La maggioranza della classe dirigente del centrosinistra umbro è composta da dipendenti pubblici, ex sindacalisti o ex funzionari di partito. La cosa ha una sua logica considerando il peso che la spesa pubblica ha nella formazione del prodotto interno lordo e d’altra parte, a differenza del ministro Brunetta, non sono certo che il pubblico impiego sia fatto soltanto da fannulloni. Questa è un genere che riguarda anche il settore pubblico, ma per esperienza posso dire che la categoria del lavativo è diffusa in molti settori. Il pubblico impiego ha risorse e intelligenze che possono essere utili nella gestione degli affari di tutti. Il problema è, quando si analizza la composizione del ceto politico, l’assenza di interi settori della società nelle assemblee elettive o negli organismi di partito. Nel centrodestra prevalgono le libere professioni e per come è strutturata la società italiana, è un vantaggio per la destra almeno in termini di rappresentatività .
Non è auspicabile il ritorno ai meccanismi di formazione dei gruppi dirigenti che i vecchi partiti di massa utilizzavano per selezionare chi doveva entrare in una lista o in un organo di partito. Ricordo la fatica per avere un equilibrio nelle liste tra il numero di operai, di intellettuali, di commercianti. E certo in lista non poteva mancare il piccolo imprenditore o l’agricoltore. Meccanismo forse arcaico che però aiutava a formare una classe dirigente politica portatrice di diverse visioni del mondo.
Una metodologia irriproducibile che è morta con la scomparsa dei partiti di massa. E’ stato un bene? Forse sì, ma come il solito si è esagerato al contrario e oggi in Umbria, ma credo sia problema diffuso in Italia, il ceto politico del centrosinistra proviene principalmente dal settore pubblico. E questo non è un bene. Si possono creare, si sono creati, intrecci perversi tra l’incarico di direzione politica e gestione della cosa pubblica, con conflitti d’interesse che non aiutano la credibilità della politica. Un solo ceto sociale al comando non va affatto bene. Alcuni, non solo la destra politica, sostengono che in Umbria si è creato un sistema di potere che consente il mantenimento del potere ai soliti noti. La questione è controversa e mi sembrerebbe utile una discussione esplicita che analizzi i diversi sistemi di organizzazione del consenso nei diversi comparti della società . Certo a partire dal mondo della politica, ma senza escludere altri mondi. Il discorso del consenso vale per molti settori. Ad esempio le forze produttive o il mondo dell’università , hanno anche essi da organizzare le forze se vogliono operare nella realtà . Anche loro hanno un problema di formazione di una classe dirigente credibile. Quali sono i criteri e i metodi di scelta delle diverse leadership? Come avviene l’organizzazione del consenso?
Si è conclusa la prima fase del congresso del partito democratico.
I risultati sono noti e ci si appresta alla giornata decisiva: le primarie del 25 ottobre. Con la scelta del leader sarà chiaro il percorso di costruzione del PD? Anche il più ottimista degli osservatori non può non guardare con apprensione la vicenda. Un bilancio di quello che è successo nei congressi e nelle votazioni locali non deve registrare soltanto le percentuali a favore di questo o di quel candidato. Il punto più rilevante da analizzare è se questa tornata di dibattito abbia o no fatto fare passi in avanti alla cultura politica del maggior partito di opposizione.
Anche volendo tralasciare la descrizione di episodi che hanno poco a che fare con una politica trasparente e consapevole dei rischi che corre il centrosinistra in Umbria, è il caso di prendere atto che non si sono fatti passi in avanti rispetto ad un quesito non esplicitato, ma presente nella testa di molti dirigenti del PD. La domanda è: il modello di organizzazione del consenso incentrato sulla spesa pubblica che ha prevalso per molti anni è ancora possibile? Il modello di sviluppo che ha in testa la classe dirigente dell’Umbria ha ancora una sua validità o bisogna procedere ad un’innovazione strutturale costruita attraverso un nuovo contratto con le forze produttive e culturali dell’Umbria? Al di là dei ruoli e delle responsabilità di ciascuno, non bisogna prendere atto che una fase si è chiusa e bisogna inventarsene un’altra? Non è questione di organigrammi o della filosofia del vai via tu che mi ci metto io per fare, magari, le stesse cose. Bisognerebbe ripartire dall’analisi della realtà senza usare pregiudiziali positive o negative sul lavoro svolto ma con l’intelligenza e il coraggio necessario ad affrontare una situazione difficile, diversa da quella conosciuta.
Quando una comunità non riesce a garantire un lavoro a fasce vaste della popolazione, tutti hanno un problema chi è al potere e chi vuole andarci.
I dati macroeconomici nascondono spesso sia fattori negativi che quelli positivi. Ad esempio, la tenuta dell’occupazione in Umbria di questi anni è un dato positivo dal punto di vista quantitativo mancano i riscontri in termini qualitativi.
Negli anni cinquanta le forze migliori dell’Umbria continuarono nello storico processo migratorio. Spesso partivano con le valige di cartone. Anche in questa fase molti giovani umbri partono in cerca di lavoro al nord o all’estero. Molti lo fanno con la valigetta che contiene il computer. I bagagli sono diversi, la sofferenza è la stessa e la perdita per la qualità del nostro sviluppo è gravissima. Un giovane laureato, magari bravissimo, che aspettative di lavoro ha nella nostra regione? Un concorso pubblico? Il settore pubblico è super affollato in molti settori.
L’impiego in una struttura privata? Il tessuto produttivo non offre grandi chance per i giovani laureati. Le poche piccole imprese del settore dell’innovazione tecnologica si arrabattano con le poche occasioni offerte dal settore pubblico per progetti d’innovazione della pubblica amministrazione. Gli investimenti privati nel settore sono scarsi. Al giovane laureato magari con centodieci e lode non rimane che mettersi le cuffie dell’iPode, mettere il lab tab in valigia e prendere un treno o un aereo alla ricerca di lavoro. Non sarebbe un ottimo argomento per il dibattito politico?
Il giovane laureato pare che venga scartato se ha centodieci e lode. Meglio una persona che puà essere retribuita meno ed è “meno intellettuale”, “più docile”.
Povera Italia.
Carolina