Pezzi dello Stato che scendono in piazza contro altri pezzi dello Stato. La rete delle autonomie locali, Comuni, Province e Regioni, contro Governo e Parlamento. Amministratori del centrodestra e del centrosinistra uniti nel denunciare lo svuotamento di ogni possibilità di gestione di servizi al cittadino se non a prezzo di un aumento massiccio delle tasse locali. La cosa più agghiacciante è che il partito che ha tormentato il Paese con l’esigenza del federalismo, la Lega, ha proibito ai Sindaci leghisti di partecipare alla protesta. A voglia di andare a Pontida a rivendicare la Padania libera. Il federalismo leghista ha ballato, male, e per una sola estate.
Pur di non dispiacere al Capo, Bossi è disponibile a tutto. Sembra di assistere ad un film di G.A. Romero. Quando si ascolta in TV Bossi, Calderoli, Gasparri o Sacconi, per citarne alcuni, si ha l’impressione che la politica sia gestita da zombie che vivono in una dimensione tutta loro, completamente alieni rispetto al mondo reale. Un mondo che sembra andare in frantumi per responsabilità delle classi dirigenti politiche, economiche e culturali: hanno favorito per decenni l’ideologia dell’egoismo proprietario. Oggi paghiamo il prezzo della loro concezione del mondo.
La politica sconvolta da scandali che in qualsiasi altra parte del mondo avrebbero provocato la scomparsa irreversibile dei protagonisti delle malefatte, si avvita in discussioni che nulla hanno a che fare con i problemi della gente. La massima struttura della democrazia, il Parlamento, ridotta a un opificio di voti di fiducia e di leggi che nella sostanza servono a impoverire ogni prospettiva di salvezza di una Nazione ridotta allo stremo.
Giustamente c’è una campagna contro i costi della politica e dei privilegi degli addetti ai lavori. Per evitare il qualunquismo, però, c’è bisogno di capire quale è il costo divenuto insopportabile per l’Italia. Il prezzo più alto che paghiamo è dovuto all’incapacità della politica di capire e intervenire sulle grandi contraddizioni di un Paese che vede giorno, dopo giorno frustrate le energie migliori di cui siamo pur ricchi. Soltanto a giugno, con i risultati delle amministrative e dei referendum, si era accesa una speranza che quelle energie venissero usate per avviare una fase diversa dell’agire politico. La destra negò il valore politico di quei voti, il centrosinistra dopo l’euforia iniziale è tornato a guardare al proprio ombelico.
In onestà bisogna osservare che l’emergenza finanziaria è stata un macigno difficile da gestire per il PD e per le altre forze di opposizione. L’esigenza di far presto nei provvedimenti a contrasto della crisi del debito pubblico ha completamente svuotato il ruolo dell’opposizione parlamentare. Essa ha dovuto, per senso di responsabilità , rinunciare a tutti gli strumenti che la democrazia affida alle opposizioni. Ha mostrato una solida faccia di bronzo il Capo quando si è permesso di accusare, nella sua gita a Bruxelles, il centro-sinistra di aver favorito l’attacco speculativo. Non c’è grande giornale al mondo che non ripete quotidianamente che il problema dei problemi per l’Italia è l’assoluta inaffidabilità del governo della destra e del suo leader. C’è un problema democratico serio quando il ruolo dell’opposizione non può svolgersi nonostante che il governo dimostri profonda incapacità ad affrontare la crisi.
Difficile pensare che si possa andare avanti così. Le condizioni di vita della gente comune si aggraveranno a seguito dei provvedimenti votati dai nominati in Parlamento senza che ciò serva ad invertire la tendenza al degrado del debito pubblico. Ciò che sta succedendo in Grecia è la dimostrazione evidente che tagliare e impoverire i cittadini non aiuta a far uscire dall’inferno del debito pubblico.
Senza crescita i sacrifici di oggi non serviranno a nulla, sostengono le forze sociali sindacali e imprenditoriali. Ma come si immagina una qualsiasi crescita se gli investimenti pubblici sono praticamente inesistenti? Come si ritiene che le piccole imprese possano sopravvivere se la struttura pubblica paga i suoi fornitori a babbo morto? Come si pensa di crescere se continua a non esistere alcuna significativa domanda pubblica per servizi innovativi? Quando si discute in Regione o nelle amministrazioni comunali di semplificazione e di innovazione sarebbe utile uno sforzo di conoscenza di quello che esiste già nel territorio nel terziario avanzato e trovare gli strumenti e le risorse per valorizzare quelle forze produttive che hanno già scommesso nell’innovazione dei processi e dei prodotti. Non è un caso che anche piccole imprese umbre sono riuscite ad affermarsi in tante aree del mondo attraverso produzioni innovative. Da questo punto di vista abbiamo una lunga tradizione di marchi umbri che si affermano in mercati molto lontani dall’Italia.
Rompere incrostazioni e stupida burocrazia è un’esigenza ormai vitale. Molto si è fatto, dicono. Ma moltissimo resta da fare per riformare una struttura pubblica che è oggettivamente sovradimensionata e troppo spesso burocratizzata per eccesso di normative. Non è responsabilità dei dipendenti pubblici. In genere hanno un rapporto positivo con i cittadini. L’obbligo delle riforme della struttura pubblica è delle classi dirigenti politiche, ma non solo di esse. C’è una responsabilità collettiva nel lavoro per ridare alla politica il ruolo che essa deve avere.
Se è ingiusto dover andare con il cappello in mano dal potente di turno è sbagliata anche la ricerca dei santi in paradiso che ancora troppi hanno in testa. Certo che non sempre i rapporti con gli amministratori è facile. Alcuni sostengono che ci sono amministratori così impegnati che per avere un semplice banale appuntamento può richiedere tempi biblici. Alcuni, per principio, non ricevono nessuno se non gli stretti conoscenti. Anche ai Priori della vecchia civiltà medievale del Comune di Perugia era difficile accedere, ma forse nella democrazia moderna ottenere il consenso richiede una maggiore capacità d’ascolto. Con i tempi che corrono sembrerebbe che l’arroganza del potente comincia a non essere per nulla apprezzata.
Francesco Mandarini