Il mondo della politica è stato sotto stress per la questione dell’election day. Il problema sul tavolo era se votare il 7 giugno alle elezioni europee oltre che per le amministrative, anche per il referendum voluto dall’eroico Mario Segni e da eminenti tifosi del sistema politico bipartitico, all’americana. Furbescamente i promotori del referendum hanno strumentalizzato la giusta ripulsa popolare per la legge elettorale vigente che, come è noto, ha estorto ai cittadini la possibilità di contribuire alla scelta dei propri rappresentanti. Una schifezza antidemocratica i cui frutti sono un Parlamento composto da clientes dei potenti dei partiti di cartapesta che segnano l’attuale fase della storia della Repubblica. Una legge che molti costituzionalisti ritengono in conflitto con i vincoli della rappresentanza scritti nella Costituzione vigente ma che per ignavia di molti è stata promulgata. E’la legge che ha consentito il trionfo di Berlusconi. Votare lo stesso giorno significa il risparmio di circa 400 milioni di Euro che di questi tempi non sono proprio noccioline. Alla faccia di ogni criterio di buona amministrazione, il governo ha deciso che per il referendum si voterà il 21 giugno. La Lega ha confermato il suo potere di veto e il Presidente Fini ha preso una bella sberla. Che cosa dicono i quesiti del referendum? Quali le conseguenze se vincesse il sì? Il quesito fondamentale comporta l’assegnazione del premio di maggioranza al partito che prende un voto in più degli altri. Cioè teoricamente un partito che prende il 25% dei voti (o anche meno) potrà contare sul 53,9% dei seggi della Camera e il 55% degli scranni del Senato. Potranno gli elettori scegliere i propri rappresentanti? No. Le liste rimangono bloccate e quindi permane il meccanismo della nomina e non della scelta degli elettori. I deputati e senatori non rappresentanti del popolo ma del Capo maximo. Una vera ignominia che consentirebbe ad una minoranza di governare il Paese e volendo, modificare la Carta Costituzionale a suo piacimento. Un capolavoro di democrazia pensato da quegli geni promotori del referendum che peggiorerebbe ulteriormente la già ignobile Legge vigente. Sono gli stessi che, periodicamente, si inventano un referendum sulle leggi elettorali che, quando approvati, hanno prodotto quei mutamenti del sistema politico su cui è cresciuto il berlusconismo. In nome dell’ideologia del leaderismo si è svuotata alla radice la qualità della democrazia italiana. Un’avventura che ha trovato nel centrosinistra una sponda forte.
Ricordate Rutelli che sognava un sistema elettorale in cui il popolo era chiamato ad eleggere il Sindaco d’Italia? Gli italiani anche non votandolo direttamente hanno scelto il loro sindaco: un uomo solo al comando, è Berlusconi. Il resto è deserto. Chi può dimenticare il partito a vocazione maggioritaria che rifiutava accordi con la sinistra ma non con Di Pietro? Il PDL non ha soltanto la vocazione ma sta diventando maggioritario e se il sì vince, governerà il Paese senza alcun bisogno di alleati. Se queste sono le prospettive, meraviglia la tesi di D’Alema di votare Sì al referendum per scardinare l’attuale sistema elettorale. Con quali forze se nel suo partito permane una visione presidenzialista del sistema politico oltre che composto da leader che sembrano più feudatari che espressione di una visione collettiva dell’agire politico? D’Alema si batte non da oggi per un sistema elettorale alla tedesca. Un sistema con sbarramento, senza premi di maggioranza e con la preferenza nella scelta del candidato. D’Alema riconosce che per uscire dal pantano, bisogna ricostruire partiti radicati nel territorio e tra le forze sociali. Partiti in grado di combattere l’antipolitica della destra e di un certo tipo di sinistra. D’Alema prende atto che la fantastica trovata del partito leggero ha prodotto più danni alla democrazia di una grandinata a primavera nelle culture. Il leader della Fondazione “Italiani-Europei”, sostiene che bisogna ricostruire un percorso diverso. Comprendendo che la destra ha conquistato un’egemonia culturale tra le masse popolari anche per l’incapacità del centrosinistra di avere una visione complessiva dell’Italia moderna l’emergenza diviene quella di attrezzarsi per andare oltre l’amalgama non riuscito dei DS e Margherita. Un partito senza anima non sarà mai in grado di modificare il senso comune che diffusamente vede in Berlusconi l’unico leader capace di salvare il Paese dal disastro economico, dal terremoto o dalla crisi del calcio italiano. Le prossime elezioni saranno interessanti per verificare quanto l’iper presenzialismo del Cavaliere è apprezzato e quanto PD e sinistra riescono a rappresentare del Paese. Il voto per le Europee è importante anche per questo. Interessante sarà verificare in Umbria la tenuta del sistema pluriennale del potere del centrosinistra. Sembrerebbe che le candidature più rilevanti siano già state decise e pochi ancora i punti di contrasto nel PD. A quanto risulta il PRC si ritiene soddisfatto e la coalizione non dovrebbe riservare troppe sorprese nella distribuzione degli incarichi. Gli organigrammi sono quasi fatti. Siamo ad aprile, le elezioni sono a giugno, ma nelle mura di Perugia, e non solo, si affiggono i primi manifesti con le facce dei candidati. Sono facce già più o meno note. I soliti noti si potrebbe dire. Ma, ci assicurano, è questo che passa il convento del ceto politico in campo. Non sappiamo molto dei programmi e ci aspettiamo di essere invitati a molti party politici durante la campagna elettorale. Abbiamo la certezza che non saremo impegnati in grandi dibattiti. L’iniziativa politica è da mesi tutta tesa a risolvere i problemi di collocazione dei vari leader. Bisogna capirlo, c’è stato poco tempo per approfondire sia i programmi che l’impatto della crisi nell’economia e nella società umbra. Quisquilie, l’importante è elaborare sfiziosi manifesti e inventarsi buoni slogan elettorali e prevedere ottimi menù per le cene elettorali. Il centrosinistra spera nel cemento dell’antiberlusconismo, il centrodestra scommette tutto sui valori del berlusconismo. Pazienza.