Perfetto. Bersani ha annunciato che il PD non intende partecipare al cabaret della politica e quindi la campagna elettorale del maggior partito del centrosinistra sarà incentrata sui problemi del Paese e non sulla ricerca degli effetti speciali che i talk show possono produrre. E’ provato da ogni statistica che il popolo italiano legge poco i giornali e ancor meno i libri. La formazione delle idee e delle scelte politiche dipende molto, c’è chi sostiene esclusivamente, dalla presenza televisiva dei leader e dei leaderini dei partiti e dei movimenti. Particolarità, un’altra, del nostro Paese è stata quella di aver trasformato il dibattito politico in uno spettacolo di guitti. Responsabilità primaria dell’imbarbarimento è stata del berlusconismo, ma alla costruzione di questo modo di discutere di politica ha partecipato per un ventennio anche il fior fiore degli uomini e delle donne anche del centrosinistra. La scomparsa dei partiti di massa come luogo di formazione e di acculturazione del popolo ha dato un enorme spazio a imbonitori di tutti i colori, sempre alla ricerca del palcoscenico televisivo dove esprimersi spesso urlando e insultando l’avversario e raramente producendo idee non banali. Slogan e battute a effetto sono ormai insopportabili per i più, ha ragione Bersani. La speranza è che questa campagna elettorale rappresenti una svolta e che i partiti riescano a farsi capire dall’elettorato. C’è bisogno di rendere chiaro ciò che si vuol fare per invertire la tendenza recessiva di un Paese che rimane a rischio collasso. I dati dell’ultimo bollettino della Banca d’Italia non lasciano dubbi rispetto alle prospettive negative per i livelli occupazionali e per i vincoli alla ripresa. Secondo la Confindustria, dall’inizio della crisi del 2008 al dicembre 2012, la produzione industriale si è ridotta del venticinque per cento. Cioè l’Italia ha perduto un quarto della capacità produttiva. Non vogliamo chiamarla depressione in atto? Tra disoccupati e cassa integrati siamo attorno ai tre milioni e duecentomila di donne e uomini senza lavoro. Oltre il trentasette per cento dei giovani sono disoccupati. Tra chi lavora almeno un quarto ha un’occupazione precaria. Basta così? Forse più che di generiche agende professorali c’è bisogno di capire perché l’Italia è così ridotta. La responsabilità non può essere imputata al governo Monti. La situazione ereditata era quella che era e il rischio del collasso del debito era nelle cose. Responsabilità di Monti è stata quella di proseguire nelle politiche di austerità imposte dall’Europa e portate avanti da Tremonti. Tra il 2011 e il 2012 il governo Berlusconi e quello di Monti hanno imposto cinque manovre fiscali per un totale di tagli per 120 miliardi di Euro. Un salasso all’economia reale di dimensioni epocali. La Banca d’Italia, ma anche il Fondo Monetario, sostiene che le politiche di riduzione del deficit e del debito pubblico non possono funzionare in mancanza di scelte politiche di sviluppo. Che ne pensa al riguardo Bersani e il centrosinistra? Il rispetto dei vincoli comunitari non impedisce un confronto anche aspro per modificare le linee guida delle burocrazie europee e della Germania. Le politiche di austerità non hanno funzionato. Sono l’esatto contrario di quanto sta avvenendo nell’economia americana che notoriamente non è guidata da estremisti alla Vendola. D’altra parte, non c’è bisogno di essere massimalisti comunisti per capire che senza rinsanguare l’economia reale anche il debito pubblico non potrà che crescere e lo scempio del già fragile welfare state italiano non potrà che rendere precaria la tenuta sociale di un Paese già stremato. Senza produrre un nuovo sviluppo. In Italia non c’è un eccesso di spesa pubblica rispetto ad altri Paesi europei. Purtroppo la nostra è in parte consistente, inefficiente a causa di apparati burocratici spesso inadeguati e improduttivi. La riconversione della spesa e della burocrazia pubblica sarà questione primaria del governo che verrà? Difficile esserne sicuri. Le esperienze passate non sono rassicuranti. La riforma che va sotto il nome dell’onorevole Bassanini ha prodotto una burocrazia dirigenziale molto ben pagata, spesso inamovibile ma non sempre efficace e all’altezza dei compiti da svolgere. Rendere l’apparato pubblico più efficiente significa valorizzare le molte intelligenze presenti nelle strutture pubbliche e investire nelle tecnologie capaci di rendere il rapporto con il cittadino più semplice. L’ideologia dominante è quella che assegna allo Stato un ruolo marginale a vantaggio di un libero mercato senza lacci e laccioli. Basta studiare qualche statistica e si scopre l’inganno. Esemplare quanto succede per la spesa sanitaria nel mondo. Le statistiche dell’organizzazione mondiale della sanità dimostrano che i Paesi a gestione pubblica sostengono una spesa enormemente inferiore a quelli a sanità privata. Il centrosinistra vuol continuare con le scelte del governo Monti di taglio alla sanità pubblica o s’impegna a renderla più efficace, conservando però il diritto alla salute previsto dalla carta Costituzionale? Quali le scelte per produrre nuovo lavoro? Le grandi opere o l’opzione di creare lavoro con interventi diffusi nel territorio a risanamento ambientale? Grandi opere o rendere le fatiscenti scuole pubbliche adeguate in sicurezza e creando spazi adatti ai giovani studenti? Senza modificare il fallimentare modello di sviluppo prevalente in questi decenni il riformismo nostrano rischia di fallire la nuova prova di governo del Paese.
Corriere dell’Umbria 20 gennaio 2013