La crisi sta assumendo le cadenze di una devastazione senza precedenti. I “venerdì neri” per le borse si susseguono uno dopo l’altro e non sembra che gli interventi dei governi a sostegno di banche e mondo della finanza incidano più di tanto sul grado di incertezza che provoca la fuga degli investitori dalle borse di tutto il mondo. Le radici del disastro sono ormai accertate. Il Time di Londra è un giornale conservatore. Martedì scorso aveva una pagina titolata: “Marx aveva capito tutto?” l’articolo non risolveva il quesito, ma l’autore sosteneva che “Il Capitale” sarà ancora letto anche quando nessuno leggerà più nè Milton nè Shakespeare. Stupefacente.
La contraddizione che devono risolvere le classi dirigenti è di quelle toste. Per trenta anni intellettuali, politici, presentatori televisivi, premi Nobel per l’economia, veline, capi di stato, professori universitari e quanto di altro della varia umanità che governa il mondo ci ha imposto un unico modo di vedere il futuro delle società . Deregulation, privatizzazioni dei beni pubblici e libero mercato, le parole d’ordine ossessivamente ripetute da predicatori di ogni qualità del verbo liberista. Se poi per esportare il messaggio e la democrazia occidentale bisogna fare qualche guerra locale, guerra sia. Un’egemonia culturale della destra americana che ha annichilito qualsiasi pensiero autonomo anche nella sinistra riformista o non che fosse. Esemplare il fascino esercitato dal blairismo e dal clintonismo nel ceto politico ex DS o Margherita.
Per trenta anni hanno cercato di privatizzare tutto come fonte di profitto privato: sanità , trasporti, sistemi pensionistici, acqua e gestione dei suoli. Scuola e università pensate e organizzate per produrre le professionalità adatte al libero mercato e non come momenti di formazione generale delle giovani generazioni. Tutti sono diventati giocatori di borsa. Mentre sistemi di “welfare state” venivano destrutturati a vantaggio dell’imprenditoria privata, l’impoverimento relativo di fasce sempre più grandi di popolazione dell’occidente cresceva.
I ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Lo scarto tra benestanti e indigenti in dieci anni in Italia è aumentato del 33 per cento. Nell’aumentare il differenziale tra vertice della ricchezza e povertà solo gli Stati Uniti e altri quattro Paesi sono stati più efficaci dell’Italia. Un altro record per il Bel Paese.
Che fare di fronte alla catastrofe nata nell’America di Bush?
Slogan di questi anni: meno Stato e più mercato, via della politica dall’economia, privatizzare tutti i beni pubblici. Fine degli slogan. Con un bel giro di walzer i leader mondiali hanno deciso un massiccio intervento pubblico nell’economia e, ad esempio, l’Inghilterra ha nazionalizzato le sette più grandi banche inglesi. La Francia ha deliberato un “fondo sovrano” volto ad impedire l’acquisizione di imprese da parte di società non francesi. Nel nostro piccolo la presidente della Confindustria chiede l’intervento pubblico a sostegno dell’imprenditoria italiana. Aggiunge, poi, la Marcegaglia, che il pubblico, risolto il problema dovrà ritirarsi, con tanti ringraziamenti. Passività allo Stato, profitti al privato è la regola. Niente di nuovo sul fronte occidentale.
Quello che lega il tutto è la constatazione che senza l’intervento della politica e delle istituzioni la situazione rischia di mettere in una fase recessiva l’intera economia mondiale. La disprezzata politica torna ad essere protagonista primaria nella vita della gente in un momento non esaltante della vita democratica del Paese. Non sono particolarmente appassionato della democrazia delle piazze, troppe volte le masse sono state manipolate da venditori di sogni. Ma in una situazione di svuotamento totale del ruolo del Parlamento con un governo che agisce al di là dei vincoli costituzionali, anche chiamare la gente in piazza ha un senso fortemente democratico. E non dimentico che la democrazia occidentale è nata nell’agora ateniese nè che la voce del popolo non la si ascolta nei salotti televisivi nè attraverso i sondaggi. Bene quindi ha fatto Veltroni a convocare l’incontro di Roma. Benissimo stanno facendo famiglie, studenti, maestri e professori a manifestare il loro dissenso rispetto ai tagli alla scuola pubblica che vuole imporre il governo della destra. Fesserie giudicare facinorosi quei giovani che gridano pacificamente i loro slogan. Gravissimo sarebbe non ascoltare quello che hanno da dire. Non si tratta della ripetizione del mitico ’68. Allora si voleva cambiare il mondo e in molte cose lo si è fatto. Oggi si vuole semplicemente avere una decente formazione delle giovani generazioni e impedire che, attraverso i tagli alla scuola pubblica, si privilegi la formazione privata. Anche questo in rispetto della Costituzione repubblicana. Ormai c’è tutta una letteratura sui giovani ricercatori che vanno in cerca di lavoro all’estero. E’ ammissibile che con il blocco del turn over nessun giovane potrà essere inserito nel mondo universitario per i prossimi dieci anni?
Il precariato nella scuola riguarda personale che per anni insegna e con profitto se è vero che la scuola primaria italiana è riconosciuta tra le migliori dell’occidente. Tutti a casa perchè così vuole Tremonti e la Gelmini?
La politica per essere protagonista ha bisogno di strutture organizzate che la rendano credibile. Mi domando da tempo, perchè non c’è in Umbria un singolo amministratore che pensa di impegnare la sua esperienza (per alcuni molto lunga) nella costruzione della formazione politica a cui è iscritto? Tutti i partiti hanno bisogno di dirigenti preparati ed adeguati alla bisogna.
La cosa riguarda un po’ tutti i dirigenti sia della sinistra, che del popolo delle libertà , che il partito democratico. Per antica esperienza posso dire che anche far politica fuori dalle stanze del potere istituzionale può avere un suo fascino ed il suo prestigio.