I sondaggi possono essere ritenuti affidabili o no, ma quando sono confermati da un voto che ha riguardato gran parte dell’elettorato, la loro attendibilità non può che aumentare. L’ultima indagine demoscopica segnala il PD come primo partito al venticinque per cento; il Movimento cinque stelle al ventuno per cento; il PDL al quindici. Le invettive del leader dell’IDV non sembrano portare consensi: sotto il sei. Oltre il quarantacinque per cento degli intervistati non ha scelto per chi o se votare. In caduta ulteriore la fiducia a Monti, supera di poco il trenta l’apprezzamento per l’azione del governo. Tutto ciò non è che la conferma dello stato d’incertezza di un Paese che non riesce a trovare un punto di equilibrio condiviso tra il rigore dei bilanci pubblici e l’esigenza di riprendere a costruire una società in cui il lavoro non sia più l’assillo per milioni di cittadini. Non è cosa facile e lo stato comatoso della democrazia repubblicana non aiuta certo a trovare la strada giusta e apprezzata dal popolo. Il parlamento bloccato dalla voglia della destra di imporre la sua visione della giustizia o l’incapacità di tutta la casta politica di riformarsi, non può che spingere la gente comune fuori dalla politica organizzata dai partiti presenti in assemblee elettive piene di nominati dalle oligarchie. Il costo intollerabile della politica non è soltanto quello dei benefit, ma è essenzialmente la confermata incapacità del ceto politico di prendere provvedimenti giusti e nell’interesse di tutti. I nostalgici del “quando c’era Lui”, dovranno mettersi l’anima in pace. Dal Polo Nord all’Antartide è opinione comune ritenere che per riparare ai danni prodotti dalla triade Berlusconi-Bossi-Tremonti, occorrerà almeno una generazione. Sarebbe però ingiusto considerarli i soli responsabili del disastro italiano. Quanti anni sono che il Paese non si ammoderna? Quanto ha speso negli ultimi anni il mondo della produzione in ricerca e innovazione? Il ministro Passera ci assicura che nel 2013 saranno chiusi tutti i cantieri della Salerno – Reggio Calabria. Se sarà così l’Autostrada sarà completata dopo cinquanta anni. La nuova “Freccia Rossa” prevede scompartimenti a otto posti, con servizi modernissimi e isolamento completo rispetto dal resto del treno. L’elite viaggerà al top. Il resto dei viaggiatori continuerà a trovare, quando li trova, treni arcaici che corrono su una rete non dissimile da quella costruita all’inizio del secolo scorso. L’auto è in crisi in tutta Europa e perciò la Fiat ha deciso di tornare indietro rispetto agli investimenti promessi a Berlusconi e a Monti. Le auto non si vendono ma se in Germania per la prima volta si perde il sei per cento, l’azienda diretta da Marchionne perde quote di mercato da un anno, a maggio il dodici. L’operaio tedesco guadagna il doppio di quello italiano. L’ammiraglia Fiat è diventata la meravigliosa Panda, l’ammiraglia del gruppo Volksvagen è l’Audi otto. Quante Panda devi vendere per avere lo stesso valore aggiunto dell’Audi? Chissà se i bonus per Marchionne continueranno a essere liquidati nonostante il crollo delle vendite e il ridimensionamento degli investimenti.
Dall’inizio della crisi finanziaria esplosa a Wall Strett, la parola d’ordine è stata: salviamo le banche. Ciò ha comportato sacrifici immensi per tutti i popoli. Rinnegando il credo liberista, i governanti e le elite al potere a Bruxelles, a Londra o a Washington, hanno deciso che il disastro privato doveva essere pagato un’altra volta con i soldi pubblici. E coloro che il disastro hanno provocato? Ignobilmente hanno continuato a dividersi lauti stipendi e bonus milionari. Banche che rischiano il fallimento mentre i loro manager continuano ad arricchirsi e mentre la gente comune s’impoverisce. Quanto può durare questo paradosso prima che dall’indignazione si passi alla rivolta sociale?
Il decreto sviluppo votato dal consiglio dei ministri di venerdì prevede che le risorse siano trovate fondamentalmente con la vendita del patrimonio pubblico. La cosa non deve suscitare scandalo. Molti beni pubblici sono inutilizzati o possono essere privatizzati senza incidere sulla qualità della vita dei cittadini. Bisogna far però tesoro delle esperienze di vendita di beni pubblici già avvenute. Anche in Umbria gli enti territoriali hanno dismesso patrimoni. Non esistono statistiche al riguardo ma qualche buffo episodio si conosce. Ad esempio un’amministrazione che vende un palazzo per poi riprenderlo in affitto compie un atto intelligente o spreca denaro pubblico? Privatizzare una farmacia che produce reddito è cosa intelligente o qualcosa d’altro? Vendere quote di una società che si occupa di parcheggi senza porre vincoli di tariffa o di costruzione di spazzi di parcheggio libero, salvaguarda il diritto alla mobilità del cittadino? In quante circostanze anche in Umbria, la collaborazione pubblico ““ privato ha avuto come conclusione il guadagno per il privato senza alcun vantaggio per il cittadino? Il patrimonio delle città è frutto della storia e spesso è dovuto al lavoro e all’intelligenza delle classi dirigenti del tempo. Oggi la stagione è diversa da tutti i punti di vista e la situazione sembra imporre le dismissioni. Almeno si provi a evitare la svendita o le regalie.
Corriere dell’Umbria 17 giugno 2012