Nel passato quando si voleva eleggere in Parlamento un leader prestigioso senza timore di sorprese, a Roma si pensava ad un collegio elettorale dell’Umbria. Per decenni abbiamo, con soddisfazione eletto Pietro Ingrao, poi liquefatto il PCI, a sinistra ci è toccato votare per sconosciuti che non avevano alcun rapporto con la nostra terra e che, una volta eletti, scomparivano per sempre nel nulla. La forza della sinistra prima e del centrosinistra poi, era tale da non riservare sorprese negli eletti. Ottenere la candidatura in Umbria significava la certezza di entrare in parlamento o in consiglio regionale. Le cose sono a poco a poco cambiate. L’Umbria non più rossa, nemmeno rosa pallido, rischia di diventare nerazzurra per responsabilità del ceto politico imperante da decenni in tutto il centrosinistra. La leaderite acuta la patologia che ha portato all’abbandono di qualsiasi progetto collettivo a vantaggio delle carriere dei singoli. L’io che ha annichilito il noi.
Leggi elettorali irriguardose di ogni parvenza democratica assegnano alle oligarchie romane il potere di nominare i parlamentari e il presidenzialismo all’italiana prevede leggi elettorali con sbarramenti e listini che espropriano la volontà popolare. Gli oligarchi locali non vogliono correre rischi, così, in consiglio regionale, ci saranno sei consiglieri, il 20% per capirci, che nessuno ha votato. Saranno nominati. Chi saranno i fortunati? Non si accettano scommesse. Troppo facile prevedere che la ristretta elite del partito sarà ben rappresentata. Congratulazioni agli estensori della legge elettorale e ai futuri nominati.
Berlusconi c’entra poco con tutto ciò. C’entra il berlusconismo caratteristica della fase politica che stiamo vivendo che, come un blog inarrestabile, afferra sia i notabili del centrodestra che quelli del centrosinistra. Il segretario umbro di Rifondazione ha definito il Partito democratico come uno straccetto di partito che perde sempre e che alla politica sostituisce il dibattito su leggi, regole, cavilli. Non male come viatico alla vittoria della coalizione alle prossime elezioni. Il segretario ricorda che non esiste più il PCUS e nei partiti non possono comandare giuristi e costituzionalisti. E chi dovrebbe comandare nei partiti se nè statuti nè regole devono contare? Capisco che nel regno berlusconiano è il popolo che decide al di là delle leggi, ma forse nel mondo della sinistra il rispetto di ciò che si è liberamente scelto per decidere le rappresentanze dovrebbe essere un vincolo che vale per tutti. Ripetutamente ho criticato il meccanismo delle primarie per lo stimolo che queste possono dare alla personalizzazione della politica. Non cambio idea, ma in mancanza di un gruppo dirigente capace di scegliere chi impegnare nelle istituzioni, non vedo altra via che il rispetto dei vincoli statutari.
Quando un dirigente tenace, intelligente e battagliero come Alberto Stramaccioni si dimette dall’incarico di segretario provinciale del PD significa che questo partito è messo malissimo. Stramaccioni si è certo guadagnato l’onore delle armi, ma lasciare in una fase così difficile per il suo partito aggrava una situazione che per risolversi ha bisogno di tutte le intelligenze disponibili e, il segretario, è certamente una di queste.
Il PD allo sbando titolano i giornali. Con qualche enfasi di troppo denunciano la difficoltà grave di un partito che non riesce a trovare la strada per svolgere il proprio ruolo di alternativa al berlusconismo. Questa non è una sofferenza circoscritta ai membri e agli elettori di questo partito. E’un problema che deve allarmare tutto il popolo del centrosinistra. Senza un PD forte è difficile immaginare vincente la coalizione che si contrappone al centrodestra in Umbria e in Italia. Non è casuale che nonostante la sua straordinaria affermazione nelle primarie in Puglia, Niki Vendola abbia voluto innanzitutto ringraziare il popolo dei democratici che lo hanno votato in massa anche contro i propositi della volpe del tavoliere.
Quello che molti osservatori denunciano è il rischio che invece di essere strumento necessario alla lotta al degrado democratico, economico e sociale del Paese, il PD diventi esso stesso parte integrante di questo deterioramento.
Negli anni settanta nel PSI vi fu una durissima lotta contro il partito degli assessori. Un’intera classe di amministratori fu sostituita e il partito trovò una nuova stagione politica. Imperando Craxi il PSI non raggiunse grandi risultati elettorali, ma riuscì a svolgere un ruolo di grande rilievo nella politica italiana. Purtroppo, lo si voglia o no, il PD appare ai più come un agglomerato di notabili senza alcun progetto comune. Un partito a cui manca l’anima, dicono in molti. Può essere una campagna elettorale l’occasione per trovarla? La speranza è l’ultima a morire, ma bisogna darsi obbiettivi convincenti. Ad esempio credo che oggi all’ordine del giorno del partito di Bersani debba esserci la lotta al notabilato ad ogni livello. Un obbiettivo? La distruzione dei feudi formatisi in questi anni che, in mancanza di un Principe riconosciuto, hanno prodotto soltanto lotte intestine e disperso un patrimonio straordinario di consenso popolare. Un patrimonio che le vecchie classi dirigenti avevano accumulato nei decenni, si va dissolvendo elezione dopo elezione.
Non mancano i giovani nel PD. E’ tempo che trovino il coraggio di rendersi autonomi e di mettere la propria faccia nello scontro politico.
E’ tempo per loro di andare, nel massimo rispetto, oltre i padri e le madri conosciuti. Purtroppo molti di essi hanno la grave responsabilità di averli fatti crescere in un habitat dove la passione politica troppo spesso si è trasformata in inossidabili ambizioni personali. Cattivi maestri.
Un altro mondo è possibile? Anche un altro modo di fare politica può esserlo. Basta crederci e scendere in campo sapendo che la buona politica è quella che guarda all’interesse generale e non al proprio particolare.