Affaticati, stressati dal troppo lavoro, 128 sedute dell’assemblea in un solo anno, i capigruppo del centrodestra hanno deciso una vacanza. La Camera dei deputati resterà chiusa per due settimane.
Nelle pagine dei giornali del tutto il mondo ci si interroga sulla crisi finanziaria, sui destini della moneta unica europea, sulle prospettive di un’economia che provoca disoccupazione e precarietà per tutti e in tutti i Paesi occidentali. L’ultimo rapporto del Censis descrive un’Italia ridotta malissimo. Senza speranze. “Una società pericolosamente segnata dal vuoto, dove cresce l’indistinto e si appiattiscono le soggettività , una società senza più legge nè desiderio”. Un quadro fosco, insomma. Eppure i nostri deputati chiudono un ramo del Parlamento e si prendono un break invernale. Non è il caso di scandalizzarsi. La legge elettorale vigente non prevede eletti dal popolo, ma nominati dalle oligarchie di partito. Un deputato non deve rispondere al suo elettorato, è sufficiente la fedeltà al capo. E poi anche in vacanza gli Arditi del popolo della libertà continuano ad intervenire sulla situazione politica. Il pluri-inquisito Denis Verdini, uno dei coordinatori del PDL, ha annunciato che loro se ne fregano delle prerogative del Presidente dello Stato. La Costituzione va interpretata e Napolitano non può che accettare la volontà del Cavaliere e di Bossi. Se Berlusconi sarà costretto alle dimissioni perchè è stato incapace di governare, bisogna tornare alle elezioni con questa schifezza di legge elettorale.
Gli Arditi sanno bene che quella italiana è una repubblica parlamentare. Non è il popolo che elegge direttamente il governo. In caso di crisi di governo il Presidente della Repubblica ha l’obbligo di verificare in Parlamento se esiste una maggioranza alternativa a quella messa in minoranza. La competenza è esclusiva del Parlamento che, su proposta del Presidente della Repubblica, elegge il Presidente del Consiglio. La guardia pretoriana diretta dal triunvirato, Verdini, La Russa e Bondi, sa bene che i parlamentari non hanno vincolo di mandato. Queste cose le conoscono i capo bastone del PDL, ma se ne fregano. In nome di un populismo totalitario si vogliono fare a pezzi le regole fondamentali della Repubblica.
Il grado di imbarbarimento del Paese si segnala anche attraverso piccole vicende locali. Un assessore leghista di Padova non vuol più che si finanzi la maratona che si svolge ogni anno per festeggiare il santo patrono della città . Sapete perchè? La ragione è semplice: la maratona di Padova la vincono sempre gli extracomunitari che per giunta corrono in mutande. Gli eroici padani non amano le sfide sportive e gli extracomunitari li preferiscono quando lavorano in nero a salari di fame.
Un tempo i giovani gridavano che ribellarsi è giusto. Oggi sarebbe sufficiente l’indignazione rispetto alla deriva antidemocratica a cui stanno conducendo l’Italia pezzi della classe dirigente del Paese.
Le migliaia di giovani che in queste settimane sono scesi in piazza in difesa della scuola pubblica, in modo democratico, non violento e creativo, costituiscono una bella speranza per tutti.
La riforma universitaria non è cosa che riguarda soltanto gli studenti, i ricercatori o i professori. La crescita democratica, economica, sociale e culturale di un Paese dipenderà sempre più dall’economia della conoscenza. Anche per questo motivo, la formazione culturale delle nuove generazioni non può essere considerato soltanto un onere. In tutto l’occidente le lotte degli studenti hanno come obbiettivo il rafforzamento dell’istruzione pubblica e il sostegno pubblico ai meritevoli senza mezzi. Sembrano obbiettivi di civiltà che riguardano l’intera società .
Partiamo dalla nostra esperienza di umbri.
Perugia e l’Umbria sono da sempre mete di giovani studenti. Le nostre università hanno formato migliaia di giovani di ogni parte del mondo ed hanno ancor oggi un ruolo decisivo per l’economia e per il modo di essere della nostra comunità . Gli studenti sono una risorsa straordinaria ma per salvaguardarla c’è bisogno di una riforma universitaria che premi la qualità e risolva la precarietà di coloro che vi lavorano. A quanto ne ho compreso la riforma Gelmini, amata dai Rettori, non risolve nè l’uno nè l’altro problema. Una riflessione della politica sembrerebbe necessaria.
Ad oggi, quello che continua a mancare è la politica con la p maiuscola.
I partiti continuano a guardare il proprio ombelico. La destra a quello di Berlusconi, il centrosinistra di ombelichi da guardare ne ha diversi. La speranza è che di fronte all’aggravarsi della crisi vi sia un raptus d’intelligenza collettiva che porti le classi dirigenti a considerare come prioritario l’interesse generale e non quello delle caste.
La speranza può nascere anche dall’osservazione di fatti particolari. Questa settimana si è svolta a Perugia una cerimonia funebre. E’ morto Paolo Vinti, un giovane che aveva fatto del lavoro intellettuale e della passione per la politica lo scopo della sua breve vita. Senza incarichi, senza ruoli, Paolo era diventato l’interlocutore di tanti. La cerimonia si è svolta nella meravigliosa struttura di Fra’ Bevignate. Una pioggia scrosciante non ha impedito la partecipazione di centinaia e centinaia di persone. Impressionante. C’era tutta una città che raramente si ha occasione di vedere. Parlamentari, Sindaci, ex sindaci, presidenti ed ex presidenti. Giornalisti, dirigenti di partito, sindacalisti. Giovani, tantissimi, e tanta gente comune di ogni orientamento politico, hanno voluto essere presenti a significare l’affetto e l’apprezzamento per una persona che ha voluto ricordare continuamente ai potenti e alla gente comune che senza la politica una società non cresce, si impoverisce. Prevalgono la barbarie e un individualismo cialtrone. Nel dolore per la perdita di Paolo anche un bagliore di fiducia.