Il recente lavoro di Renato Covino, il saggio titolato
“Equilibristi sulla palude”, ha il grande merito di ricordare a
tutti noi il percorso economico, politico e sociale di una
comunità . Posso immaginare che all’autore il concetto di comunità 
non piaccia. E’ poco scientifico ed è diverso da una visione
delle cose costruita dal conflitto tra classi sociali. Eppure
bisognerà  pur chiedersi perchè ad una certa fase degli anni
ricordati da Covino, una comunità  degli umbri ha avuto il
sopravvento non tanto su una visione di classe, ma certamente in
quello delle municipalità  e l’interesse generale è riuscito a
contenere il localismo notoriamente brodo di cultura della “nuova
classe” dirigente al potere. Gli anni ottanta e novanta sono
frutto esclusivo dei limiti del lavoro delle classi dirigenti
umbre o sono piuttosto il risultato di processi che gli umbri
potevano soltanto parzialmente contrastare? E’ dimostrabile con
dati e fatti che l’idea di costruire una regione aperta al
contributo delle forze più dinamiche della società  ebbe successo.
Un successo forse effimero, ma il cambiamento fu avviato e per una
fase non fummo più considerati come un quartiere di Roma, ma
appunto una forte comunità .
Nei primi anni settanta il regionalismo italiano ebbe come
protagonisti essenziali gli esecutivi di Toscana, Lombardia,
Umbria ed Emilia-Romagna. La classe dirigente politico
amministrativa consolidata in quei tempi ha svolto per molti anni
un ruolo nazionale di tutto rispetto in molti partiti.
Nonostante competenze marginali e risorse finanziarie risibili in
gran parte dei settori economici, l’impegno amministrativo e
legislativo della giunta diretta da Conti riuscì a sollecitare
l’innovazione di molto del sistema economico e sociale anche
grazie al rapporto con un ceto imprenditoriale fortemente
impegnato nell’internazionalizzazione dei propri marchi. Decisiva
fu una diffusa spinta partecipativa di forze culturali e della
società  civile.
Lo stesso welfare in costruzione non riproduceva il conosciuto.
Nella sanità , con le pratiche innovative nella psichiatria o sulla
salute in fabbrica, non si costruiva assistenzialismo ma invece
delle novità  assolute per l’Italia.
Covino ricorda come il movimento di massa si articolò in
associazioni economiche e culturali molto diffuse nel territorio
grazie al sostegno anche materiale della Regione. Democrazia e
partecipazione si rafforzarono in modo significativo.
Si trattò di una rete assistita dal pubblico o di qualcosa di
diverso? Le opinioni sono al riguardo differenti. A mio parere ciò
che è stato decisivo in quegli anni, è stata la capacità  del ceto
politico di andare oltre i confini della normale amministrazione
rendendo evidente l’utilità  dello sviluppo dello stato sociale
locale. Forzature ed errori vi furono e sarebbe utile una
discussione non solo storica al riguardo. Lo “sviluppismo” di
quella stagione qualche danno di cultura politica lo ha prodotto.
Ciò che non corrisponde al vero è che la modernizzazione
dell’Umbria sia avvenuta grazie a quella sorta di scambio
sviluppo- bassi salari che emerge dallo scritto di Covino.
Lo scambio non era possibile anche perchè mancavano i presupposti
formali, oltre che volontà  politica. Non esisteva allora alcuna
procedura di “concertazione” tra parti sociali e istituzioni. Le
competenze regionali sulle materie industriali non avevano alcuna
rilevanza e le risorse erano inesistenti.
I bassi salari umbri derivavano (e derivano) da una struttura
produttiva a basi ristrette ed a bassa capitalizzazione.
I rapporti di forza erano quelli che erano. Le imprese industriali
erano diffuse a macchia di leopardo e in intere zone prevaleva il
sottosviluppo. L’alto tasso di disoccupazione non aiutava certo
il movimento sindacale a sviluppare lotte per più alti salari. La
volontà  politica degli amministratori c’entra poco. Comunque anche
i bassi salari non riguardavano tutti i lavoratori. Ad esempio che
ricordi, i trattamenti economici e normativi vigenti nel gruppo
Buitoni-Perugina sono stati per anni tra i più avanzati del Paese.
Nel comparto industriale di Terni i salari e stipendi non erano
dissimili da quelli del Nord. Le operaie della ElleEsse non erano
affatto sottopagate come non lo erano i metalmeccanici di molte
fabbriche del perugino.
Covino descrive con alcuni ragionamenti l’impatto della seconda
crisi petrolifera nell’economia regionale. Sono stati anni
drammatici quelli sulla fine degli anni settanta ed inizio anni
ottanta. Ad uno ad uno scompaiono interi gruppi industriali e
un’intera classe imprenditoriale si dissolve come neve al sole.
Si riprodusse quella “palude” da cui eravamo usciti soltanto da
pochi decenni? Non sono convinto. Forse sarebbe utile approfondire
le ragioni politiche che hanno reso più difficile organizzare la
risposta alla crisi dell’economia consolidata negli anni sessanta
e settanta. Una risposta fu tentata e con qualche risultato. La
scelta della Giunta diretta da Marri di stabilire un rapporto con
i programmi inerenti i Fondi strutturali europei unita a tutta la
progettazione per accedere al Fondi Investimenti Occupazione,
spostò l’asse amministrativo della regione e di molte
amministrazioni comunali. Per anni la regione dell’Umbria è stata
tra gli enti pubblici italiani che ha utilizzato meglio le risorse
di Bruxelles grazie ad una progettazione ad alto impatto
innovativo. Responsabilità  gravi nel ritardo nell’innovazione del
settore industriale vanno ricondotte tutte al conservatorismo
della Confindustria Umbra e non alla mancanza d’idee della
pubblica amministrazione locale e regionale.
L’impegno di allora non è stato sufficiente troppi i vincoli
esterni negativi. Le linee dei partiti nazionali andarono in altra
direzione. Analizzandole scopriremmo che le scelte di Roma hanno
tramortito l’esperienza regionale. Il regionalismo ha ballato una
sola estate. La prima legislatura. Poi ha stravinto un centralismo
“consociativo”. Tutti i gruppi dirigenti dei partiti nazionali
scelsero la strada del “ridimensionamento” del ruolo delle regioni.
Esemplare fu la scelta dei decreti delegati del 1977. Covino
definisce il decreto 616 come insufficiente. In realtà  si tratta
della certificazione di una riforma fatta a metà  in cui ciò che
sembra morto, il centralismo, torna e mangia il vivo, l’autonomia
regionale. Ricordate la stagione dei grandi sindaci? Nelle scelte
della sinistra scompaiono le regioni come motore della riforma
istituzionale. Si considerano in sostanza enti inutili. Si
preferisce l’autonomia comunale con le Province a sopravvivere
fino a nuovo ordine. Ed il potere si riconcentra nei palazzi della
politica romana. Cossutta era in quegli anni responsabile del
decisivo settore delle autonomie locali del PCI. No comment.
Non si tratta di un processo ininfluente rispetto alle difficoltà 
degli anni ottanta e novanta. Limite dell’attuale classe dirigente
è proprio il non aver studiato a dovere il fallimento della prima
esperienza regionalista. E’ noto il mio parere rispetto alle
improvvisazioni istituzionale dei nostri eroi al potere. Covino
non è nel giusto quando sottovaluta la cesura formidabile
introdotta dall’occhettismo anche in materia istituzionale.
Il disastro politico della cosiddetta seconda repubblica è sotto
gli occhi di tutti. Pochi avvertono che il consolidarsi di una
specie di notabilato castale al potere è figlio legittimo
dell’ideologia nuovista che ha precisi responsabili e
riscontrabili cadenze temporali. Non so bene chi fossero gli
innovatori e chi i pragmatici nella sinistra della fine degli anni
ottanta.
Ricordo con esattezza il disagio di dover spiegare a persone
acculturate e intelligenti che la politica, per la sinistra, serve
a modificare lo stato di cose esistenti utilizzando tutte le
risorse possibili, anche la spesa pubblica.
Magari avendo qualche idea che travalica il quotidiano. Le
risibili polemiche attorno al partito dei lavori pubblici ed al
ruolo dell’Ufficio del Piano furono la conferma del cambiamento di
scenario: anche in Umbria arrivava l’onda lunga del liberalismo e
del ridimensionamento del ruolo del pubblico nella vita della
comunità . Adesso anche noi siamo trendy e grazie al berlusconismo
rimarremo al potere per altre numerose legislature. Gli
equilibristi ci guideranno verso traguardi luminosi.
Micropolis gennaio 2006

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