Sembra passato un secolo e invece era il 2010 quando il geniale Marchionne annunciava il progetto di “Fabbrica Italia” per la FIAT del futuro. Grazie a questa promessa, ottenne la fine del contratto nazionale e impose ai suoi dipendenti l’accettazione di clausole contrattuali capestro. Espulsa la Fiom dalle rappresentanze sindacali ammesse in fabbrica, la FIAT usci dalla Confindustria. Compatti come mai prima, i dirigenti del partito democratico apprezzarono la modernità della proposta dell’uomo venuto dal Canada e residente in Svizzera. Fassino entusiasta, Chiamparino con burbera certezza apprezzò l’investimento promesso di venti miliardi. E Renzi? Con Marchionne senza se e senza ma, dichiarò dall’alto della sua provata competenza in materia. Al governo c’era Sacconi che si spericolò nell’appoggio a CISL e UIL firmatarie di accordi separati con la FIAT. Bisognava isolare quegli estremisti della FIOM se si volevano gli investimenti. Tra i lavoratori, la FIOM non è stata isolata mentre il progetto “Fabbrica Italia”, si è dissolto come neve al sole. Bonanni è confuso, smarrito. Fassino e Renzi riflettono e tacciono. La crisi dell’auto è di tale dimensione da rendere l’investimento promesso e illustrato da una campagna pubblicitaria che utilizzò tutti i mezzi, rischioso. Per questo non va più bene agli azionisti FIAT. La famiglia Agnelli ha intenzione d’investire in Italia soltanto per rafforzare la sua squadra di calcio. I tifosi della Juventus possono stare tranquilli a differenze delle migliaia di lavoratori che producono le FIAT. Che la crisi dell’auto sia cosa seria è indubbio ma il luminare canadese, residente in Svizzera, dovrebbe spiegare perchè la sua azienda ha i risultati peggiori in tutta Europa e continua a perdere quote di mercato. Non sarà che la scelta di non produrre nuovi modelli, come hanno fatto tutte gli altri concorrenti, sia stata una scelta suicida? Assieme ad altri economisti, lo sostiene Romiti ex amministratore delegato della FIAT. E il governo dei professori che dice? Nello stesso giorno dell’annuncio di Marchionne, il presidente del consiglio ha ritenuto saggio indicare in alcuni articoli dello Statuto dei Lavoratori le ragioni della mancata crescita dell’occupazione in Italia. Non c’è dato sapere secondo quali ricerche, indagini, studi, Monti abbia fatto quest’affermazione. L’impressione è che, come succede a volte a tutti i predicatori, nel gentile professore abbia fatto velo l’ideologia. Non si tratta della consueta idea liberale, ma del più puro liberismo della “Scuola di Chicago” che, come possiamo verificare ogni giorno, sta producendo la ricchezza delle nazioni da almeno venti anni. Ma per ideologia si fanno “guerre sante” e non c’è prova contraria utile per far cambiare idea. L’ideologo non ha dubbi, mai. Così, una legge di civiltà come’è lo Statuto dei Lavoratori, diviene il vincolo allo sviluppo. Banalità che ha il sostegno di tanta parte dell’intellettualità ma che fortunatamente provoca anche reazioni contrarie. L’arretratezza del Paese ha come causa essenziale la pluridecennale mancanza di ogni politica industriale. Il produrre denaro attraverso il denaro ha provocato lo spostamento della ricchezza da chi produce beni materiali alle rendite, spesso parassitarie. Che l’Italia abbia un problema di produttività complessiva è evidente. Il problema che abbiamo è: quali politiche sono necessarie per migliorare la produttività ? La scelta di agire sul costo del lavoro è una scelta che non ci porta fuori dalla recessione. Non è questo che ha fatto la Germania. La produttività è data dagli investimenti e dalle innovazioni di prodotto oltre che da un’organizzazione del lavoro che rifugge dalla precarietà . E’ questa la lezione che ci viene da Berlino. I dati dimostrano che il tessuto produttivo italiano senza investimenti rilevanti da decenni rischia una deindustrializzazione irreversibile. Se il privato non ha le risorse per innovare è il pubblico che dovrebbe avere un piano d’investimenti capace di superare le arretratezze del Paese. Le risorse? Lotta all’evasione, taglio della spesa improduttiva, patrimoniale sulle grandi ricchezze. E’ questa la linea di Hollande. Il ministro Passera, non passa giorno, che non promette piani per ogni settore. Avendoci promesso che per lui l’impegno in politica non terminerà con il governo attuale, potrebbe trovare il tempo, tra un convegno e un altro, di far deliberare dal consiglio dei ministri uno dei tanti progetti promessi? Ancora oggi la pubblica amministrazione porta ritardi biblici nei suoi pagamenti ai fornitori. Quante piccole imprese stanno fallendo per questa ragione? Perchè la revisione della spesa pubblica continua a incentrarsi sulla sanità quando le risorse impiegate in questo settore sono di sotto la media europea? Perchè si continua a privilegiare le grandi opere e non c’è uno straccio di piano per rendere sicure le strutture scolastiche o per risanare un territorio massacrato da eventi naturali e da una politica urbanistica terrificante? La campagna elettorale è iniziata in grande confusione. I sondaggi confermano che quasi la metà dei cittadini è incerta se/o per chi votare. La destra continua a essere angosciata per l’incertezza della sesta ridiscesa in campo dell’Unto dal Signore. Il centrosinistra è in uno stato di lacerazione permanente e non appare in grado di offrire una piattaforma di governo capace di unire le forze. Il partito democratico sembra volersi giocare tutto con “L’operazione primarie”. E’ un rischio? Al punto in cui si è arrivati c’è poco da fare. Facessero pure le primarie, ma forse sarebbe utile che il candidato leader del centrosinistra lo scegliessero gli elettori di questo schieramento. Il contrario sarebbe come se il candidato dei repubblicani americani fosse stato scelto dagli elettori democratici. Non sarebbe stato antidemocratico e anche ridicolo?
Corriere dell’Umbria 16 settembre2012