Chi può andasse pure in vacanza tranquillo. La maggioranza di governo alla Regione dell’Umbria è ben salda e piena di buonissimi propositi. Se ne riparlerà a settembre, con comodo e con il fresco. Meno male, eravamo tutti preoccupati per le forti tensioni che prevedevano tempeste e crisi nell’Unione al potere a Palazzo Donini. La vicenda della nomina dei direttori generali delle aziende ospedaliere era esplosa fragorosamente anche all’interno del centrosinistra. Mugugni, strepiti e dichiarazioni di fuoco di segretari, assessori e sindaci non lasciavano prevedere niente di buono. Poi è bastata una bella riunione e tutto è rientrato nella normale dialettica tra sensibilità politiche diverse. Il centrodestra ha alzato i toni dichiarando che le scelte dei direttori era stata tutta politica e quindi da condannare. Sommessamente ci sembra scontato che le forze politiche al governo scelgono “tecnici di area”. E’ sempre stato così, in ogni parte del mondo e sempre lo sarà . Ciò che è intollerabile è, quando una scelta privilegia esclusivamente la “tessera” rispetto alle qualità manageriali del candidato o peggio quando la preferenza derivi da “odi” o “amori” privati. In questi tempi, poi, i partiti sono diventati strumenti privi di ogni democrazia sostanziale, conseguentemente più che la tessera vale la vicinanza personale al clan del decisore di turno. Vale più un salotto buono o una lobby giusta che un organismo di partito o una giunta regionale.
Il problema è ormai rappresentato da questo ceto politico sempre più oligarchico e autoreferenziale. Sono certamente anche le procedure che non vanno bene, sono opache e lasciano spazio alle proteste più disparate e agli interessi meno legittimi. Bisognerà cambiarle magari in occasione della discussione sulle riforme endoregionali.
Giusto o sbagliato che sia, la legge affida al presidente della giunta il potere di nomina. Ciò non esime il presidente da metodi di assegnazione degli incarichi trasparenti e comprensibili a tutti. Nel caso della sanità , spesa rilevantissima del bilancio regionale, la questione del coinvolgimento degli interessati, operatori e utenti, è rilevante per una valutazione delle politiche sanitarie e degli strumenti necessari alla sua realizzazione. Al riguardo non è stato fatto nulla se non incontri semiclandestini.
La questione, che nessuno ha rilevato è che, anche in questa circostanza, proprio la politica è stata la grande assente nel determinare la scelta dei sei direttori, la crème de la crème della tecnocrazia sanitaria. A nessuno è venuto in mente che il meccanismo del governo di tecnici in un settore delicato come quello della sanità , è un meccanismo sbagliato frutto degli abbagli dei primi anni novanta. Non ci si è ancora resi conto dell’impoverimento democratico frutto di una visione monocratica del potere?
Che la politica si ritragga dalla gestione è cosa giusta, ma la politica ha il dovere di allargare le forme della democrazia, sempre. La straordinaria vittoria referendaria del 25 giugno ha detto chiaramente che la gente vuole più democrazia e meno capi e capetti: il cesarismo degli inossidabili presidenzialisti ha ricevuto un colpo decisivo. La governabilità è cosa importante, ma la rappresentanza lo è altrettanto e il parlamento conta più del primo ministro. Non è ancora chiaro il concetto?
Non cambiare registro, rispetto alla privatizzazione della politica, sarebbe un tragico errore. I plebisciti personali non piacciono più.
La politica scompare, quando chi è chiamato a decidere non sente l’obbligo di motivare in modo trasparente il perchè di una scelta nelle sedi preposte, che certo non sono i partiti ma le assemblee elettive. Ad esempio, il presidente americano, imperatore del mondo, G.W.Bush, quando nomina qualcuno a dirigere una struttura pubblica, deve sottoporre il nominativo all’approvazione delle commissioni preposte di Senato e Camera dei Rappresentanti. Le Assemblee hanno il potere di bocciare la nomina.
Come è possibile che il consiglio regionale non sia stato chiamato ad esprimere una valutazione attorno al lavoro svolto dai manager uscenti? Che rischi avrebbe corso la giunta? Capisco il voler evitare una discussione sui nomi, ma esprimere una valutazione sul bilancio della politica sanitaria in Umbria sarebbe stata cosa politicamente intelligente. Non ci ripetiamo continuamente che siamo all’avanguardia in Italia per i servizi erogati al cittadino malato? Non siamo in una situazione di emergenza, visti i conti pubblici e la volontà del governo centrale di operare tagli anche nel settore della sanità ?
E’ poco credibile scaricare sul pessimo governo Berlusconi i futuri ridimensionamenti della spesa per la sanità pubblica. Non funziona. C’è bisogno di una forte capacità politica di mobilitazione democratica, ma anche di un forte impegno per mettere a leva le risorse umane e organizzative del comparto sanitario. La nomina dei vertici sarebbe stata un’ottima occasione per affrontare pubblicamente i problemi coinvolgendo le assemblee elettive, i sindacati, il mondo della ricerca e dell’Università .
Ci si è invece chiusi nell’opacità del particolare, partendo dalla salvaguardia dell’interesse di partito, di cordata o di casta.
Si è lasciato spazio soltanto a defatiganti trattative per realizzare lo scontato tre(DS), due(Margherita), uno (Rifondazione). Per non essere accusati di provincialismo, non manca il consueto tecnico romano. Buona fortuna.
Corriere dell’Umbria 23 luglio 2006