L’incidenza della spesa pubblica sul prodotto interno lordo
italiano è inferiore a quella di Francia, Germania, di tutti i
Paesi Scandinavi e del nord dell’Europa. Questo sostanzialmente
significa che si può avere un intervento pubblico significativo e
nel contempo avere delle buone performance economiche. Il problema
italiano non è tanto di quantità ma di qualità della spesa.
Nonostante tutta la chiacchiera di questi anni sull’innovazione,
ancora oggi gran parte delle amministrazioni pubbliche sono
inefficienti e bloccate da corporativismi che il ceto politico non
sembra in grado o non voglia combattere. Una politica di rigore
non obbligatoriamente deve essere rivolta a ridurre la spesa
sociale, ma potrebbe incidere sul mal funzionamento anche
semplicemente abolendo tutto ciò che impedisce un miglioramento
del rapporto tra cittadino e Stato. A costo zero.
Stupisce che Fassino, capitano di lungo corso, non comprenda che
tagliare pensioni, sanità e spesa pubblica locale non solo è
moralmente discutibile visto lo stato dei nostri pensionati, ma
non risolve i problemi dello sviluppo del Paese. Il rigore
bisognerebbe riservarlo ad altri settori della società italiana
all’interno di un programma riformatore che incida sulle cause
strutturali della “cattiva” spesa pubblica.
La presidente Lorenzetti, nel presentare i progetti di riforma
endoregionale, ha dichiarato: “L’obbiettivo è quello di snellire,
ridurre, semplificare”.
Scelta saggia che richiederà grande determinazione. I problemi da
affrontare sono molti e prima di tutto c’è il problema di coloro
che dovrebbero acconsentire a snellire, ridurre, semplificare. La
presidente conosce bene lo stato delle cose esistente anche in
Umbria e certo è consapevole delle resistenze che incontrerà la
riforma. Alcuni esempi.
E’ stato ripetutamente scritto come la personalizzazione della
politica abbia portato alla formazione di un ceto politicoamministrativo
molto particolare a tutti i livelli.
E’ dato per scontato che, finita la mediazione dei partiti
rispetto alle carriere personali, ognuno che vuol partecipare
alle scelte politiche si sente impegnato ad ottenere un incarico
pubblico che in genere è adeguatamente retribuito. Ridurre non può
che significare accorpare enti e strutture e ciò non può che
incidere sulla carriera di questo o di quello. La politica oggi è
costruita attraverso legami personali ritenuti indispensabili per
procedere negli “avanzamenti” di carriera. Complesso sarà
penalizzare, chiudendo una struttura pubblica, un amico di
cordata. E sì, magari per gli scopi più nobili ognuno la sua
piccola o grande cordata in questi anni ha dovuto costruirla.
Questo è un problema non di poco conto.
Anche il rapporto con i territori non è cosa da poco. L’enfasi
posta sulla rappresentanza territoriale ha costruito un potere di
veto di tipo “signoria” del 16° secolo.
Ridimensionare le comunità montane o rivedere la struttura
sanitaria entra in conflitto con ciò che ormai è considerato un
diritto acquisito da questo o quel comune.
Se si analizzano con puntualità gli enti di emanazione regionale
si può tranquillamente affermare che uno dei criteri che ha
prevalso è stato quello della ripartizione partitica, ma anche
quello della distribuzione territoriale degli incarichi. I
perugini sembrano indifferenti ai problemi di potere.
Suddivisione questa assolutamente squilibrata a vantaggio di
alcune zone, ma questo è un altro problema.
Al riguardo le ultime notizie dal “palazzo” riferiscono di uno
studio interno all’assessorato alla sanità. L’esperto ha
analizzato scientificamente il lavoro dei direttori generali
uscenti e incredibilmente l’unico manager che ha ottemperato
pienamente al piano sanitario regionale non è stato confermato
nell’incarico. Evidentemente l’interessato non apparteneva ad
alcuna squadra ne rappresentava alcun territorio.
Riformare e innovare è sempre stata cosa difficile in Italia ed
anche in Umbria. Nelle prime legislature la regione tentò le
strade più diverse per darsi una struttura amministrativa moderna
ed efficiente. Molti e a volte clamorosi gli errori commessi in
quegli anni lontani. L’unica cosa che aiutava gli amministratori
di allora era la rete di protezione dei partiti. Una rete che
impediva che l’interesse del singolo o di un territorio prevalesse
su quello generale e, quindi, si procedeva con grande sobrietà
nell’assegnare incarichi e prebende. Molti degli compiti venivano
svolti gratuitamente. Erano altre stagioni.
Non esistevano uffici di gabinetto e solitamente l’amministratore
aveva rapporti diretti con gli amministrati. La politica aveva un
costo decisamente minore di oggi e in genere vi erano gruppi
dirigenti regionali che cercavano di evitare di essere
rappresentanti “territoriali”.
Adesso è tutto più difficile. Dare consigli sarebbe inutile. La
capacità di ascolto non è una dote diffusa e poi bisogna avere
fiducia. Al di là della volontà dei singoli i problemi di bilancio
obbligheranno a cambiare una macchina pubblica che non può che
essere trasformata. L’Umbria ha leader che possono essere adeguati
alla bisogna? La speranza è noto che è l’ultima a morire.
Corriere dell’Umbria 10 settembre 2006

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