadino e Stato.
Rutelli e amici non spiegano a sufficienza che, nella attuale situazione delle
finanze pubbliche, diminuire le tasse non può che significare il taglio dei servizi
pubblici essenziali.
Considerare quella di Berlusconi una boutade è una sciocchezza. Sono alcuni
decenni che la gente viene subissata da messaggi che valorizzano le idee
liberiste. Meno Stato e più mercato è divenuto senso comune anche tra il
popolo del centrosinistra? Una verifica sarebbe utile e servirebbe a capire su
quale terreno si può sconfiggere il centrodestra. La vittoria di G.W.Bush
dovrebbe insegnare qualcosa anche alle forze politiche alternative al
berlusconismo.
Sarebbe utile intanto chiamare le cose con il loro nome e cognome:la vittoria
dei neoconservatori americani è avvenuta grazie ad un’ondata reazionaria
molto radicale. Non è stato conquistato il centro politico che è una vera e
propria illusione ottica di tanti leader italiani. Con un lavoro scientifico e con
molti dollari, si sono mobilitate tutte le forze conservatrici dell’America
profonda. Lo strumento più efficace non è stato il possesso dei grandi mass
media, ma la propaganda casa per casa e la conquista attraverso donazioni
finanziarie e slogan semplici e ripetuti ossessivamente in tutta la vasta rete
della composita religiosità del popolo americano. Le forze della conservazione
USA sono composte da fondamentalismo religioso, brutali egoismi proprietari e
principalmente visioni del mondo che non accolgono i diversi da loro. Un
integralismo totale e aggressivo. Valori forti è stato detto. Disvalori andrebbero
chiamati dalla sinistra. Gli scienziati della politica americani sostengono che
Bush ha vinto perchè è riuscito a mobilitare tutti i “bonding group”, cioè tutti
quei gruppi che si riconoscono in una identità religiosa o in forme identitarie
basate su valori condivisi e non mediabili. La destra è riuscita a mettere in
campo tutte le sue forze mentre il partito democratico non è stato capace nè di
proporre visioni della società alternative nè di portare al voto tutti coloro che
per condizione sociale e per sensibilità ideali potevano votare Kerry. E’ stato
enfatizzato con qualche ragione l’aumento dei votanti, ma non va dimenticato
che anche questa volta una parte consistente dell’elettorato, il quarantadue per
cento, non ha votato. Molti sostengono che ciò è dovuto alla scarsa radicalità
della campagna elettorale dei democratici e certamente Kerry non è apparso
portatore di un’alternativa credibile a Bush. Ma forse la causa va ricercata in
qualcosa di più profondo e strutturale. I repubblicani hanno costruito negli anni
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un partito articolato in tutto il territorio americano. Un partito pesante si
potrebbe dire con parole d’ordine semplici: Dio,Patria e Famiglia.
Invece, i democratici a poco a poco sono diventati un comitato elettorale che si
attiva soltanto per le elezioni senza radici organizzate in modo permanente e
con una visione debole della società e dell’individuo.
Il centrosinistra italiano può trarre una lezione da tutto ciò?
L’Italia non è l’America, Berlusconi non è Bush e la religiosità in Italia non ha
l’integralismo di quella dominante in USA. Ma è pur vero che il centrosinistra
italiano non riesce ad esprimere valori forti. Un esempio: è possibile che i
leader e gli intellettuali dell’Ulivo non si siano ancora accorti che in Italia è
diventata ormai intollerabile la questione della qualità del lavoro?
Anche nella nostra regione non c’è famiglia che non abbia un giovane o una
giovane disoccupata o occupata in modo precario. Per le famiglie del ceto
medio basso avere un giovane con un lavoro precario significa anche un forte
disagio economico. Ma anche la famiglia benestante soffre dell’insicurezza del
futuro dei figli. Non è tempo di proporre con forza il valore dei diritti del lavoro?
Sarebbe questo un valore troppo radicale che spaventa i moderati o ponendo
la questione si allargherebbe il fronte del consenso al centrosinistra?
Altro esempio. Un consigliere di Forza Italia, Francesco Calabrese, ha
lamentato il fatto che l’assemblea comunale conta poco nelle scelte
amministrative. Non è stato votato, per incompetenza formale, il programma
del sindaco e il consigliere si è adirato.
A torto. L’attuale sistema istituzionale assegna al primo cittadino la
responsabilità praticamente esclusiva dell’amministrazione e quindi il
programma è del sindaco e non del consiglio comunale. Non ci piove, i compiti
dell’assemblea sono residuali. E’ una forma democratica che privilegia la
governabilità versus la rappresentanza. Scelta la forma dell’elezione diretta la
strada è fissata e non ci si può lamentare delle conseguenze. E’ questa una
forma di democrazia partecipata? Arduo sostenerlo In caso contrario non è
tempo che la sinistra riscopra il valore della democrazia come partecipazione?
Si capisce che il galleggiare è più semplice, ma è anche poco attraente.
Corriere dell’Umbria 14 novembre 2004